etica

"... Non vogliate negar l'esperienza di retro al sol, del mondo sanza gente. Considerate la vostra semenza fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza". (Dante, Inferno canto XXVI, 116-120).


mercoledì 3 ottobre 2012

Il Bene comune

La riflessione che offriamo chiarifica e approfondisce quanto in più punti indicato dal Santo Padre Benedetto XVI nella sua Caritas in Veritate, in particolare: «accanto al bene individuale, c’è un bene legato al vivere sociale delle persone: il bene comune. È il bene di quel “noi-tutti”, formato da individui, famiglie e gruppi intermedi che si uniscono in comunità sociale. Non è un bene ricercato per se stesso, ma per le persone che fanno parte della comunità sociale e che solo in essa possono realmente e più efficacemente conseguire il loro bene» (CV, 7).
Quindi, esistenzialmente, nella storia, senza alcuna fuorviante astrattezza.
Alba Dini Martino


Le società umane sono organizzate gerarchicamente: in ciascuna di esse, alcuni comandano su altri, a dispetto della loro fondamentale uguaglianza. Nei regimi autoritari, i governanti giustificano la loro autorità con il fatto che hanno il potere di imporla. La prospettiva cristiana è differente. Colui che detiene l’autorità non l’esercita legittimamente se non nel caso in cui egli agisca e comandi in vista di procurare all’“insieme dei cittadini”  “le condizioni esterne … necessarie… per lo sviluppo delle loro qualità, delle loro funzioni, della loro vita materiale, intellettuale e religiosa”, (Pio XII, Radio-Messaggio, 24 dicembre 1942). Il bene comune è dunque costituito dall’insieme delle condizioni necessarie allo sviluppo della vita materiale, intellettuale e religiosa dei membri di una società affinchè raggiungano una qualità della vita compatibile con la loro dignità di esseri umani, (Pio XII, Radio-Messaggio,  (24 dicembre 1942), Pacem in Terris, (1963), Gaudium et Spes, 74.4, Dignitatis humanae, 6). Questa prima definizione offre una spiegazione della posizione di ognuno di noi nella società; si tratta per ognuno di noi di salvare la propria anima, secondo l’espressione tradizionale, compiendo il bene con e per gli altri.
Le suddette considerazioni hanno una portata pratica. Tutti gli individui, come tutti i gruppi sociali che essi formano aspirano alla pace. Ora, questo obiettivo non può essere raggiunto se gli uni e gli altri non accettano di conciliare le proprie aspirazioni particolari con quelle degli altri, individui o comunità. Un tale sforzo presuppone, perché possa essere compiuto pacificamente, che esista un bene, comune all’insieme del genere umano e che esso sia considerato come il “principio direttivo” intorno al quale si realizza la conciliazione degli interessi particolari in vista di un bene superiore. Tale processo è così naturale ed elementare che può essere verificato all’opera anche a livello stesso di famiglia; la sua coesione non può in effetti essere assicurata se ciascuno dei suoi membri non accetta di conciliare le sue preferenze personali con quelle degli altri membri del gruppo. Il bene comune è dunque, nello stesso tempo, individuale e comunitario; si rivela essere un concetto di analisi delle realtà sociali e un criterio di riferimento quando si cerca di conciliare  rivendicazioni particolari, opposte.

Beni comuni particolari
e bene comune universale
Filosofi e teologi hanno analizzato le componenti del bene comune. Essi hanno distinto tre livelli: 1) quello concernente le questioni relative all’esistenza (abitazione, vitto, vestiti) e alla sicurezza; 2) quello della garanzia giuridica di tali diritti fondamentali, fra cui l’attivazione di istituzioni che favoriscano la “partecipazione organica” (Paolo VI) delle diverse forze sociali alla gestione della comunità; 3) quello della protezione e dell’approfondimento dei valori che fondano l’unità delle società. Queste tre componenti del bene comune si ritrovano in tutte le società, così come nella famiglia, nelle organizzazioni professionali, i sindacati, le organizzazioni non governative … come pure nello Stato e nella società internazionale.

La messa in opera del bene comune
Non manca il nascere di conflitti fra le società e all’interno di queste per determinare ciò che, in un momento dato, costituisce il bene comune di un gruppo, di una nazione o della società internazionale, poiché gli uni e gli altri ne hanno spesso rappresentazioni diverse. Per la dottrina sociale della Chiesa l’obbligo di ricercare il bene più universale proviene dalla sua antropologia. Da una parte, il riconoscimento di leggi superiori permette a opinioni diverse di avvicinarsi in un’atmosfera di mutua lealtà, nella ricerca di ciò che è giusto e vero, in una situazione data; dall’altra, la rinuncia a dei beni particolari nell’amore e nella reciproca fiducia conduce gli individui a distaccarsi da se stessi e a entrare in comunione con altri, verso un bene superiore; altrettanto avviene in famiglia, come in tutte le comunità che si costituiscono su di esse.  Questa concezione rende l’uomo, che vive in società, artefice del proprio destino; essa si oppone alle dottrine politiche che esigono dall’individuo di mettere tutte le sue forze a servizio di un partito o di una ideologia; essa esige che le autorità, ognuna al suo proprio livello, si pongano al servizio del bene delle persone. I regimi totalitari, partendo dal principio che la felicità dell’individuo dipende dalla sua identificazione con l’ideologia ufficiale, si oppongono a ogni tentativo degli individui di prendere parte attiva e libera alla determinazione del bene comune nello Stato, arrivando fino a vietare l’educazione religiosa nel momento in cui essa sviluppa il senso di responsabilità degli individui nei confronti della società; le società consumistiche compromettono anch’esse il perseguimento del bene comune quando favoriscono “abitudini di consumo e stili di vita” che anestetizzano nell’uomo  “il rifiuto di trascendere se stesso e di vivere l’esperienza del dono di sé e della formazione di un’autentica comunità umana, orientata al suo destino ultimo che è Dio” (Centesimus Annus, 36, 41).  I popoli hanno spesso rifiutato nel corso del 20° secolo di fare della reciproca benevolenza (la “civiltà dell’amore”, secondo l’espressione di Paolo VI nella Messa di mezzanotte del Natale 1975), la norma regolatrice delle loro relazioni; si sono lasciati mobilitare intorno a dei valori che, non essendo universali, (il partito, la razza, la potenza dello Stato), non potevano aiutare nel modo giusto la conciliazione dei beni comuni particolari. La ricerca del bene comune inteso in senso cristiano pone il consenso sulla pace e l’obbligo di costruirla al di sopra di tutti gli altri valori.

Bene comune e universalità
La concezione cristiana del bene comune si radica in quella della persona che vede in ogni uomo un essere particolare e, insieme, universale; particolare perché ha coscienza della sua dignità e dell’esistenza di una soglia al di là della quale essa viene offesa, anzi distrutta; universale, poiché egli si percepisce in quanto posto al centro di una rete di relazioni sia con la propria famiglia, che con gli altri uomini, il suo ambiente e alla fine Dio; aspirando, inoltre, a superare l’orizzonte della propria semplice individualità, egli comprende che il suo personale sviluppo dipende dalla parte che prenderà a quello di ognuna delle comunità alle quali egli appartiene.  Si trova quindi in ogni uomo, come in ogni comunità, quel dualismo che dipende dal dover arbitrare fra ciò che egli percepisce come suo bene particolare immediato e il beneficio che spera di trarne, sacrificandone una parte per poter crescere in umanità.

Padr Joseph Joblin, sj – (Cronache e Opinioni n. 11 pag. 49 - novembre 2010)

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