etica

"... Non vogliate negar l'esperienza di retro al sol, del mondo sanza gente. Considerate la vostra semenza fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza". (Dante, Inferno canto XXVI, 116-120).


lunedì 4 agosto 2014

ETICA, COSTITUZIONE E LEGGE ELETTORALE

….Il fondamento delle nostre leggi mirava  a questo, a che i cittadini siano quanto più possibile felici ed in sommo grado reciprocamente concordi; ma dei cittadini non potrebbero mai essere concordi, laddove tra di loro vi fossero [d] molte liti giudiziarie e molte ingiustizie, ma laddove esse fossero quantomeno grandi e meno numerose possibile. Diciamo dunque che nella città non deve esserci né oro né argento, e neppure grande possibilità di arricchirsi con un turpe mestiere e con l’usura né con turpi guadagni legati alla vendita del bestiame, ma solo ciò che l’agricoltura dà e produce e di questo quanto non costringerà chi lo raccoglie a trascurare il fine che hanno per natura le ricchezze; questo è l’anima e il corpo, che senza la ginnastica e [e] il resto dell’educazione non sarebbero mai degni di considerazione. Perciò dunque più di una volta abbiamo detto (Cfr. I 631c; III 697b; V 728e sgg.) che la cura delle ricchezze va stimata come ultima; essendo infatti tre tutti i beni per cui ogni uomo si dà pensiero, ultimo e terzo viene il pensiero della ricchezza, se è giustamente orientato, secondo viene quello del corpo, primo quello dell’anima. In particolare se la costituzione che ora stiamo delineando assegna in questo modo gli onori, è stata redatta correttamente. Se invece una delle leggi ivi stabilite [744a] palesemente tributerà nella città un maggior onore alla salute più che alla saggia temperanza, o alla ricchezza più che alla salute e alla vita temperata, sarà evidentemente mal stabilita. Ebbene il legislatore deve spesso chiarire questo a se stesso. Chiedendosi «che cosa intendo fare?» e «Vado diritto all’obiettivo o manco lo scopo?». E così forse egli stesso verrà a capo della sua legislazione e alleggerirà gli altri; ma in nessun altro modo ci riuscirebbe…..PLATONE “Le Leggi”  Ed. BUR, Libro V 743 d,e; 744a, pp.- 439-441


ETICA

Tutti ci rendiamo conto che le linee più segmentate del nostro tempo sono rappresentate da macrotendenze economiche e sociali che seppur legittime risultano politicamente mal concepite.  Siamo tutti d’accordo a voler cercare di contrastare questa situazione di “confusione collettiva” in cui la ricerca di modi di esistenza e di svago sempre più sofisticati ci impongono di vendere la nostra coscienza al miglior offerente di chimere.  Sentiamo tutti il grido piuttosto lancinante e diffuso per la rivendicazione di un potere più largamente condiviso per il diritto a intervenire in maniera più incisiva sui meccanismi della sanità e della giustizia. Però nessuno sembra volersi realmente muovere. Non tutti siamo d’accordo sulle forme ormai consolidate di natura pedagogica che assecondino, strumentalizzandola, la crescita globale della personalità dell’adolescente senza punti di riferimento assiologici. Però la moda dell’indifferenza e del relativismo etico è il filo conduttore di tutti i percorsi formativi. Tutti osserviamo con differente livello di percezione la perniciosità di guardare all’aspirazione estetica e ad un uso del corpo non tanto perché sia in sintonia con l’ambiente, quanto più per la ricerca di un estremo consenso estetico e mediatico: un corpo volutamente “bello” palestrato, siliconato o intriso di botulino pur di farne risaltare la perfezione estetica voluta, minacciata dall’adipe, dalle rughe o dalla magrezza dei seni o dalle visione rinsecchita delle labbra. Non più vecchiaia e saggezza, ma perenne e spensierata gioventù, manifestata con eccessi di entusiasmo e di esibizionismo, da chi sentendo che la vita sta passando non sa accettare i propri limiti storici rendendosi ignaramente ridicolo agli occhi chi lo osserva con curiosità.  Comunque chi cerca di porsi contro tali  stili di vita viene additato come “moralista” come colui che inconscio della realtà e del tributo da pagare al progresso vuole  pietrificare lo sviluppo sociale solo perché ne reclama una misura più umana e ragionevole. In tale contesto ciò che appare evidente è che la complessità del problema della libertà del volere, si scontra con la superficialità dell’omologazione globale. L’etica imporrebbe una riflessione più profonda sul problema della liceità delle nostre azioni, vale a dire se ci è lecito di fare ciò che noi vogliamo o vorremmo fare, al di là delle conseguenze soggettivamente percepite. Certo si tratta di una analisi più profonda del proprio stato di libertà è esattamente assimilabile alla liceità del fare o non fare, senza rendersi conto che a volte il non fare è peggiore del primo.  Basta pensare alla cosiddetta omissione, all’omertà, alla mancata rivendicazione o reazione tendente a definire la propria posizione.  Il concetto  etico di libertà origina dall’ammissione che tutte le nostre azioni siano condizionate o meglio determinate, sia dal movente dei sensi che dai motivi più complessi della ragione. Ciò che ci muove in senso etico sono le passioni e le emozioni così come la coscienza razionale informata dalla dimensione morale delle responsabilità implicite. Detto questo andiamo ad osservare come questa dimensione etica sta coinvolgendo la vita legislativa del nostro Paese.

LA COSTITUZIONE

Senza fare la storia della nostra costituzione vorrei solo esprimere una considerazione importante e cioè che la costituzione essendo una legge fondamentale dovrebbe tendere al massimo della perfezione in termini di elaborazione, di aspirazioni nelle relazione umane, da essere considerata quasi immutabile. Se i principi fondamentali e l’organizzazione conseguente sono improntate sulla perfezione che deve regolare i rapporti della società, allora l’impulso al cambiamento è un impulso che va seriamente valutato. Il cambiamento sappiamo che è necessario come forza operante per il raggiungimento di un fine al quale si giunge per via dinamica, ma se tale fine si discosta dai principi che ne hanno determinato la nascita allora il mutamento è da temere perché rappresenta un processo di degenerazione e di corruzione progressivo che seppur presentato come migliore necessità esistente al momento, rappresenta una deriva pericolosa che coinvolge rischiosamente gli uomini e la loro società che li sospinge verso il baratro della palude anarchica. Le regole e le leggi sono la base del vivere civile, l’etica come coscienza del rispetto delle regole ne diviene l’essenza a livello umano. La società che non sa darsi leggi per il proprio bene comune è una società costretta a subire da inerme le imposizioni e le avversità della storia. Forse questo tono può sembrare molto perentorio, ma pensiamo ai problemi veri che scaturiscono dal voler cambiare la nostra costituzione e al clima di confusione che già stiamo vivendo. Innanzitutto ricordiamo che la nostra costituzione al momento della sua formulazione, è stata pensata, elaborata e definita in un concorde consenso di umanità da tutti coloro che abbiamo chiamato “padri costituenti” e che avevano un progetto sociale da raggiungere. Oggi il cambiamento della nostra carta si basa su slogan, su imposizioni di tresche partitiche pilotate da do ut des, da interessi occulti e striscianti che ne hanno già, nelle modifiche al titolo V della seconda parte della costituzione il 18 ottobre 2001 e quella del pareggio di bilancio introdotto il 20 aprile 2012, deformato i lineamenti di bene comune propriamente inteso e il suo fine primario. Questi cambiamenti minano l’unità  della nazione e la dimensione di bene pubblico dello stato. Ora non sappiamo dove si andrà a parare. Quelli che stanno cambiando la nostra legge fondamentale non possono certo chiamarsi “padri costituenti” mancando di un retroterra politico serio e veritiero sostituito da un interesse partitico fazioso ed economicamente mirato a fini  di profitto e a giochi di potere. Questi parvenu della politica ragionano su bicameralismo perfetto, su rappresentanti eletti o non eletti, non con finalità politica, ma secondo la percezione dei loro interessi, mentre il bene del Paese è lasciato a se stesso. Una legge costituzionale ha bisogno di un popolo che parli la stessa lingua e i cui rappresentati si sentano impegnati ad esprimere il meglio del meglio possibile e non a farsi la guerra per mantenere o far saltare delle poltrone. Forse i padri costituenti nell’ideare il parlamento così come da sempre lo conosciamo cercavano la maniera migliore di creare un organismo che garantisse la migliore formazione delle leggi e pertanto le leggi migliori. La struttura democratica del paese, concepita ed espressa nella nostra costituzione, resta, a dispetto di chiunque non lo voglia per propri motivi riconoscere, la migliore e la maggior garanzia di equilibrio di gestione democratica dello stato moderno. Non se ne abbiano gli statunitensi! Non abbiamo bisogno di guardare al presidenzialismo o ai sistemi degli altri, non abbiamo bisogno di rifarci ai loro modelli, ma siamo noi il miglior modello per loro. La nostra è una cultura fatta di etica e di leggi. La nostra storia forse è la più completa in termini di esperienza di forme di struttura dello stato. Noi siamo il paese delle XII Tavole che elaborate dai decenveri legibus scribundis, furono, non solo la prima forma di diritto scritto ed una garanzia per i plebei, ma divennero patrimonio culturale di tutti i cittadini romani chiamati a conoscerle comma per comma e del mondo a venire.  Siamo il paese di Giustiniano che in un impero vastissimo rivede un sistema costituzionale e legislativo inquinato dalla miriade di modifiche introdotte dai diversi governanti per interessi di parte e crea il Nuovo Codice Giustinianeo, le Pandette ed il manuale scolastico Istituzioni, ma non solo, perché oltre a far tradurre in lingua greca le Novellae costitutiones pensò già allora a fare gli aggiornamenti semestrali del Codex ed eravamo nel 565 d.c.! La magna Charta di Giovanni Senza Terra e Napoleone con i suoi codici non fecero altro che proseguire su questa linea. Come possiamo accettare una revisione costituzionale nella maniera che i mass-media ci riportano?

LA LEGGE ELETTORALE

Riguardo alla legge elettorale non voglio entrare nel merito, televisione e giornali ci riempiono tutti i giorni di notizie relative ai compromessi su composizione delle camere, abolizione del senato, preferenze no, preferenze si e via dicendo. Ciò che vorrei sottolineare in proposito è che innanzitutto la legge elettorale non è il fine bensì uno strumento. La proporzionalità è il rispetto della democrazia e le preferenze sono una scelta necessaria per il suo rispetto. Se poi qualcuno vuole una sola camera in sede legislativa, un senato di eletti o non eletti, se un altro  vuole le preferenze, se uno vuole la lista uninominale ecc. ciò significa che manca il concetto di ciò che significa il rispetto della democrazia garantito dalla volontà di fare il bene comune. Qui si evince sempre più che gli accordi di partito fanno premio sulla linearità democratica. Non si pensa alle garanzie dei ruoli, si parla di immunità parlamentare intendendola invece come impunità penale procurata dai voti ottenuti. Si parla di preferenze scambiandole per voto di scambio, si parla, in caso di reintroduzione delle preferenze, di difficoltà future espresse da Angelo Panebianco sul Corriere della Sera di Domenica 3/8, grazie alla nuova legge anticorruzione della Severino, di mantenere un parlamento scevro da avvisi di garanzia per connivenze mafiose ecc. Ma allora? di che cosa vogliamo parlare? Confondiamo l’oggetto con il soggetto, il mezzo con il fine? Alla base ci deve essere una rinnovata visione etica della politica e gli strumenti per organizzarne le strutture sono molto semplici, bastano alcune regole condivise, rappresentati non solo dalla correttezza di coloro che concorrono per dedicarsi alla vita politica e amministrativa con il coinvolgimento responsabile del partito nella scelta di questi uomini pena l’esclusione dalla corsa elettorale ed il pagamento di penali in caso di corruzione o concussione anche non ancora definitivamente accertata, ma pure dalla necessità di rispettare tutti i raggruppamenti partitici in termini costituzionali tornando alla proporzionalità effettiva per il rispetto delle minoranze, con un voto di preferenza che sia garantito dalla visibilità e pubblicizzazione del programma del singolo candidato e dal capo lista,  sul quale fondare le coalizioni prima della fase elettiva, con una presa di responsabilità sulla base di un codice etico che contempli situazione personale, situazione patrimoniale ex ante e ex post, sulla missione del mandato legata alla singola competenza vagliata nella lista e soprattutto l’impossibilità di ricandidarsi per lo stesso mandato parlamentare. In tal modo non solo i partiti dovranno scegliere di preparare i propri candidati a ricoprire la carica, ma dovranno, essendo garanti, stare attenti ai loro comportamenti e magari perché no, attuare una metodologia di certificazione etica che il Comitato da 10 anni, instancabilmente propone anche alla classe politico amministrativa ed i cui passi sono: 1) competenza professionale; 2) conoscenza dei limiti etici della professione; 3) trasparenza; 4) censura sociale. Se si attuasse questa metodologia manifestata dalla presa di coscienza  in un codice etico e controllata da un Comitato etico esterno non autoreferenziale, certo le cose non cambierebbero subito…ma si potrà ipotizzare, a ragion veduta, seppur lentamente una vera inversione di tendenza.