etica

"... Non vogliate negar l'esperienza di retro al sol, del mondo sanza gente. Considerate la vostra semenza fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza". (Dante, Inferno canto XXVI, 116-120).


lunedì 26 marzo 2012

Riflessioni sull’ARTICOLO 18

    Art. 18. Reintegrazione nel posto di lavoro.
   Ferme restando l'esperibilità delle procedure previste dall'art. 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, il giudice con la sentenza con cui dichiara inefficace il licenziamento ai sensi dell'articolo 2 della predetta legge o annulla il licenziamento intimato senza giusta causa o giustificato motivo, ovvero ne dichiara la nullità a norma della legge stessa, ordina al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenziamento occupa alle sue dipendenze più di quindici prestatori di lavoro o più di cinque se trattasi di imprenditore agricolo, di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro...”
    7. Nell'ipotesi di licenziamento dei lavoratori di cui all'articolo 22, su istanza congiunta del lavoratore e del sindacato cui questi aderisce o conferisca mandato, il giudice, in ogni stato e grado del giudizio di merito, può disporre con ordinanza, quando ritenga irrilevanti o insufficienti gli elementi di prova forniti dal datore di lavoro, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro...”.
    Art. 22. Trasferimento dei dirigenti delle rappresentanze sindacali aziendali. 1. Il trasferimento dall'unità produttiva dei dirigenti delle rappresentanze sindacali aziendali di cui al precedente articolo 19, dei candidati e dei membri di commissione interna può essere disposto solo previo nulla osta delle associazioni sindacali di appartenenza. 2. Le disposizioni di cui al comma precedente ed ai commi quarto, quinto, sesto e settimo dell'articolo 18 si applicano sino alla fine del terzo mese successivo a quello in cui è stata eletta la commissione interna per i candidati nelle elezioni della commissione stessa e sino alla fine dell'anno successivo a quello in cui è cessato l'incarico per tutti gli altri...”.

Credo che sia giunto il momento di parlarne. Si, credo che non si possa più accettare che la superficialità del discorso che viene fatto da tutti possa continuare a trarre in inganno. Occorre pertanto aprire gli occhi e rendersi conto che se è pur vero che il mondo sta cambiando è anche vero che il lavoro resta il metro di misura della dignità dell’uomo.
Quindi la responsabilità di ciascuno di noi deve tener conto che non possiamo usare la strategia dello struzzo. Dobbiamo aprire gli occhi e verificare bene il concetto che sottende alcune frasi che vengono pronunciate in maniera assertiva concernenti la cosiddetta flessibilità in uscita!
Ma andiamo per gradi e facciamo chiarezza. Il Governo Monti sta lavorando bene dal punto di vista di immagine, ma dalle manifestazioni di volontà e di ordine decisionale sta esagerando un pochino. Si fa per dire ovviamente! Infatti la piega presa dal Governo oltre ad essere di tipo squisitamente autoritario, rappresenta un ritorno ad un passato che si riteneva, forse a torto, superato. Infatti quando si sente dire dal Premier  che ” il Governo non cerca il consenso”, in questo periodo storico dove il consenso è fondamentale, la dice lunga. L’autoritarismo infatti sta prendendo il posto dell’autorevolezza. Il consenso di cui parlo non va confuso con l’accondiscendenza, ma con l’autorevolezza che determina decisioni di fronte alle quali, per competenza, equilibrio e capacità di risolvere i problemi, nessuno, che non sia in grado di fare meglio, può permettersi di dissentire.
Certo è un peccato perché questo Governo ha la possibilità vera e concreta di dare un nuovo impulso alla politica, quella con la P maiuscola, purtroppo perdendosi nei tecnicismi, sta tentando di non urtare la “politica retriva” di vecchio stampo che lo sostiene con un subdolo e continuo ricatto esistenziale.
Ma allora che cosa dovrebbe fare il Governo? Dovrebbe parlare innanzitutto di Etica, non a parole, ma nelle decisioni. Quali? L’articolo 18 per l’appunto. Il Governo dovrebbe avere il coraggio di realizzare che la flessibilità in uscita non ha senso, sia perché mancano opportunità di investimento in termini di nuovo lavoro che permetta la flessibilità in entrata, sia perché l’articolo 18 salvaguarda esclusivamente il lavoratore discriminato. Infatti il licenziamento senza giusta causa o giustificato motivo è senz’altro frutto di una discriminazione per chi lo subisce e che ha il diritto ad essere reintegrato. Questo per diritto che origina dalla propria dignità e che non può essere negletto.
Allora se andiamo ad analizzare meglio vedremo che con l’abolizione dell’Articolo 18 si vanificano anche l’art. 7, 13 e l’articolo 22.
Per quanto concerne la vanificazione dell’art. 7 comma 3  “3. Il lavoratore potrà farsi assistere da un rappresentante dell'associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato.” Anche l’articolo 13 sulle mansioni del lavoratore, che saranno prive di tutela,  per arrivare poi con l’abolizione dell’articolo 18 alla completa vanificazione della libertà sindacale e pertanto la capacità di questa istituzione di difendere i diritti dei lavoratori con la conseguente vanificazione dell’articolo 22 che tutela l’attività sindacale.  Vediamo perché.
Abrogando l’articolo 18 il sindacato perderà la propria ragione d’essere in quanto non potrà più avere una delega pro-attiva da parte del proprio iscritto, non potrà più porsi autonomamente come controparte dotata di forza contrattuale in quanto anche il sindacalista potrà essere tranquillamente trasferito ad altra mansione se non direttamente licenziato.
Appare poi quanto mai evidente che ci sono mille maniere che il datore di lavoro può mettere in atto, per non far trapelare la “discriminazione” sindacale.  Ma al di là di tutto  l’abolizione dell’articolo 18 determina l’immediata perdita di senso del sindacato che non potrà più svolgere la propria attività in quanto i propri dirigenti saranno trattati alla stessa stregua di qualsiasi altro lavoratore e pertanto passibili di licenziamento senza giusta causa né giustificato motivo. La pena eventuale per il datore di lavoro sarebbe soltanto un indennizzo.
Mi sembra evidente che questa è la giusta interpretazione da dare. E quindi va rigettata al mittente la dichiarazione “meno diritti e più lavoro” fatta qualche tempo fa dal segretario di un grande sindacato a livello nazionale. Va letta in maniera critica l’affermazione sul Sole 24 ore di domenica 25 marzo, nell’editoriale di prima pagina, di Guido Tabellini : “Il problema  centrale è riuscire  ad aumentare la domanda di lavoro, riducendo al tempo stesso il dualismo esasperato del mercato del lavoro italiano: da una parte gli “insider” con un lavoro a tempo indeterminato, nelle imprese sopra i 15 dipendenti, che godono di una protezione tra le più alte al mondo; dall’altra gli “outsider”, i disoccupati e i lavoratori precari quasi totalmente privi di tutele  e di copertura assicurativa. Questo dualismo è sia inefficiente – perché scoraggia la formazione di posti di lavoro stabili e ben remunerati – che iniquo. La riforma  Fornero scambia un po’ più di flessibilità in uscita  per i lavoratori a tempo indeterminato, con una forte riduzione delle possibilità e convenienza ad offrire lavori precari, e con l’espansione dell’ambito di applicazione  degli ammortizzatori sociali.”  Una qualsiasi persona dotata di semplice buon senso capirebbe che non è la flessibilità in uscita, il licenziamento senza giusta causa o giustificato motivo, che crea posti di lavoro e tanto meno la flessibilità in entrata fatta sulla base di un lavoro privo di “diritti di continuità”. Sia chiaro che la sola maniera per creare posti di lavoro o più semplicemente lavoro è la progettualità politica, economica e sociale. Questo Governo non pare possederla e continua a trincerarsi dietro altre analoghe  affermazioni  di Fabrizio Forquet che non riporto, ma che si possono leggere sempre sul Sole 24 ore di domenica 25 marzo 2012.  In tale contesto comunque la cosa che più stupisce è l’editoriale firmato da Eugenio Scalfari sulla Repubblica di domenica 25 marzo 2012 in cui  dipinge scenari da apocalisse sulla base della difesa del “simbolo” dell’articolo 18 da parte della CGIL,  banalizzando l’importanza dello stesso nel nostro ordinamento come qualcosa che non ha più senso  difendere, senza minimamente evidenziare l’importanza che tale decisione avrebbe per la vita futura dell’istituzione sindacale. Ecco cosa si nasconde a mio avviso dietro questa battaglia del Governo, che in fin dei conti come dice Scalfari  “…Il caso in cui è stato applicato il reingresso nel posto di lavoro negli ultimi dieci anni non arrivano al migliaio e soprattutto non ha mai avuto ripercussioni sullo sviluppo dell’economia reale e dei suoi fondamentali.”…. 
Allora vi torna? L’etica del lavoro dove sta di casa in questo Governo? Dove sono i piani per la creazione di nuovi posti di lavoro? Dov’è la programmazione dei settori dove si incentivi la creazione di nuove imprese con la conseguente pianificazione di nuovi posti di lavoro  di incentivi alla produzione, di valutazione prospettica di impatto sulla crescita del PIL, sulla crescita delle entrate fiscali e la redistribuzione delle stesse ai fini dello sviluppo economico? Dov’è la separazione tra debiti per investimento e debiti per spesa corrente? Ecco cosa significa Etica: conoscere il Bene ed attuarlo! Non fare ciò che risulta più semplice. Passi la posizione della Confindustria giustamente di parte, ma politici e giornali, in quanto non organi confindustriali, dovrebbero sottolineare meglio le ragioni e non prendere in giro le persone oneste che ritengono, purtroppo anche per loro superficialità, l’abolizione dell’articolo 18 come il motorino di avviamento della ripresa!