etica

"... Non vogliate negar l'esperienza di retro al sol, del mondo sanza gente. Considerate la vostra semenza fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza". (Dante, Inferno canto XXVI, 116-120).


mercoledì 18 marzo 2015

Etica d’impresa e commerciale… come ci si difende?

Il prof. Romeo Ciminello: "Subendo ci rendiamo colpevoli, consumiamo in modo critico per ritrovare la fiducia nelle aziende sane"


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L’impresa nella realtà socio-economica di qualsiasi Paese organizzato in attività sociali, istituzionali, commerciali, che fonda nell’organizzazione delle strutture la propria capacità di sviluppo, è l’elemento di riferimento per tutti gli operatori socio-economici, vale a dire per le famiglie, per la Pubblica Amministrazione, per le Banche e per l’operatore export, ecc.. Infatti l’impresa non solo produce beni e servizi, ma riconosce salari ai lavoratori, tasse al fisco, interessi alle banche da cui ottiene credito, premi alle assicurazioni e valuta straniera  in entrata o in uscita all’operatore estero nelle relazioni export-import.
 In tale contesto ciò che sottende la corretta impostazione dei rapporti è il coefficiente di fiducia espresso dalla stessa nelle relazioni con i propri interlocutori, che in lingua inglese vengono detti stakeholder in opposizione agli stockholder”, che sono i proprietari o i manager dell’impresa che ne detengono le azioni. A noi del Comitato di Promozione Etica Onlus, (www.certificazionetica.org)  e della 4metx srl (www.4metx.it), occupandoci di etica socio-politico-economica, sia in termini di prassi che di formazione, piace invece chiamarli in italiano e con un nome che ne definisca immediatamente il concetto: rischioesposti” i primi, e “rischioapportatori” i secondi. Infatti se si ragiona in maniera chiara su questi termini ci si accorge che tutti gli interlocutori come i dipendenti, le banche, i clienti, il fisco, la P.A., il territorio, ecc., sono tutti esposti al rischio riveniente dalle decisioni che imprenditori e managers prendono nel corso della vita dell’impresa, sia per ragioni industriali che per ragioni commerciali.Sempre rivolte alla massimizzazione dei loro utili.
 Allora come si dirime la questione? Molto semplicemente attraverso la cosiddetta prassi della fiducia. Vale a dire una relazione che permetta a tutti gli interlocutori di potersi fidare delle decisioni dei cosiddetti rischioapportatori, che devono essere prive di dolo. Purtroppo mi rendo conto che sto parlando di qualcosa come la fiducia e la mancanza di dolo che è divenuta merce assai rara nel contesto socio-economico di tutta l’organizzazione della nostra vita. Certo qualcuno potrebbe accusarmi di generalizzare, però ciò che vorrei sottolineare è che la prassi attuale, anche in coloro che vorrebbero essere eticamente corretti, impedisce di esserlo fino in fondo a causa delle distorsioni esistenti nell’ambito delle diverse relazioni. Infatti, la certezza che noi diamo all’esistenza di regole giuridiche a volte ci impedisce di capire che l’etica, purtroppo, è un’altra cosa e così rimaniamo vittime di alcune situazioni anche se non lo vorremmo.
Senza approfondire il concetto che rimanderei ad una riflessione più mirata, vorrei soltanto qui dire che la realtà giuridica implica le responsabilità legali, ma non certo quelle etiche; infatti tutti sappiamo che “fatta la legge scoperto l’inganno” e pertanto il limite legale in qualche modo può essere aggirato. Ma se ciò è vero per il limite legale, lo stesso non si avvera per il limite etico. Distinguiamo ben dunque tra i due! Il problema della fiducia si declina in tre grandi direttrici: la prima derivante dall’ambiente dicapitalismo di sottrazione in cui siamo ormai abituati a vivere, per cui anche sapendoci derubati ad ogni piè sospinto non ci domandiamo più nulla; la seconda è dovuta al fatto che esiste una differente forza contrattuale tra “rischioapportatori” e “rischioesposti”, per cui subiamo ogni qualsiasi tipo di pubblicità e promozione; la terza infine è la convinzione che non vi sia bisogno di etica quando ci sono già delle leggi, confondendo il piano legale con il piano etico.
Ora senza approfondire discorsi di natura che non possono aver spazio in questa sede e che rimando ad altri momenti e ad altri incontri dibattiti e conferenze, per le quali do la mia piena disponibilità, vorrei sottolineare innanzitutto che sempre più spesso la situazione di corruzione, concussione e violenza che tutti i giorni apprendiamo dai mass media, non dipende solo dalla “capacità truffaldina” di coloro che appartengono a imprese, enti od organizzazioni in grado di approfittarsi di situazioni limite, ma forse anche e più da noi consumatori che dimentichiamo di essere cittadini. Vorrei rilevare che molte volte dipende da noi, anzi il più delle volte dipende proprio dalla mancanza di un nostro vero coinvolgimento nel controllo di questo contesto di capitalismo di sottrazione e o di rapina: la nostra mancanza di attenzione verso quelle che sono le basi dell’etica ci impedisce di salvaguardarci e quindi rimaniamo spesso vittime della nostra mancanza di impegno. Ciò accade perché non sappiamo che etica significa “coscienza del rispetto delle regole”, non sappiamo come difenderci nelle vesti di dipendenti, o di consumatori, o di semplici cittadini che vivono su di un territorio il cui ambiente è fortemente inquinato dalle cosiddette “esternalità negative” dell’impresa o dell’organizzazione economica a cui spesso ci rivolgiamo, incoscienti del consenso che diamo loro.
Per essere chiari, dobbiamo dire che la fiducia che ricerchiamo deve basarsi su quattro elementi importanti: il primo è la competenza professionale di chi produce un prodotto o eroga un servizio; la seconda è la conoscenza dei limiti etici, e non solo di quelli legali, attinenti all’attività svolta dall’impresa e dalle sue maestranze; la terza è la trasparenza che supporta la relazione socio-economica; infine la censura sociale, vale a dire il rifiuto di entrare in relazione con chi non si comporta in maniera corrispondente ai dettami etici fino a che non dimostri un vero ed effettivo cambiamento. Credo che gli ingredienti ci siano tutti e che possiamo cominciare a capire perché dipende da noi e dalla nostra disattenzione. Innanzitutto ciò si spiega immediatamente quando accordiamo la nostra fiducia a produttori e professionisti che solo grazie alla pubblicità, o meglio “alle solite chiacchiere”, ci convincono di essere i migliori; in secondo luogo, non ci interessiamo assolutamente dei limiti etici che il nostro fornitore di prodotti e servizi dovrebbe evidenziare, pensando di non avere difese oppure semplicemente perché non ci poniamo il problema; in terzo luogo il problema della trasparenza dovrebbe interpellare il nostro vissuto quotidiano facendoci affrontare criticamente cosa si nasconde dietro le offerte di acquisto, oppure le promozioni, o le incentivazioni più allettanti; infine, l’ultima cosa che ci rende colpevoli è proprio questa incapacità di indignarci ed accettare, per nostra “effimera” (per non dire altro termine) convenienza economica, quello che ci viene propinato, anche se trattasi di un mero bisogno indotto.
Ecco allora che possiamo delineare in maniera più concreta la nostra realtà: siamo vittime dei “cinesi”, i cui prodotti cominciano ad essere rifiutati anche da loro stessi; siamo vittime delle società telefoniche che ci invitano ad aderire sulla base di “offerte impossibili” che poi paghiamo salatamente, senza rendercene conto, soltanto per non aver comunicato che non volevamo il roaming 3G, e non ci domandiamo perché la medesima società imponga il costo fino a che noi ne comunichiamo la disdetta e non viceversa; siamo vittime delle società che erogano energia e gas, la cui mancata lettura dei contatori ci accumula importi stratosferici a conguaglio, a causa delle sole stime effettuate da venditori che poi reputiamo disonesti come le compagnie di energia e gas; siamo vittime delle banche, i cui balzelli intrinseci ad un qualsiasi rapporto di credito o conto corrente o mutuo ci dissanguano inconsapevolmente, chiedendo di pagare il prezzo della loro cosiddetta “rendita di posizione”; siamo vittime delle società di assicurazioni, le quali si inventano di tutto pur di strapparci alla concorrenza, magari con offerte di cui non conosciamo la perniciosità e che non ci viene spiegata come il caso delle pratiche commerciali scorrette (concessionari che propongono RC Auto gratis per 1 anno, sottacendo che chi aderisce perderà la propria classe di merito, tornando all’ultima, e in più dovrà pagare anche una franchigia); siamo vittime di finanziarie che tappezzano le nostre stazioni della metro con cartelli che hanno delle indicazioni di credito chiaramente false in termini di Tan e di Taeg, rapportati all’importo ottenuto alla rata di restituzione ed all’importo da rimborsare; siamo vittime di cartelli al mercato di quartiere, dove oltre al prezzo delle derrate alimentari, chiaramente concordato in un oligopolio collusivo dei diversi banchi, manca anche l’indicazione della provenienza; siamo vittime dei  medici che in certi ospedali praticano diagnosi strumentali a ricoveri o a supposte operazioni per ottenere soldi dal sistema sanitario regionale; siamo vittime di Equitalia che manda cartelle pazze alle quali opporsi appare pressoché impossibile; siamo vittime dei comuni, le cui farraginose attività burocratiche e “multaiole” non hanno niente a che vedere con il rispetto delle leggi, ma solo con il problema di come fare cassa; abbiamo il problema della viabilità e delle buche dei semafori e dei vigili, ecc. Insomma da questa breve carrellata credo che si evinca che siamo purtroppo e fin troppo vittime del malaffare a tutti i livelli. Domandiamoci, perché?
Forse dovremmo cominciare ad argomentare eticamente le nostre scelte e le nostre spese; forse dovremmo promuovere una nostra migliore attitudine in termini di consumo critico; forse dovremmo cominciare a capire che ogni volta che facciamo un acquisto, che restiamo in silenzio davanti ad una situazione, che accettiamo un’ingiustizia anche commerciale, seppur minima, noi stiamo esprimendo un consenso, ed ogni volta che esprimiamo un consenso diamo un voto di elezione a colui o a chi ci sta frodando, derubando, turlupinando, ecc.  Ma non ci sono i codici etici? Che valore hanno? Nessuno ne segnala l’incongruità? E poi, non ci sono le associazioni dei consumatori? Che valenza hanno? Come le implichiamo se… le implichiamo?
Prof. Romeo Ciminello
Presidente del Comitato di Promozione Etica Onlus
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