etica

"... Non vogliate negar l'esperienza di retro al sol, del mondo sanza gente. Considerate la vostra semenza fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza". (Dante, Inferno canto XXVI, 116-120).


lunedì 28 gennaio 2013

ETICA E DIGNITA’ NELLE RELAZIONI UMANE


4. Una deviazione, nella quale si incorre spesso, sta nel fatto che si ritiene di poter regolare i rapporti di convivenza tra gli esseri umani e le rispettive comunità politiche con le stesse leggi che sono proprie delle forze e degli elementi irrazionali di cui risulta l’universo; quando invece le leggi con cui vanno regolati gli accennati rapporti sono di natura diversa, e vanno cercate là dove Dio le ha scritte, cioè nella natura umana.
Sono quelle, infatti, le leggi che indicano chiaramente come gli uomini devono regolare i loro vicendevoli rapporti nella convivenza; e come vanno regolati i rapporti fra i cittadini e le pubbliche autorità all’interno delle singole comunità politiche; come pure i rapporti fra le stesse comunità politiche; e quelli fra le singole persone e le comunità politiche da una parte, e dall’altra la comunità mondiale, la cui creazione oggi è urgentemente reclamata dalle esigenze del bene comune universale (Pacem in Terris).



Nonostante i toni conflittuali della presenta campagna elettorale che mi inviterebbero a parlare della vicenda Montepaschi per spiegarne in maniera chiara sia le finalità dei meccanismi occulti messi in atto, sia l’incompetenza dimostrata dei mass media a parlarne che la strumentalizzazione dei politici a scopi elettorali, preferisco fermarmi un attimo e fare silenzio.  Questa pausa di muta riflessione mi serve per mettere in evidenza che in questo giorno della memoria, dobbiamo guardare più intensamente la nostra realtà e prendere tutti coscienza che le relazioni umane debbono essere fondate su  una progettazione di convivenza che tenga sempre conto della dignità dell’essere umano. Sì, vorrei ricordare che esiste una regola etica che prescindendo dalla situazione sociale regola i rapporti di convivenza tra gli esseri umani al di là delle leggi che questi possono darsi.  Questa regola etica pur essendo importante ed imprevaricabile viene immancabilmente violata, se non in continuazione, almeno in fasi alterne, da uomini, stati, governi e gruppi sociali. La storia ci insegna infatti che l’uomo essendo un “animale sociale” ha bisogno di strutture per ordinare la propria socialità. Ma per dare ossatura a dette strutture deve far ricorso a quello che usualmente passano sotto il nome di “legge”. L’uomo quindi crea delle leggi per regolare i propri comportamenti sociali e per fare in modo che la regola, di solito imposta dallo stato, serva a mitigare il cosiddetto “potere del più forte”. La legge infatti esiste per proteggere i deboli dalla sopraffazione dei forti. Ciò avviene in virtù di un riconoscimento di eguaglianza tra gli esseri umani che deve essere ricondotto ad un unico concetto: la Dignità. Tutti gli esseri umani ne sono portatori, nessuno escluso. In virtù di questa dignità ogni uomo possiede diritti inalienabili ed imprevaricabili di cui il primo ed il più importante è la libertà. La dignità e la libertà sono direttamente proporzionali e perciò quanto più diritti di libertà si hanno, tanto più forte è lo spessore ed il livello della dignità che ogni personalità umana può esprimere. Sappiamo anche però che questi diritti di libertà non sempre trovano rispetto e riconoscimento, tanto dagli uomini stessi, che da gruppi sociali come da istituzioni. La violazione di libertà determina quindi la negazione della dignità e con essa l’abbattimento della natura dell’essere umano nei suoi caratteri più profondi e la riduzione alla condizione di schiavitù. La cosa più sconcertante è che questa prepotenza il più delle volte è mascherata da norme di legge. Si ho detto bene, norme di legge che vanno contro la loro natura, perché invece di salvaguardare i più deboli li rendono schiavi dei più forti, rendendoli inermi di fronte ad organizzazioni e istituzioni che pretendono di muoversi in punta di diritto, sulla base di regole emanate dall’organo legittimato a promulgarle. Una di queste regole che oggi vogliamo ricordare sono le cosiddette “leggi razziali” che hanno condotto e motivato la deportazione e la morte di circa se milioni di innocenti. Non saprei dire se sotto il profilo umano possiamo interrogarci sul perché oppure dobbiamo solo convincerci che non c’è un perché umano a tale situazione. C’è solo una manifesta disumanità. C’è solo un abbandono di ogni relazione esistenziale che si fondi sull’intelletto. C’è un abbandono o meglio un rifiuto insensato della visione umana dell’essere. In tale situazione si verifica un fatto contraddittorio e speculare: il rinnegamento della dignità all’altro essere umano, anche in forza della legge, determina l’abbrutimento e quindi il rifiuto della propria dignità da parte di chi opera tale rinnegamento. Ciò che viene da chiedersi è non tanto il perché, quanto più, come, ciò possa avvenire. La risposta certamente complessa non è però difficile da comprendere perché pur se una legge viene promulgata in un dato momento storico, essa non è solo il frutto di quelli che la promulgano, bensì, molto più concretamente, il risultato dell’orientamento preso da uomini, stati e governi che nella pretesa di agire per il bene comune si rendono colpevoli di crimini inauditi. Allora la spiegazione è che pur se si agisce nella legge, non è la legge la causa dell’azione, anche se la giustifica, la causa è l’orientamento che l’essere umano, singolarmente o in gruppo, assume e sperimenta giorno dopo giorno, convincendosi che tale linea di decisione ed azione sia giusta. La cosa che più sconcerta è che man mano che passa l’idea gli esseri umani si convincono a vicenda e sempre più numerosi che un certo atteggiamento, pur se sbagliato, pur se contro natura, pur se abominevole, sia la cosa giusta. E’ come il crescere della marea flusso dopo flusso, questa idea si espande e monta, sale fin al livello che ne determina il punto di non ritorno e che spinge i detentori del potere a promulgare la legge che legittimi tale comportamento. In questo processo avviene la trasformazione dell’essere umano in adepto in un seguace e fautore della differenza sancita dalla legge. La convivenza non è più dettata da equilibri di relazione, ma soltanto dall’esistenza o meno di una condizione. La convivenza non esiste più come categoria di relazione umana, ma solo come elemento discriminante tra amici e nemici, tra cittadini e non, tra gruppi etnici determinati da differenze insanabili e relative a realtà fisiche, politiche, religiose o etniche. La convivenza  sinonimo di relazione tra uguali si trasforma quindi  in relazione disastrata tra forti e deboli, tra più uguali e meno uguali. La convivenza non esiste più e al suo posto prende forma un altro tipo di relazione: carnefice e vittima. Il giorno della memoria deve servirci a questo: ricordare che ogni uomo ha il diritto originario alla libertà all’uguaglianza ed alla fraternità  come fondamenti della convivenza e come sancito prima che dalla legge, sul piano organizzativo e giuridico, dalla coscienza avvertita  sul piano esistenziale, qualora non si riesca ad ancorare il proprio pensiero posso indicare due riferimenti importanti: il primo sul piano esistenziale lo troviamo nella enciclica Pacem in Terris al punto 5 “…[…]… In una convivenza ordinata e feconda va posto come fondamento il principio che ogni essere umano è persona cioè una natura dotata di intelligenza e di volontà libera; e quindi è soggetto di diritti e di doveri che scaturiscono immediatamente e simultaneamente dalla sua stessa natura: diritti e doveri che sono perciò universali, inviolabili, inalienabili….” Il secondo sul piano organizzativo lo troviamo nell’articolo 3 della nostra costituzione: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Allora per terminare vorrei ricordare che l’orientamento verso certe prassi comincia dalle fasce sociali ed arriva alla sfera politica con l’uso strumentale della funzione economica e quindi la campagna elettorale, i programmi proposti dalle forze politiche, gli obiettivi programmati dai diversi leader di partito devono farci riflettere su come dirigono il nostro orientamento e quindi come tratteranno e saremo costretti (dalla legge) a trattare le minoranze, gli emarginati, gli emigrati, gli esodati, i detenuti, i senza cittadinanza ecc. avendo ben presente che l’ordine costituito, se non ordinato ai diritti umani, crea quelle discriminazioni che se in passato si sono chiamate esplicitamente “leggi razziali”, in futuro potranno chiamarsi  più ipocritamente “leggi di convivenza sociale” .