etica

"... Non vogliate negar l'esperienza di retro al sol, del mondo sanza gente. Considerate la vostra semenza fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza". (Dante, Inferno canto XXVI, 116-120).


giovedì 5 marzo 2015

Giornalismo, diritti cultura ed etica

Il saggio sa quello che dice mentre lo stupido dice quello che sa
(Confucio)




Giornalismo, diritti cultura ed etica
Sono appena ritornato dalla Repubblica Democratica del Congo e non ho avuto neanche il tempo di arrivare e rilassarmi un po’, che leggendo un articolo apparso sull’Espresso on-line del 16/2/2015,  non ho potuto fare a meno di affidare a tutti la presente riflessione che ritengo debba essere diffusa per far sì che questo nostro Paese, sulla scia di una non bene identificata finalità di salvaguardia dei diritti, non divenga invece la pattumiera di idee, di concezioni pluri-soggettive e di ideologie devastanti diffuse da “giornalisti” che io ritengo non abbiano letto e tantomeno capito quella frase di Confucio da me riportata come incipit.
Per permettere a tutti di capire le mie riflessioni, riporto l’introduzione dell’articolo con il nome del suo estensore, così chi vorrà potrà ancor più approfondire la correttezza interpretativa di quanto sto dicendo:  Messa? Sì, grazie. Non è un Paese per atei  Sono centinaia le segnalazioni dell’associazione Uaar di intrusioni e sconfinamenti confessionali nella vita degli italiani: funzioni in orario di lavoro, celebrazioni obbligatorie per i militari e il “bollino di buon cattolico” in caso di affidamento e adozioni. E nella scuola, laica sulla carta, nessuna alternativa all’ora di religione. ( di Michele Sasso).
Ho scritto spesso della necessità che l’informazione venga erogata con intelligenza e soprattutto nel rispetto di chi legge. Purtroppo ancora una volta appare evidente la posizione “scoopista”  anche del giornalista citato al quale pare proprio che la notizia non interessi dal punto di vista contenutistico, bensì solo dal punto di vista “economicistico”. Insomma, per un giornalista come in questo caso parrebbe non tanto importante l’informazione, quanto più semplicemente l’effetto “ritorno” che se ne possa avere per poter vendere più copie del giornale o rivista in cui appare l’articolo. Oppure per suscitare una indignazione indotta, ma “pagante” grazie ad un argomento che se letto in maniera superficiale, come purtroppo oggi sempre più spesso accade, sia in grado di scatenare l’emotività del lettore per indurlo a reagire in maniera impulsiva. In questo modo alcuni giornalisti si guadagnano anche i premi messi in palio da associazioni mass-mediatiche, assegnati senza alcun senso critico sulla maniera di fare giornalismo.
Non voglio dilungarmi su questo argomento perché tanto, leggendo l’articolo, se ne comprende la “superficialità del ragionamento proposto” e la “povertà” della notizia riportata. Una cosa però ci tengo a dire: finché esisterà spazio per  giornalisti  “pennette” o “scribacchini”, è inevitabile, che la nostra dignità di lettori e di cittadini continui ad essere offesa e considerata da parte loro di “very low profile”. Poi analizzando anche  il metodo con cui alcuni di essi scrivono e presentano i fatti, appare evidente che  pensino di trovarsi davanti a lettori incapaci di formarsi una propria opinione e che  preferiscano piuttosto farsi “imbottigliare” dal primo “imbrattacarte” di turno. Quest’ultimo forse, non reputandosi adeguatamente apprezzato dalle riviste “cartacee titolate“ per rincorrere la notorietà, preferisce utilizzare  una “stessonomerivista.it”  anche perché probabilmente l’Editore del rotocalco ufficiale,  intelligente e scaltro, sa bene che, se i lettori che acquistano pagando la rivista ufficiale in edicola, si trovassero a leggere quelle quattro inconcludenti “chiacchiere”,  probabilmente non l’acquisterebbe più! Ma cosa manca, qualcuno si domanderà,  nell’articolo citato? E’ la correttezza. Vale a dire che quando si fa un’indagine giornalistica, seria e non ideologica e si vogliono dimostrare delle vere posizioni di opinione o situazioni realmente esistenti, l’indagine deve, non dico rispettare la “par conditio”, come nella comunicazione politica,  ma deve almeno riportare i fatti con un minimo di situazione e di contraddittorio! Riportare in maniera anche pedissequa e minuziosa alcuni  “asettici” virgolettati di soggetti che lamentano discriminazioni, senza però riportare benché la minima opinione di raffronto con chi invece è in posizione diversa e di differente opinione,  fa sì che la comprensione divenga strumentalmente distorta al punto che se intendessimo  un articolo come un documento ufficiale, “falsificato” però nel suo contenuto in quanto riporta solo ciò che interessa far rilevare e non già ciò che è vero, potremmo dire che l’informazione  viziata da “mancanza di precisione” indurrebbe quasi per analogia ad ipotizzare ciò che nella giurisprudenza si chiamerebbe “falso ideologico” in quanto la notizia, pur vera, mancando del peso del contraddittorio da cui il lettore potrebbe evincere l’equilibrio equitativo della verità, è in realtà falsata nella sostanza. Se il giornalista pertanto vuole svolgere il proprio lavoro con coscienza e correttezza, anche se gli costa fatica deve riportare il dibattito effettivo esistente fra le diverse posizioni e non il “rintocco di una sola campana”!

DIRITTI   
Riguardo ai diritti invece vorrei solo sottolineare il problema di percezione degli stessi da parte dei cittadini, e, che un bravo giornalista dovrebbe sforzarsi di capire e riportare. I diritti, non appartengono alla sfera delle convinzioni dei singoli, anche comuni,  non consistono nel vedere le cose a proprio modo o rivendicare una posizione soggettivamente voluta. Il diritto, come nel caso dei diritti umani, è sancito dalla legge naturale che è in funzione di un ordine che, a sua volta, deve essere al servizio e al raggiungimento del bene comune. La legge naturale quindi presenta un carattere di razionalità da cui l’uomo non può prescindere. Anche quando pensa di sentirsi soggettivamente discriminato. Il comando “fare il bene e non fare il male” riceve la sua forza di legge, non dal soggetto ma “perché voce e interprete di una ragione più alta, da cui la ragione e la libertà nostra dipendono in modo assoluto”. Questo assunto, per chi vuole può essere approfondito nel punto 16 della Costituzione Pastorale Gaudium et Spes. Secondo l’antropologia cristiana, che è unica a mostrare interesse ad approfondire questo concetto, il percorso logico indicato è: la ragione illumina la libera volontà allo scopo di permetterle di scegliere tra il bene e il male. Ci si aspetterebbe perciò che la decisione fosse ‘per il bene’! Perché l’uomo libero è soggetto alla legge di ragione. Questo viene insegnato dalla religione, almeno quella cristiana cattolica. Tuttavia potenzialmente, in ogni essere umano,  la decisione può essere anche ‘per il male’, moralmente qualificato come disordine o ‘peccato’. Quindi per bene operare, occorre essere libero per il bene e non per raggiungere il proprio piacere o la propria soddisfazione. Se così fosse non ci sarebbe libertà, ma semplicemente schiavitù e asservimento alle proprie convinzioni. La legge naturale, cioè la legge della ragione, è data all’uomo per aiutarlo ad indirizzare tutti i suoi impulsi al bene e per ritrarlo dal male. Gli è stata data una regola  “di ciò che si deve fare ed omettere”. Di tale regola però, occorre averne coscienza per accettarla con estrema libertà e senza costrizione, perché laddove questa legge costringe si è in presenza di una mancanza oggettiva di libertà, perché dove c’è costrizione non c’è libertà mentre chi è libero, al contrario, è padrone di fare e di non fare, perché il giudizio della ragione precede la sua libera scelta.  Questo vale anche in termini di libertà religiosa la cui scelta contribuisce allo sviluppo integrale dell’uomo “ di tutto l’uomo, di ciascun uomo e di tutti gli uomini”.  Allora si avvera anche l’assunto che nella piena dignità dell’essere umano “la mia libertà non finisce dove comincia quella dell’altro, bensì comincia dove comincia quella dell’altro” e  se questa libertà si configura come vera cultura di libertà che non può non includere quella spirituale, nessuno può ignorare o porsi contro la finalità di bene, promossa dall’educazione religiosa. Perciò tutto dipende da come s’intende la libertà. Se essa s’identifica nel “fare quello che voglio” oppure “ciò che mi piace e senza nessun limite”, o ancora di più “quello che ideologicamente mi è conveniente” (come nel potere arbitrario, arbitrio, capriccio!), finalizzato a obiettivi politici, economici o di altra natura, il parlare di ragione o legge di ragione perde la sua valenza. Quella libertà, infatti, che non conserva in sé la legge naturale, umana e di ragione, non è più libertà, ma autodistruzione nel disordine e disorientamento della persona. Si tratta di una falsa libertà che oggi sembra prevalere nel mondo contemporaneo e che nella prassi si esprime come diritti senza doveri. Per non citare i diritti reclamati a prescindere dalla propria natura, come l’impossibilità di procreare da parte di una coppia omosessuale o di avere figli laddove non se ne possono avere oppure ottenerli con il prestito d’utero  o con gameti artificiali.  Ciò che invece come essere umano, come cittadino e come cristiano mi sento di proporre per la vera salvaguardia dei diritti è una libertà ordinata, cioè coerente al suo fine ultimo, cioè il bene comune. L’uomo libero, in quanto tale, è manifestamente  provvisto di dignità che si configura nella conoscenza della propria dimensione di umanità e pertanto soggetto alla legge della ragione. Il rifiuto tout court della prassi religiosa, perciò, senza la comprensione critica della sua valenza spirituale o almeno del suo carattere fondativo della storia dell’uomo, rivolta alla promozione di valori buoni e non di fondamentalismi più o meno rigidamente intesi, non può essere accettato da un essere umano che vuole dirsi razionale,  come in questo caso in cui possiamo parlare paradossalmente di “ateismo fondamentalista”. 
CULTURA 
Tutto il ragionamento sopra esposto si inquadra quindi nella cultura dell’essere umano, cultura legata alla finalità di bene fondato sulla visione delle prospettive umane filtrate dall’esperienza, anche come educazione religiosa, che interroga l’intelligenza e cerca di rispondere in maniera razionale alle domande esistenziali dell’uomo che da quando è apparso sulla faccia di questa terra sono sempre le stesse: chi sono? da dove vengo? dove vado? che senso ha la mia esistenza. Ecco allora che si spiega il movente della ricerca di senso religioso o di senso della fede. Quando lo si nega, si nega la propria umanità. La cultura permette di riscoprire la natura creaturale dell’essere umano che non può decidere per sé “a prescindere” anche se ha la libertà di farlo. La sua cultura pertanto deve essere ordinata all’esperienza di vita che la storia gli propone facendogli capire chiaramente che la sua natura è quella di rispondere attraverso la fede in maniera incondizionata ad un comando interiore che è quello di fare il bene e fuggire il male. Questa è la vera educazione religiosa, che purtroppo viene mal interpretata da chi l’avversa con fanatismo radicalmente antireligioso. Ciò origina dal fatto che i sistemi di sviluppo basati su una visione sempre più libertina e neoliberista, gli indicano viceversa che ciascuno essendo padrone della propria vita, può diventarlo anche di quella degli altri attraverso l’esercizio del potere. Potere però, si badi bene non solo materiale, ma anche di imporre le proprie idee, atee o artificialmente religiose, a prescindere dal vero, giusto e buono che il giudizio di ragione ci propone. La cultura pertanto diventa elemento strumentale delle mode, delle ideologie, dei fondamentalismi e fa perdere all’uomo la speranza nelle sue capacità e nelle sue potenzialità riducendolo schiavo di totalitarismi che si servono sempre più di tecnologie materiali ed artificiali che il mondo globalizzato ci ha insegnato a condividere omologando diritti e doveri esclusivamente alla soggettività anarchica dell’essere umano che degenera sempre di più verso uno stato di subdola schiavitù difficilmente avvertibile, se non quando si è al limite del disastro. Ciò vale per la società, per la politica, per l’economia, per la tecnologie e per la religione.


ETICA

Che fare dunque? Occorre un ritorno all’etica. Etica pura come conoscenza del bene. Normativa, indicativa, ed esplicativa della realtà dell’uomo come coscienza della regola che persegue il bene conosciuto. Etica applicata come scelta tra le alternative disponibili, se morali, di scegliere l’azione o la decisione che nel rispetto della dignità dell’uomo e nella promozione del bene comune, si fondi sulla legge naturale, vale a dire la regola di ragione ed in quanto tale sia cosciente delle responsabilità orizzontali e verticali che l’essere umano si addossa con la propria condotta. Questo perché l’essere umano è l’unico essere provvisto di dignità. La dignità viene misurata nel suo spessore dalla libertà goduta dall’essere umano stesso che in caso contrario sarebbe uno schiavo e dalla sua capacità “lavorativa” vale a dire di custodire, anche trasformandolo, il creato nel rispetto della legge naturale: attività di lavoro che lo avvicina a Dio. Premesso ciò, dobbiamo dire che questa dignità che risiede nella personalità di ogni uomo, unica ed irripetibile, si serve della razionalità e della volontà per esprimere una decisione o un giudizio preso con una coscienza avvertita e che pertanto lo determina all’azione. Tale azione comporta delle conseguenze. La misura di queste conseguenze è la responsabilità che solo l’essere umano, possiede in natura, come la propria dignità esclusivamente per il solo fatto di essere “eminentemente” uomo e pertanto rivolto al bene.