etica

"... Non vogliate negar l'esperienza di retro al sol, del mondo sanza gente. Considerate la vostra semenza fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza". (Dante, Inferno canto XXVI, 116-120).


lunedì 5 agosto 2013

LA GIUSTIZIA, ETICA, MISERICORDIA


20Disse allora il Signore: «Il grido di Sòdoma e Gomorra è troppo grande e il loro peccato è molto grave. 21Voglio scendere a vedere se proprio hanno fatto tutto il male di cui è giunto il grido fino a me; lo voglio sapere!».
22Quegli uomini partirono di là e andarono verso Sòdoma, mentre Abramo stava ancora alla presenza del Signore. 23Abramo gli si avvicinò e gli disse: «Davvero sterminerai il giusto con l'empio? 24Forse vi sono cinquanta giusti nella città: davvero li vuoi sopprimere? E non perdonerai a quel luogo per riguardo ai cinquanta giusti che vi si trovano? 25Lontano da te il far morire il giusto con l'empio, così che il giusto sia trattato come l'empio; lontano da te! Forse il giudice di tutta la terra non praticherà la giustizia?». 26Rispose il Signore: «Se a Sòdoma troverò cinquanta giusti nell'ambito della città, per riguardo a loro perdonerò a tutto quel luogo». 27Abramo riprese e disse: «Vedi come ardisco parlare al mio Signore, io che sono polvere e cenere: 28forse ai cinquanta giusti ne mancheranno cinque; per questi cinque distruggerai tutta la città?». Rispose: «Non la distruggerò, se ve ne troverò quarantacinque». 29Abramo riprese ancora a parlargli e disse: «Forse là se ne troveranno quaranta». Rispose: «Non lo farò, per riguardo a quei quaranta». 30Riprese: «Non si adiri il mio Signore, se parlo ancora: forse là se ne troveranno trenta». Rispose: «Non lo farò, se ve ne troverò trenta». 31Riprese: «Vedi come ardisco parlare al mio Signore! Forse là se ne troveranno venti». Rispose: «Non la distruggerò per riguardo a quei venti». 32Riprese: «Non si adiri il mio Signore, se parlo ancora una volta sola: forse là se ne troveranno dieci». Rispose: «Non la distruggerò per riguardo a quei dieci». GENESI CAP. 18




Quando parliamo di giustizia, in questi giorni, anche se potremmo dire  in questi ultimi 20 anni, non solo ci viene subito chiaro in mente il “soggetto” a cui ci riferiamo, ma credo che quasi tutti ormai riscontriamo una difficoltà di capire quale sia il contenuto esatto di questa parola, ormai stravolta nella forma e nella sostanza da molteplici interpretazioni di parte. In questo contesto appare evidente che la giustizia umana non esiste, come idea in se stessa, perché l’uomo purtroppo non è mai imparziale, però io credo che ciascuno di noi sia chiamato a fare un ragionamento molto serio prima di parlare di giustizia. A livello etico la giustizia va considerata come l’elemento che salvaguardando il bene comune propriamente inteso,  bilancia diritti e doveri dando esattamente a ciascuno ciò che gli spetta nei tre sensi della giustizia: legale, redistributiva e commutativa. Ciò purtroppo non sempre si verifica, anche se la volontà degli uomini si sforza per ottenerlo. Infatti mentre la giustizia divina, alla fine dei tempi, non ammetterà dubbi e parzialità e sarà piena di misericordia, come raccontato nel brano della Bibbia, la giustizia degli uomini proprio perché conscia delle difficoltà di equilibrio normativo, deve avere una struttura asettica. Ecco perché si è perfezionata nel tempo, passando da una giustizia autocratica esercitata dal sovrano, ad una giustizia democratica esercitata da uno dei tre poteri, ma in momenti ben individuati che ne garantiscano l’equità. Abbiamo infatti un momento legislativo, interpretato dal parlamento, ed un momento applicativo esercitato dalla magistratura. Abbiamo perciò il legislatore che formula la norma, ne interpreta la violazione e stabilisce la sanzione. Questo è il Parlamento. Poi abbiamo la Magistratura che è chiamata ad applicare la giustizia esattamente come formulata, interpretata e sanzionata dal legislatore. L’unica cosa lasciata al giudice è la cosiddetta equità, in quanto la norma essendo una fattispecie astratta e generale, a volte nel ricondurla al caso concreto potrebbe non corrispondere esattamente allo spirito della norma stessa, per cui l’intervento del giudice in sede di applicazione ed in base all’esercizio del principio di equità dovrebbe riportare i termini all’equilibrio sostanziale. Dunque se siamo tutti d’accordo su questa impostazione non si può negare che c’è un soggetto che formula la norma ed un altro soggetto completamente diverso che è chiamato ad interpretarla ai fini della migliore applicazione. Tutto ciò è dunque una garanzia.

LE SENTENZE
Allora a questo punto possiamo anche domandarci perché le sentenze, come quella che in questi giorni sta occupando ogni più piccolo spazio dei mass media, devono essere contestate? Ogni sentenza da parte dei giudici è frutto di una immedesimazione, di uno studio e di una ricerca in via analogica che nel rispetto della coerenza applicativa ne determini anche la certezza del diritto. Se crediamo nella democrazia e nella tripartizione dei poteri in Legislativo Esecutivo e Giurisdizionale, non riesco a capire perché ci sia tanta levata di scudi: Inoltre a voler essere onesti, il nostro ordinamento democratico è anche garantista al massimo, in quanto prevede tre gradi di giudizio prima che una sentenza diventi definitiva e pertanto eseguibile. Abbiamo quindi due giudizi di merito di primo e secondo grado e poi un terzo giudizio, cosiddetto di legittimità, mirato a garantire l’esatta applicazione della norma anche nella sua formalità e  proceduralità. A questo punto la perfezione della sentenza in termini tecnico giuridici è piena e quindi esecutiva. Certo il mondo degli uomini non sempre è perfetto, ma in questo caso occorre dire che ricerca la perfezione, poi ovviamente l’eccezione e l’errore ci possono ahimè, sempre stare, perché come dicevamo l’uomo non essendo perfetto a volte si lascia prendere la mano dal sentimento, dall’interesse o dal timore ed esprime forzature anche laddove non dovrebbero esserci. Il giudice comunque per essere tale deve attenersi alla norma ed applicarla con onestà. La sua imparzialità non gli deriva dalla sua appartenenza territoriale o dalla sua fede politica. Il giudice radica la sua imparzialità nell’etica della norma, nella competenza professionale e soprattutto nella certezza della rispondenza al dettato della legge che gli dà il mandato di giudicare.  Il giudice per essere tale non ha bisogno di essere eletto dal popolo, questo non è elemento di garanzia della sua imparzialità, né di dover rispondere all’esecutivo che ne può delimitare la libertà di operato. Il giudice deve avere la garanzia di  autoreferenzialità, anche se ciò potrebbe “suonare strano” a qualcuno e per la quale il giudice potrebbe anche errare, ma non in tutti e tre i gradi di giudizio. I padri fondatori della nostra Repubblica hanno inteso bene questo concetto ed infatti  ci sono diversi articoli a salvaguardia della giusta applicazione della giustizia e della salvaguardia della libertà dei giudici. Basta ricordare gli art. 3-13-24 e 25 dei diritti fondamentali e dei doveri e rapporti tra i cittadini, nonché gli art. 101-113 sull’ordinamento giurisdizionale. Le sentenze pertanto quando sono perfette, tranne che in rare e provate eccezioni, dopo i tre gradi di giudizio devono essere esecutive e non ammettere eccezioni proprio perché ex art. 3 : tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge.

L’ETICA
Questa concezione deve essere il punto di riferimento sostanziale dell’uomo politico. Se è vero che la politica rappresenta la quintessenza dell’etica, l’uomo politico non può assolutamente distaccarsene. Allora, se etica è visione oggettiva del bene comune, l’uomo politico che per sue vicissitudini si trova invischiato non in diatribe politiche, lì non avrebbe senso parlare di giustizia  essendo il campo dell’immunità applicabile a pieno titolo, ma in reati comuni, dove sostanzialmente tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge, non potrà disattenderla. L’uomo politico non può essere considerato “più uguale” di altri. L’uomo politico deve ricevere lo stesso trattamento che riceverebbe qualsiasi altro cittadino. Inoltre l’uomo politico non può invocare il sostegno dei suoi elettori, anzi dovrebbe vietarlo, se vuole dare il buon esempio. La dignità della persona umana si riscontra nella sua capacità di stare in giudizio e non nel voler “aver ragione a tutti i costi anche laddove è appurato istituzionalmente, pubblicamente ed ufficialmente con dati di fatto che non ce n’ha”. Inoltre nel caso che oggi interessa ogni italiano, in quanto lo chiama a misurarsi con la dimensione responsabile della propria cittadinanza, non possono gli elettori o i “clientes” di un politico scendere in piazza per protestare contro l’applicazione di una sentenza per rati comuni. Politici che minacciano inopinatamente  il rischio di una “guerra civile” per difendere l’impunità di quello che il nostro Ordinamento repubblicano definisce un comune “delinquente” condannato per truffa fiscale allo Stato.  Non è Etico! Anzi dovrebbe accadere il contrario: essi in blocco dovrebbero indignarsi per la mancata esecuzione della stessa con il rinvio a settembre prossimo: non ci sono ragioni che tengano. Non riesco a comprendere come certi politici che hanno svolto anche funzioni di Ministro di importanti funzioni sociali  “perfetti parvenu della politica” di cui dimostrano di non conoscerne il carattere di “nobiltà” che le spetta, non abbiano il pudore di rilasciare interviste televisive esprimendosi con giudizi faziosi, da “mentalità prezzolate” che dimostrano di non saper distinguere il diritto dalla politica e il dovere di pagare le imposte dal fatto di aver creato dei posti di lavoro. La legge non ammette mancanze. Se un cittadino viola una norma, anche colposamente è sottoposto a giudizio e a sanzione. Non vedo perché un politico, pur se è stato premier e ha violato una norma non debba ricevere lo stesso trattamento. Pur se questi “sois-disant” politici, (ricordiamo tutti designati e non eletti) non hanno rispetto dei molti imprenditori che, anche se erratamente, per il rispetto della loro dignità, sono giunti al punto di suicidarsi per l’impossibilità a volte oggettiva di pagare le tasse, devono comunque loro malgrado essere coscienti e riconoscere che colui che evade deve, almeno per il nostro ordinamento, essere considerato un “delinquente”. Quale logiche sono alla base di queste loro levate di scudi? Qual è per loro l’etica che sottende queste difese illogiche oltre che sul piano giuridico anche politico e umano? L’unica spiegazione che se ne può dare è che tale difesa è necessaria alla loro sopravvivenza perché senza la presenza di quello che la legge reputa un truffatore fiscale e pertanto “delinquente” probabilmente cesserebbero di esistere e dunque la lotta per la sopravvivenza ne giustifica la presa di posizione. Certo che dimostrazione peggiore agli occhi del mondo, non potevamo dare se pensiamo che in altri Paesi basta un semplice errore che ne incrina l’immagine, per indurre il politico alle dimissioni!

LA GRAZIA
Ma non finisce qui il teatrino! Si inneggia al trattamento incostituzionale, alla mancanza di riconoscimento dei meriti….di chi ha lavorato alacremente per il Paese??!!?? e poi? due politici tra quelli prima citati che fanno? senza vergogna comunicano di voler chiedere la grazia? per “l’agibilità politica” del loro leader. Qui veramente sorge il problema di richiamare gli elettori di questo partito ad un esame di coscienza. Se l’avesse detto l’uomo della strada non ci avrebbe fatto alcun senso. Detto da questi, invece, di cui uno tra l’altro è stato la seconda carica dello stato ed è anche giurista, che dovrebbe sapere chi può chiedere la grazia e perché, credo che debba far riflettere. Mi pare uno strumentale effetto annuncio di grande stampo elettorale. Certo che tutti coloro che vorranno continuare a votare per il pregiudicato e colpevole, anche se graziato potranno farlo, a meno fino a che non lo si interdica dalla funzione pubblica. Chiunque è libero di restare nel partito di un condannato con sentenza esecutiva per un reato fiscale. Nessuno lo vieta. Però gli elettori di questo partito devono ricordare bene che, per chi si macchia di reati comuni, ufficialmente accertati da un processo e sanzionati da un tribunale,  il fatto di aver creato un partito, di essere capo di una lista elettorale o di aver fatto il premier di governo per diversi anni, non dà in alcun Paese del mondo il diritto all’immunità, e all’impunità e….tantomeno alla vergogna della “grazia” o l’escamotage della multa. Tutte queste soluzioni suonerebbero innanzitutto come uno schiaffo in faccia alla dignità dei suoi elettori ed una aggressiva e insopportabile prepotenza nei confronti del paese e di tutti i cittadini. Gli elettori che hanno coscienza di ciò sappiano bene che il solo chiedere o anche ipotizzare le soluzioni suddette è un atto di aggressione alla democrazia.

ULTIMA SOLUZIONE
Ciò che più mi preoccupa invece è che il copione sia stato studiato da tempo e che mentre si danno in pasto all’opinione pubblica certe notizie in realtà il disegno è già predisposto. Spero di no. Voglio comunicarlo solo per esorcizzarlo, perché non avvenga, ma dall’esperienza che abbiamo avuto in questi vent’anni, dalla mancanza di etica dimostrata in tutti i frangenti dalla continua scoperta di accordi ed inciuci politici nulla vieterebbe che, interpretando il comunicato rilasciato dal leader del partito subito dopo la riunione dei fedelissimi seguita alla sentenza di condanna, alla fine la vicenda si risolva in questo modo: senza togliere la fiducia al governo, tutti i deputati del Pdl concordino con il sostegno del Pd che non vuole rinunciare al governo, un progetto di legge per ottenere una nuova legge sulla giustizia che distinguendo le carriere dei magistrati ponga la funzione di pubblico ministero sotto l’egida dell’esecutivo. Una volta approvata la variazione del nuovo ordinamento giudiziario si renderebbe necessaria l’emanazione di una amnistia che metterebbe fine a tutti i processi, quelli in atto e quelli da fare, avverando il contenuto del comunicato del Presidente della Repubblica: “… Ritengo ed auspico che possano ora aprirsi condizioni più favorevoli per l'esame, in Parlamento, di quei problemi relativi all'amministrazione della giustizia, già efficacemente prospettati nella relazione del gruppo di lavoro da me istituito il 30 marzo scorso. Per uscire dalla crisi in cui si trova e per darsi una nuova prospettiva di sviluppo, il paese ha bisogno di ritrovare serenità e coesione su temi istituzionali di cruciale importanza che lo hanno visto per troppi anni aspramente diviso e impotente a riformarsi". e…… tutto finirebbe a …tarallucci e vino!!  Sembra fantapolitica…..ma…mai dire mai!!!