etica

"... Non vogliate negar l'esperienza di retro al sol, del mondo sanza gente. Considerate la vostra semenza fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza". (Dante, Inferno canto XXVI, 116-120).


martedì 10 aprile 2012

Il valore della vita



                                                     Ad un certo punto della vita non è 
la speranza l’ultima a morire,
ma il morire è l’ultima speranza.
(“Una storia semplice” -  L. Sciascia ).


Dopo l’ultimo annuncio apparso il 6 aprile sul Sole 24 Ore : “È morto Giuseppe Campaniello, il 58enne di Ozzano che mercoledì 28 marzo si era dato fuoco davanti agli uffici della Commissione tributaria di via Paolo Nanni Costa a Bologna. L'artigiano, schiacciato dal peso dei debiti, aveva riportando ustioni gravissime su tutto il corpo. L'uomo è deceduto oggi nel reparto dell'unità operativa di prima anestesia e rianimazione dell'Ospedale di Parma, dove era stato trasferito in elisoccorso nove giorni fa, subito dopo il gesto suicida.”  non possiamo non farci alcune domande.
Innanzitutto viene da chiederci non il perché del gesto, in quanto la spiegazione è evidente; bensì quale valore economico può essere stimato così grande per un uomo, al punto di sacrificare il valore più grande che un uomo ha: la propria vita? E ancora, quale filo unisce l’ultimo elenco di suicidi per ragioni economiche che per dovere di umanità desidero ricordare  anche senza conoscerne il nome? Inoltre, e questa domanda deve farci riflettere ancora di più…., come possiamo accettare una manovra di governo che spinge (sperando che non diventi di massa) verso un destino di disperazione che come alternativa alla speranza ha solo la morte?
Mi viene da chiedere ancora, che sistema abbiamo creato? Quali sono le cause che impediscono all’uomo di ribaltare le posizioni da lui attuate? Non è l’uomo il fine di tutto?
Certo queste domande non scalfiscono chi non percepisce in profondo il senso vero dell’etica e cioè la conoscenza del bene e l’azione possibile atta a riprodurlo. Tanto meno l’impostazione economicistica che abbiamo dato al senso odierno della vita. E’ vero che il mondo nella sua storia ha vissuto momenti legati anche alla schiavitù per motivi economici, ma allora, è doveroso chiedersi, il progresso che senso ha? La vita può essere valutata come una cambiale in scadenza il cui mancato pagamento porta al fallimento? Quale senso possiamo dare al gesto inconsulto che pone “il morire come ultima speranza”?
Sì, parliamo proprio di ciò che lega questi gesti alla loro causa: la perdita di dignità e con essa la distruzione del tessuto di umanità che dovrebbe proteggere ogni uomo all’interno della propria struttura sociale. E’ il modello di sviluppo in essere che ci rende vulnerabili, è il genere di vita che ci viene imposta dai modelli di consumo, sono i costi dei servizi pubblici, sono le sperequazioni di reddito che permettono a chi più ha di divenire sempre più ricco e a chi non ha di divenire sempre più povero. E’ il cosiddetto capitalismo di sottrazione. Un modello di sviluppo in cui è assente la nozione di giustizia sociale nelle sue componenti: legale, redistributiva e commutativa. E’ la mancanza delle tre progettualità strategiche fondamentali per lo sviluppo del Paese che ci deprime: manca innanzitutto una progettualità politica in grado di dare prospettive di bene comune; manca una progettualità economica capace di permettere a ciascuno di sentirsi parte integrante della creazione di ricchezza del Paese che si chiama Pil, ma che nello stesso tempo ne rappresenta specularmente anche il Reddito netto; infine manca la progettualità sociale, vale a dire il fondamento della sussidiarietà che vede nell’operosità dei gruppi sociali e nella loro libertà di iniziativa sociale, le possibilità di sviluppo dal basso delle strutture che attraverso la solidarietà eroghino dalla base il prodotto umanità quale tessuto necessario a cementare la comunità degli esseri umani in termini di equilibri di convivenza sociale.
Ecco allora la risposta alle nostre domande: il tutto nasce dalla perdita della dimensione etica dell’uomo contemporaneo. Dimensione etica che informa il senso della vita umana, della sua estensione esistenziale.  Infatti oggi viviamo una dimensione di povertà intellettuale, etica e religiosa che si riscontra nello smarrimento della ragione, unico baluardo contro i gesti inconsulti. Oggi tutto è delegato al sapere scientifico, al nichilismo filosofico, all’ateismo pratico ed al progresso tecnologico, tralasciando di distinguere che  1) il sapere scientifico è orientato a conoscere bene il fatto socio-politico-economico; 2) la filosofia, soprattutto politica è orientata alla critica ed alla progettualità del bene; 3) la religione è orientata all’educazione dello spirito profondo dell’uomo in termini trascendenti; 4) il progresso tecnologico è orientato alla diminuzione del lavoro umano.  Ciò che manca in questa disamina è la concezione dell’Etica, che deve orientare l’uomo nella sua realtà esistenziale alla conoscenza del bene nelle sue dimensioni come legame tra immanente e trascendente, tra il presente ed il futuro della sua vita e delle generazioni a venire. Questa carenza di etica portando ad una carenza di umanità comporta anche la corrispondente perdita di consapevolezza delle capacità di ripresa dell’uomo che resta vittima delle sue proprie strutture.
Ecco allora che in un tale contesto osserviamo che un Governo detto tecnico  non considera affatto che mentre le nostre piccole e medie imprese continuano ad essere sovraccaricate, limitate  e condizionate dall’inefficienza della burocrazia e dal crollo del mercato interno, sono costrette a licenziare per competere nei prezzi con Paesi a bassissimo costo di mano d’opera e senza regolamentazioni sindacali ed ambientali. Non considera il dumping cinese. Non si cura dello sviluppo e tanto meno delle crescita sostegno effettivo delle imprese. Imprese che per tagliare le perdite, per mantenersi a galla devono sottostare a penose ed innaturali negoziazioni con banche considerate sempre più usuraie e insaziabili di commissioni e condizioni al limite della sopportazione. Imprese che a fronte di inesistente crescita economica sono costrette a pagare all’INPS esorbitanti interessi di ritardo tra l’altro anche fiscalmente indeducibili. Imprese che lavorando per lo Stato o per Enti pubblici ricevono i pagamenti dovuti dopo 6 o 9 mesi nel migliore dei casi, sobbarcandosi l’onere di coprire il pesante gap. Per non parlare dei crediti di imposta scontati dalle banche sempre con maggiori difficoltà. Una asimmetria perversa che mentre vede lo Stato creditore imporre con le ganasce del fisco pesanti fardelli per pagamenti immediati e puntuali, quando è debitore, si permette di pagare a babbo morto con l’aggravante che se l’imprenditore ricorre contro l’imposta, la Commissione tributaria che riconosce la legittimità del ricorso per insussistenza del fatto e dà ragione al ricorrente, non può imporre al fisco, paradossalmente, scadenze puntuali di risarcimento. Ma la cosa più grave è data dal fatto che le imprese non solo non riescono a pagare i propri fornitori per mancanza di liquidità dovuta alle diverse ragioni addotte, ma sono costrette a licenziare i propri dipendenti. Certo questo non rileva per le grandi imprese dove vige lo scudo dell’anonimato dato dal gioco delle parti tra dirigenti e sottoposti, quanto più nelle piccole imprese dove l’imprenditore è l’essere umano identificato come controparte, identificato come responsabile della sorte dell’impresa. Ricordiamo infatti che l’imprenditore sta al rischio come l’azienda sta all’organizzazione pertanto è l’imprenditore che ci mette la faccia! E che comunque non è l’imprenditore che crea sviluppo, bensì è la politica! L’imprenditore è lo strumento di cui si serve la politica. E allora questo imprenditore che certamente conosce direttamente i propri dipendenti deve licenziarli e quando lo fa deve guardare negli occhi i propri dipendenti, i propri uomini, padri di famiglia. Lavoratori che magari conoscendo le difficoltà dell’impresa possono anche aver accettato ritardi nel pagamento dello stipendio, che magari lo hanno sostenuto egualmente. Ma in quale stato d’animo può un imprenditore dire a ciascuno dei suoi uomini, dopo aver combattuto battaglie improbabili per la sopravvivenza, “purtroppo devo licenziarti perché da domani sono costretto a chiudere”. E’ finita ogni speranza…..l’unica speranza purtroppo sembra essere .…il suicidio.
Un ultima triste riflessione: mentre imprenditori e disoccupati disperati si suicidano, la stampa resta assente, non richiama l’opinione pubblica alla consapevolezza delle proprie responsabilità. Perché? E’una stampa asservita  che tende a minimizzare e a reputare questi gesti come frutto di depressione, senza dare il giusto peso umanitario alle difficoltà economiche ed altre cause fiscali e finanziarie? Che suggerisce la stampa in termini di sviluppo e crescita?  E’ una stampa allineata ai cosiddetti poteri forti del governo Monti che ci dicono sia stato imposto dall’Europa per assicurare il ripagamento del nostro debito pubblico? Per riequilibrare lo spread? Ma qual è lo spread-limite tra la vita e la morte? Chiediamolo prima che al Governo Monti, a ciascuno di noi in qualità di elettori di governi di cui questo non rappresenta che “una zampa del gatto per tirar fuori le castagne dal fuoco senza scottarsi”.