etica

"... Non vogliate negar l'esperienza di retro al sol, del mondo sanza gente. Considerate la vostra semenza fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza". (Dante, Inferno canto XXVI, 116-120).


lunedì 14 luglio 2014

ETICA E CULTURA MAFIOSA DELL’INCHINO

…..Vennero i carabinieri, il maresciallo nero di barba e di sonno. L'apparire dei carabinieri squillò come allarme nel letargo dei viaggiatori: e dietro al bigliettaio, dall'altro sportello che l'autista aveva lasciato aperto, cominciarono a scendere. In apparente indolenza, voltandosi indietro come a cercare la distanza giusta per ammirare i campanili, si allontanavano verso i margini della piazza e, dopo un ultimo sguardo, svicolavano. Di quella lenta raggera di fuga il maresciallo e i carabinieri non si accorgevano. Intorno al morto stavano ora una cinquantina di persone, gli operai di un cantiere-scuola ai quali non pareva vero di aver trovato un argomento cosí grosso da trascinare nell'ozio delle otto ore. Il maresciallo ordinò ai carabinieri di fare sgombrare la piazza e di far risalire i viaggiatori sull'autobus: e i carabinieri cominciarono a spingere i curiosi verso le strade che intorno alla piazza si aprivano, spingevano e chiedevano ai viaggiatori di andare a riprendere il loro posto sull'autobus. Quando la piazza fu vuota, vuoto era anche l'autobus; solo l'autista e il bigliettaio restavano.
- E che - domandò il maresciallo all'autista - non viaggiava nessuno oggi?
- Qualcuno c'era - rispose l'autista con faccia smemorata.
- Qualcuno - disse il maresciallo - vuol dire quattro cinque sei persone: io non ho mai visto questo autobus partire, che ci fosse un solo posto vuoto.
- Non so - disse l'autista, tutto spremuto nello sforzo di ricordare - non so: qualcuno, dico, cosí per dire; certo non erano cinque o sei, erano di piú, forse l'autobus era pieno... Io non guardo mai la gente che c'è: mi infilo al mio posto e via... Solo la strada guardo, mi pagano per guardare la strada…..
Leonardo Sciascia: Il giorno della Civetta pag.1


Dire che i fatti di Oppido Mamertina e di San Procopio siano sconvolgenti è come dire che in estate fa caldo. Infatti ritengo che nessuno si senta veramente colpito, anche se i mass media hanno messo un po’ più in rilievo del solito l’accaduto. Anche se il Vescovo Milito ha assunto una posizione che dice “drastica” promettendo energici provvedimenti, ma solo dopo l’analisi dei fatti. Anche se il Sindaco di San Procopio afferma al telegiornale che “dopo i fatti di Oppido Mamertina vi pare che si faceva l’inchino? San Procopio non si inchina a nessuno!” non ci sono state reazioni veramente immediate ed incisive. Ma perché? Come si spiega? Queste storie evidenziano nella loro emblematicità la situazione dell’Italia. Ciò che è successo ad Oppido Mamertina, e a San Procopio, succede tutti i giorni in qualsiasi posto ed in qualsiasi città o luogo che si chiami Italia. Perché? Perché da noi esistono i cosiddetti “uomini di rispetto”, vale a dire quelli a cui si deve qualcosa, ma non solo in termini materiali come la riconoscenza per una raccomandazione o un sostegno fisico, ma anche per la sola idea di “protezione” che suscitano: vale a dire che l’inchino si fa per ricordare all’uomo di rispetto che in caso di bisogno…….può intervenire. Ecco allora che l’inchino diviene naturale, come segno di rispetto da un lato e come monito, a chi lo osserva dall’esterno, dall’altro. Quanto dico vale anche per quelli che come il Comandante Schettino, hanno voluto fare un inchino che è costato la vita a diverse persone. Non c’è posto per l’etica in siffatta visione del rispetto. Quest’amara considerazione non deriva da una generalizzazione, ma da qualcosa che ho vissuto, vivo e viviamo tutti i giorni nelle nostre realtà anche quelle più piccole. Basta ricordare il detto “non si muove foglia che dio non voglia” per spiegare la cultura mafiosa dell’inchino e del “rispetto”, che attanaglia i nostri comportamenti. In fin dei conti anche nei Promessi sposi, Renzo fa l’inchino davanti all’Azzeccagarbugli recandogli i due capponi. Ma quello che vorrei qui richiamare non è la condanna della criminalità mafiosa, che grazie a dio ancora è sentita dalla maggioranza. Quello che vorrei condannare invece è la cultura mafiosa della necessità di “protezione” che guida i nostri comportamenti nel momento che abbiamo una necessità o un preciso interesse da soddisfare. Purtroppo non sempre si riesce a far capire alle persone la differenza tra comportamento onesto e comportamento mafioso, ma questo è normale perché non c’è nessuno che lo insegna. Anche in politica si parla di “clientela” e non si parla di mafia che quando si ha a che fare con fatti criminosi. In realtà si deve parlare di mafia ogni qualvolta ciascuno di noi si trova a voler ottenere il proprio obiettivo con le buone o con le cattive, volendosi far spalleggiare, anche quando ha pienamente ragione perché non ha certezza del diritto, da….chi può….intervenire! Chissà perché nel nostro Paese c’è l’idea che tutti abbiamo bisogno di un politico, di un cardinale, o di un “mmammasantissima”! Alla base esiste sempre la prova manifesta che c’è qualcuno in grado di manipolare cose, strutture, burocrazia, se non anche situazioni familiari in tutto ciò che implica un atto di volontà degli uomini. Io credo di poter dare una giusta interpretazione non solo perché le mie origini calabresi mi hanno dato la possibilità di osservare e valutare i diversi comportamenti dei miei conterranei e traslarli poi anche nei comportamenti di altre persone che pur se appartenenti ad altri territori, manifestavano i medesimi atteggiamenti; ma anche perché, oltre a presiedere il Comitato di Promozione etica Onlus, la mia visione è frutto di studio e ricerche a supporto di un corso che ho tenuto, per alcuni anni, nella Facoltà di Scienze Sociali in Gregoriana, dal titolo “Lobby e controllo etico dei gruppi di pressione”. In tale corso mi sono trovato di fronte alla necessità oggettiva di dover spiegare a chi, provenendo da altri Paesi non capiva, come la criminalità organizzata, da noi conosciuta sotto i nomi di  Mafia, N’drangheta, Sacra Corona Unita e Camorra, non fosse altro che degenerazione criminosa di atteggiamenti culturali di gruppi di pressione esistenti in qualsiasi Paese del mondo ed in qualsiasi insieme d’uomini. Anche se è di difficile comprensione, deve essere chiaro a tutti che tale atteggiamento aggregativo sta alla base di ogni democrazia e diviene condannabile solo nel momento che adotta sistemi prevaricatori dei diritti degli altri. Quando i miei allievi americani facevano finta di non capire, li mettevo davanti all’esempio del Far west di casa loro, alla corsa all’oro, alle lotte tra allevatori e coltivatori, a quella serie televisiva che quando ero bambino mi faceva impazzire: I fratelli Cartwright che difendevano i propri interessi con le pistole e…a buon diritto, anche adesso si continua a fare! Quando gli allievi inglesi trovavano difficoltà a comprendere la maniera di trasformarsi della cultura aggregativa in pericolosa lotta votata alla difesa di interessi faziosi li mettevo di fronte alla creazione della massoneria inglese che non può esimersi da pesanti responsabilità, in difesa dei propri interessi, che potrebbero essere riscontrate nel colonialismo; nella protervia astensione dal processo di unificazione europea (1810-12; 1940-41); nella difesa incondizionata del loro  nazionalismo esasperato che ad essere risvegliato in ogni inglese basta la parola d’ordine To save the nation! Per non parlare della repressione del popolo irlandese; della crudeltà e dei massacri operati a danno di popolazioni extraeuropee (India, Afghanistan, Kenya...); dell’imperialismo economico e del sostegno in Europa all’egemonia USA per favorire gli interessi delle multinazionali. Certo non ci si pensa, ma alla base ci sono sempre state aggregazioni di interessi di chiaro stampo “mafioso” il cui intento criminoso è sempre stato più o meno malcelato. La stessa cosa dicasi per gli allievi francesi  e spagnoli i cui antenati in qualche modo possono essere considerati i capostipiti della cultura mafiosa italiana dato che il Regno delle due Sicilie, dove il fenomeno mafioso si è sviluppato nelle configurazioni che conosciamo, era sotto il dominio prima dei francesi degli Angioini (Vespri siciliani) e poi degli spagnoli (Aragonesi e Borboni). Allora? Come spiegare questo fenomeno? Come risolvere il problema?  Al primo quesito la risposta la si trova nella Sollicitudo Rei Socialis ai punti 36 e 37, che riassumo nelle cosiddette strutture di peccato legate ai due atteggiamenti: Brama di profitto e Sete di potere.  Questi due atteggiamenti che sonnecchiano nella parte più profonda della componente animale dell’uomo, si sprigionano in maniera incontrollabile facendoli risvegliare repentinamente quando si finalizzano alla creazione di gruppi volti ad ottenere ciò che si vuole: potere o ricchezze, nella certezza di averne il potere che le posizioni, politiche, gerarchiche, religiose, finanziarie ecc. di alcuni degli appartenenti garantiscono. Leggendo i giornali lo si può constatare scientificamente. Questa certezza quindi si materializza di volta in volta, in gruppi di pressione che possono essere classificati in tre modi a motivo della loro finalità: confessionali, funzionali e criminali. Nei primi possiamo trovare massonerie e gruppi religiosi come Opus Dei, Legionari di Cristo, Comunione e Liberazione; i secondi sono molto ben rappresentati da partiti politici, associazioni di categoria e sindacati; in quelli al terzo posto si annoverano invece le mafie conosciute sotto il nome di Cosa nostra, N’drangheta, Sacra Corona Unita e Camorra. Ma senza dilungarmi vorrei concludere sul processo che genera questa realtà di unione, di interessi taciuti e di omertà. Il primo è rappresentato dall’incapacità di giudicare. Ognuno si ritiene capace e di esserne dotato a sufficienza, senza rendersi conto che la facoltà di cui la nostra mente è dotata per discernere tra vero e falso e tra bene e male, ossia la coscienza morale, non si acquisisce da soli, ma c’è bisogno che qualcuno la insegni come esercizio e come processo che sin da bambini ciascuno deve fare. Ecco la risposta al secondo quesito. Non basta soltanto l’apprendimento e la conoscenza delle cose ci vuole anche l’insegnamento dei principi e delle virtù. L’etica e non la repressione, l’insegnamento di Maestri e Parroci, veri e non solo carabinieri e forze dell’ordine. Perché il processo in parola si sviluppa proprio su questa falsa percezione che fa investire le famiglie per l’educazione dei propri figli in scuole private, in palestre, piscine, scuole calcio, corsi di nuoto ed in tutto ciò che serve ad apparire e ad affermarsi e fare soldi. Accontentandosi per contro di non investire che una parte appena marginale delle proprie energie  e risorse per una loro educazione, morale, civica, sociale e spirituale.  A tale processo se ne aggiunge un altro che è quello del “farsi gli affari propri” di saper tacere di saper fare silenzio. Un silenzio maligno e pernicioso che nasce dalla paura, dall’interesse personale oppure ancor peggio dalla “necessità” del quieto vivere, del non immischiarsi nei fatti che non ci toccano direttamente coprendo così in maniera subdola e non dichiaratamente soprusi, ingiustizie e vergogne. Questo processo di formazione del pensiero si struttura proprio da bambini quando certi script impongono di rimanere fermi, indecisi,  di adattarsi, di non pensare, di essere incapaci. Si ingenera così la formazione di un pensiero “handicappato”, anomalo, incapace di formarsi in maniera critica e di uscire dalla propria testa per confrontarsi con altre idee, altre posizioni. Si comincia a pensare in maniera omologata, uniforme al pensiero di chi comanda e di chi ha il potere. Il pensiero infatti si può classificare come: 1) pensiero pensante, in termini virtuosi, perché rivolto alle tre progettualità essenziali dell’uomo sociale, politica ed economica nel senso di strutture e aggregazioni di persone, di bene comune e di giustizia sociale; 2) pensiero calcolante, perché rivolto esclusivamente all’accaparramento di ricchezze in termini di proprio tornaconto ed allo sfruttamento degli altri in termini di proprie finalità; 3) pensiero dominante che può essere anche sinonimo di pensiero unico che sulla base di una ideologia più o meno materializzata, imposta od accettata, obbliga tutti coloro che partecipano al gruppo, per propria volontà, propri fini, o soltanto per necessità, ad adeguarsi allo stesso pensiero  del capo o a quello di chi ha il potere ed agli stessi sistemi: da qui nasce il muto consenso, che diviene, coesione di gruppo, pressione di interessi, silenzio strisciante, omertà mafiosa….ecco come si genera la cultura mafiosa dell’inchino.