etica

"... Non vogliate negar l'esperienza di retro al sol, del mondo sanza gente. Considerate la vostra semenza fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza". (Dante, Inferno canto XXVI, 116-120).


lunedì 2 aprile 2012

La coscienza del rispetto delle regole


 La giustizia non può funzionare se il rapporto 
tra i cittadini e le regole è malato, sofferto, 
segnato dall’incomunicabilità. 
La giustizia non può funzionare se i cittadini 
non comprendono il perché delle regole.
(Gherardo Colombo)

Credo sia molto importante stabilire punti fermi sul concetto di “regole” proprio in un momento come quello attuale, in cui le regole sono sempre più disattese ad ogni livello.
Ricordo poi che questa riflessione vuole essere un approfondimento della visione etica delle regole e pertanto il ragionamento da fare è un pochino complesso ma utile per una corretta ubicazione del pensiero nella nozione di società.
Quando parliamo di regole difficilmente ci soffermiamo sul loro significato intrinseco e sull’impatto che le stesse possano avere nella nostra mente e nei nostri comportamenti. Di solito le regole si accettano perché sono imposte, o si accettano perché non se ne può fare a meno.
L’esistenza delle regole è necessaria per permettere alle persone di potersi incontrare non solo fisicamente (regola dell’orario) ma anche concettualmente (la regola di parlare una lingua comune). Va da sé che ogni regola comporta un beneficio insito nel suo rispetto, rappresentato dal corretto risultato ottenuto in virtù del corrispondente comportamento, oppure una sanzione per il suo mancato rispetto. Detto ciò possiamo allora comprendere in maniera più chiara che la regola, una volta formulata e riconosciuta come tale, non richiede impegno personale in termini di finalizzazione, ma il semplice rispetto.
Questo ragionamento così argomentato, porta gradualmente a comprendere che le regole non hanno bisogno di essere comprese: le regole devono essere conosciute e rispettate. Tale assunto però, ad una critica più stringente rivela che l’esistenza delle regole non comporta una responsabilizzazione personale in funzione di esse, ma solo una onesta obbedienza.
L’esperienza infatti ci può senz’altro permettere di dire, che non mancano le regole, bensì manca la coscienza del rispetto delle regole. Ciò che guida i nostri comportamenti, nel rispetto delle regole, può essere individuato in due posizioni definite, la prima facente riferimento alla sanzione e quindi alla paura di perdere un beneficio (la libertà quando la pena è il carcere) la seconda facente riferimento alla consapevolezza delle conseguenze derivanti dal mancato rispetto. Il discorso appare più chiaro se poi distinguiamo i livelli di discernimento ed i piani su cui insistono tali strutture concettuali. Le regole attengono a diversi piani quale il piano organizzativo ed il piano esistenziale. Su piano organizzativo si prospetta una distinzione dei livelli di discernimento che assumono connotazioni diverse, vale a dire una connotazione legale, una deontologica ed infine una di compliance.  Sul piano esistenziale invece il livello del discernimento si riferisce ad un solo principio che si distingue in termini di etica normativa o etica pura ed etica applicata.
Proviamo a comprendere meglio. Sul piano organizzativo troviamo quindi tre livelli: quello legale delle regole necessarie per la corretta convivenza delle persone tra di loro, quello deontologico, necessario a dimostrare la coerenza di una categoria professionale che sceglie regole comportamentali onde evitare conflitti all’interno della categoria stessa e che quindi non assumono carattere esterno se non a fini esclusivamente pubblicitari. Infine la compliance, come  regola di uniformarsi alle regole riconosciute. Si evince  pertanto che i punti di riferimento da considerare sono: la norma, la sua interpretazione e la corrispondente sanzione. Non credo che ci sia ancora qualcuno che non si renda conto di quanto tale struttura sia manifestamente imperfetta. Infatti basta pensare che le norme possono essere ad personam, che di interpretazioni della norma ce ne possono essere diverse e di natura soggettiva: grammaticale, logica, analogica, autentica, giurisdizionale ecc. Infine la sanzione o la pena non è mai certa perché ben sappiamo che esiste la prescrizione, esistono lungaggini strumentali, esistono buoni avvocati, esiste la possibilità di corrompere i giudici ecc.. Sul piano organizzativo il sistema pertanto non dà certezze. Per contro sul piano esistenziale i punti di riferimento sono rappresentati dall’etica normativa, come conoscenza del bene e dall’etica applicata, vale a dire le alternative date a ciascuno se morali di porle a confronto in una prospettiva progettuale finalizzata al raggiungimento del bene comune. Quindi a livello etico non esistono le imperfezioni che troviamo sul piano organizzativo: non esiste norma formulata in base ad accordi o compromessi, ma esiste soltanto il principio del bene; non esiste una serie di interpretazioni, ma ne esiste una sola: quella della coscienza avvertita. Così  come la sanzione, non solo non può essere sfuggita, ma è emessa da un giudizio immediato ed inappellabile della propria coscienza. La pena si chiama rimorso. Qualcosa che pur se accantonato è una gestalt che rimane aperta e che prima o poi, magari a distanza di anni è destinata ad esplodere manifestandosi in gesti inconsulti a volte di inspiegabile violenza proprio verso gli affetti più cari di colui che accantonandola, pensando di farla franca, non ha cercato invece una rilegittimazione della propria umanità attraverso la presa d’atto delle proprie responsabilità, vale a dire riparando al male perpetrato.
Ma queste riflessioni non vengono proposte, né tantomeno insegnate nelle scuole o nelle università. Ciò che viene insegnato è la sola esistenza del livello legale e quindi del piano organizzativo che richiede una sola attitudine: l’obbedienza. Ma come ben si sa l’obbedienza non crea coscienza. L’obbedienza poi quando è imposta dalla paura della sanzione lascia spazio a reconditi istinti repressi. L’obbedienza non crea senso di responsabilità. Ecco quindi il punto di debolezza del sistema organizzativo: il piano legale non crea responsabilità perché non coinvolge le coscienze nella applicazione delle regole. L’etica invece, insistendo sul piano esistenziale, richiede una coscienza del rispetto delle regole perché responsabilizza l’uomo sulla base delle conseguenze delle proprie azioni. Il ragionamento sottostante è il seguente: L’uomo ha una dignità che gli è propria unicamente perché è un essere umano, tale dignità risiede nella sua personalità, la personalità è provvista di libertà, tale libertà si serve della razionalità per esprimere giudizi su oggetti definiti, tali giudizi comportano delle decisioni che coinvolgono la volontà e, che a loro volta si manifestano in azioni le cui conseguenze implicano responsabilità. L’etica applicata risponde proprio alle domande: di che cosa bisogna avere responsabilità, chi è responsabile, verso chi si ha responsabilità? Ecco come si forma la coscienza del rispetto delle regole!
Ma come si crea una coscienza del rispetto delle regole? Come si può pensare di cambiare il sistema quando aprendo il quotidiano “La Repubblica” di sabato 17 marzo, in prima pagina leggiamo: Polemica sulla concussione, in seconda pagina Il premier accelera sulla corruzione…, in terza pagina Processo disintegrato se cambia quella norma… In quarta pagina Tangenti proquota a Lega e a Forza Italia, in sesta pagina Indagato il Governatore Errani fondi per un milione di euro alla coop presieduta dal fratello e in fondo pagina Rutelli: Lusi sta inquinando l’inchiesta i soldi all’Api? Solo una partita di giro, in settima pagina Pesce anche nella vasca da bagno, era una valanga dovevo restituirlo alla nona pagina Posti barca scontati in cambio di appalti e poco più sotto L’inchiesta Gamberale arriva a Milano accordi segreti sulla vendita della SEA. Come creare la coscienza? Come combattere corruzione concussione e violenza?