etica

"... Non vogliate negar l'esperienza di retro al sol, del mondo sanza gente. Considerate la vostra semenza fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza". (Dante, Inferno canto XXVI, 116-120).


Dentro la crisi - Intervista al Professor Romeo Ciminello

Dentro la crisi.


Intervista a Romeo Ciminello
Pontificia Università Gregoriana - Roma
di Paola Di Giulio
Professore,  è da circa tre anni che siamo “dentro” la crisi…
Date le dinamiche degli scenari, le domande non sono né tante né facili da formulare e soprattutto non facili da decifrare.  Dividendo il mondo dal punto di vista geopolitico ci si accorge subito che seppure  la globalizzazione ha accorciato le distanze in termini di omologazione socio-economica, la realtà politica resta molto distante. La differenza esistente tra la realtà dei Paesi avanzati (G7),  Paesi UE e quella dei Paesi emergenti  (BRICS) è ancora molta. E quella tra questi tre gruppi ed i Paesi in via di sviluppo è ancora più profonda. Ma il mondo si sviluppa non in base alle ricchezze economiche ma in base alla maturità politica espressa in termini di vera democrazia: è ricco non già chi possiede le materie prime, ma chi ha il miglior sistema di gestione, politica, economica e finanziaria. La politica quindi deve far da base ai due grandi altri settori della realtà umana, vale a dire il diritto e l’economia. E’ un trittico instabile: per  renderlo stabile dobbiamo fare appello all’etica,  che, purtroppo non è pienamente compresa nella sua duplice accezione, etica pura ed etica applicata. La prima risponde ad una domanda di verità, la seconda risponde ad una domanda di responsabilità.

 Globalizzazione e crisi…
Sotto gli occhi di tutti appare evidente che esistono delle situazioni che coinvolgono tutti gli Stati e non solo a causa della Globalizzazione, ma soprattutto a causa della crisi. Nel contesto ritengo importanti due profili: il profilo finanziario, sempre più internazionalizzato, ed il profilo etico, sempre più negletto. Finanziariamente le fasi determinanti sono tre. Negli anni ‘70 si assistette alla grande esplosione dell’inflazione. Il sistema monetario internazionale creato a Bretton Woods nel 1944 di fatto è saltato nel 1971, quando gli Usa hanno rotto la parità fissa con l’oro a 35 dollari l’oncia, ma in realtà il sistema ha continuato a funzionare perchè la moneta internazionale è rimasta, di fatto, il dollaro. Inoltre gli shock petroliferi del ‘73 e del ‘79 provocarono un livello di instabilità monetaria mai sperimentato dopo la seconda guerra mondiale. La quadruplicazione dei prezzi del petrolio ebbe ripercussioni su tutti i non produttori e soprattutto su quelli più industrializzati. Molti Paesi, tra cui l’Italia, furono costretti a indebitarsi per pagare la “bolletta petrolifera”.  Negli anni ‘80 altri due elementi influenzarono la finanza:  l’altalena del prezzo del petrolio, dal record al tracollo; l’ingresso tra i Paesi con debito degli Stati Uniti. L’elemento finale arrivò alla fine del 1999, con la riforma della legge bancaria Glass-Steagall e l’abolizione della cosiddetta regulation Q, che dal 1933 permetteva alla Federal Reserve di effettuare un controllo sui tassi di interesse applicati ai depositi. In accordo con alcuni economisti sono convinto che tale abrogazione abbia contribuito in maniera sostanziale alla crisi determinatasi nel 2007 e poi esplosa il 15 settembre del 2008 con il fallimento di Lehman-Brothers e tutt’ora in atto con la crisi degli stati Europei cosiddetti PIIGS (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna). E’ stato questo che ha permesso alle banche di investimento di Wall Street, tra le quali  Goldman Sachs, JP Morgan, ed altre di “giocare in borsa” con i soldi dei depositanti.

Le colpe: Usa, oro e petrolio

Gli Stati Uniti possono essere indicati come i veri promotori della crisi. Operano una politica espansionistica, a prescindere dal colore dei governi; hanno imposto la loro deregulation a tutto il mondo; la Federal Reserve (banca centrale degli Stati Uniti d’America) adotta una politica monetaria di rafforzamento e indebolimento del dollaro; sfruttano la congiuntura economica attraverso la leva finanziaria; esasperano il profitto ad ogni costo nel nome delle conseguenze del liberismo estremo del “sogno americano”.   Gli Usa agiscono da padroni della congiuntura perché hanno la proprietà della moneta cardine del sistema monetario internazionale. Infatti, affinché ci possa essere liquidità a livello internazionale, la Federal Reserve deve continuare ad erogare moneta che essendo detenuta da stranieri rappresenta un credito a vista da parte di questi ultimi nei confronti del Governo statunitense. Ma non c’è solo il Dollaro: in questo quadro, come seconda ragione d’importanza fondamentale possiamo indicare l’oro.  Ed infine il petrolio. Anche questo detenuto in maniera molto concentrata da alcuni Paesi come Iraq, Arabia Saudita Paesi dell’Opec e paesi dell’ex Unione Sovietica, Gran Bretagna e Paesi scandinavi, raggiunge quotazioni record, ogni qualvolta per qualsiasi futile motivo, la sua produzione diminuisce oppure deve riallinearsi sull’andamento del cambio del Dollaro statunitense, moneta sulla quale se ne basa il prezzo.

Qual è stato il ruolo degli Stati?

Possiamo dividere il mondo in Stati che hanno attuato strategie e Stati che le hanno subite. Da un lato troviamo che le strategie sono state promosse soprattutto da Stati uniti ed Europa, gli altri si sono limitati, vuoi per incapacità progettuale, vuoi per mancanza di risorse in grado di gestire i cambiamenti, a fare la parte degli spettatori.  Gli Stati dell’Unione Monetaria Europea  hanno avuto un ruolo che potremmo dire dicotomico, di collaboratori alla crisi. Infatti, se da un lato hanno operato strategie di unione, dall’altra hanno invece promosso politiche individualistiche e di egemonia politica. Basta guardare agli obiettivi perseguiti attraverso l’accordo monetario SME, in cui la Germania ha sempre toccato la soglia di divergenza al punto più alto; alla Gran Bretagna che non ha mai voluto  integrarsi nella politica comune perseguendo politiche di isolamento non solo monetario; alla Norvegia che ha preferito restare fuori dall’Unione monetaria; all’errore dell’allargamento comunitario a tanti paesi non in grado di farne parte in primis la Grecia…

E …l’Euro?

Un elemento importante nella crisi dell’UE è stato quello di aver creato una moneta unica, senza affiancarle gli strumenti di governo; di aver invocato la stabilità senza sostenere in termini politici l’integrazione, facendo sì che ciascun Paese in difficoltà risolvesse da solo i propri problemi, non ultimo le immigrazioni in Italia o i moti delle “banlieue” parigine oppure dei “riots” di Londra.  Non solo. Grava sull’Europa il fatto di non avere un governo effettivo, di agire tramite una pletora di istituzioni che non hanno autonomia decisionale in funzione di una politica comune. Quello  che non si può accettare è la mancata ratifica di uno strumento costitutivo come la carta costituzionale: la Costituzione europea (ufficialmente Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa) è stato un progetto di revisione dei trattati fondativi dell’UE, redatto nel 2003 dalla Convenzione Europea e definitivamente abbandonato nel 2009 a seguito dello stop alle ratifiche imposto dai no ai referendum tenutisi in Francia e nei Paesi Bassi.   Un altro elemento che rimanda alla crisi è il fatto  l’Unione Europea non tiene conto, nelle decisioni importanti, della differenza tra gli Stati: non si fa differenza tra uno Stato come il Lussemburgo di appena 475 mila abitanti ed uno Stato come la Germania che ne ha 83 milioni, così come non si fa differenza tra l’impatto di un debito pubblico della Grecia che non raggiunge i 12 milioni di abitanti e l’Italia che ne ha più di 60. 

 Quale è stato il ruolo di Germania e Francia?
La Germania sta tentando di fare ciò che non le è riuscito con le due guerre mondiali, ovvero  conquistare l’Europa imponendo la sua forza economica, mentre  la Francia tenta di ostacolare questo disegno.   La Germania, non potendo   agire direttamente nei confronti della Francia, ha preferito imboccare la strada più lunga e  passare tramite Grecia,  Spagna e Italia. Anche Milano Finanza dell’8 ottobre scorso  rileva con Marcello Bussi che, come scritto dall’autorevole Der Spiegel,  il caos greco è originato da Berlino. Infatti le spese pazze dei greci vennero abbondantemente incoraggiate dalle banche tedesche che acquistarono bond ellenici, favorendo la bolla speculativa di Atene.  Con la complicità delle agenzie di Rating, si è tentato inoltre di svilire in ogni modo la tenuta economica e la credibilità della Grecia dato che le banche Francesi possedevano quasi  il 50% dei titoli di stato. Depauperando la forza finanziaria delle banche francesi, costrette a dover ricapitalizzare, la Francia avrebbe perso il prestigio delle tre A e la Germania sarebbe rimasta l’unica dei “grandi” dell’Unione, ad avere questa caratteristica quindi a dettare legge in Europa.


E gli altri Stati?

Non hanno mai inciso più di tanto sulle politiche degli Stati avanzati, intenti com’erano a sostenere i tassi di sviluppo. Il basso costo della mano d’opera cinese e indiana ha comportato un’ondata di delocalizzazioni di attività economiche dai Paesi avanzati, con la conseguente diminuzione dell’occupazione e della crescita, quindi una maggior vulnerabilità economico-finanziaria.

Professore qual è stato il ruolo delle Banche?

Le banche statunitensi ed europee hanno ristretto l’attività creditizia per sostenere l’attività finanziaria traballante. Invece di sostenere le attività economiche delle imprese e dei privati, hanno preferito effettuare investimenti finanziari sia borsistici sia di altra natura, mirando al profitto. Essendo il sistema capitalistico un sistema banco-centrico, dopo il fallimento di Lehman Brothers (2008) la parola d’ordine è stata “salviamo le banche”.  La crisi può essere ricondotta approssimativamente alla seconda metà del 2006, quando - sgonfiandosi la bolla immobiliare Usa - molti possessori di mutui subprime (concessi ad un soggetto che non può accedere ai tassi di interesse di mercato) divennero insolventi a causa del rialzo contrattuale dei tassi di interesse.  Le banche iniziarono ad operare attraverso le  cosiddette attività off-balance (fuori bilancio), che hanno dato vita a molti degli strumenti finanziari di maggior successo.   Grazie ad internet infatti vennero create nuove società di reperimento, immagazzinamento, elaborazione e trasmissione di dati e notizie  che consentirono di aumentare il livello di competizione  sull’offerta di prodotti finanziari  attraverso  l’interazione di  5 elementi fondamentali: le valute, i tassi di interesse, gli strumenti finanziari, i soggetti economici ed i mercati. Un gioco fin troppo facile…

L’Italia ce la farà ha affermato il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Mentre il neo Presidente del Consiglio, Mario Monti ha già presentato il Suo decreto “Salva Italia”…
Il “Salva Italia” introduce misure che non avranno effetti sulla crescita nel breve periodo. Chi si oppone al decreto maschera in realtà la paura che le misure introdotte possano ledere gli interessi di qualcuno. Certamente dei benefici verranno dagli investitori (esteri?) che acquisteranno titoli pubblici italiani sia per immediata convenienza finanziaria, sia guidati dalle aspettative sull’Italia alla scadenza dei titoli.
Prosegue poi con l’equità. “I sacrifici necessari per ridurre il debito e per far ripartire la crescita dovranno essere equi. Equità significa chiedersi quale sia l’effetto delle riforme non solo sulle componenti relativamente forti della società, quelle che hanno la forza di associarsi, ma anche sui giovani e sulle donne”. Tutte speranze? Vere o credibili? Questo discorso ci deve far riflettere su perlomeno tre punti importanti: il primo è che Mario Monti è una delle pochissime personalità italiane (Draghi, il fu Padoa Schioppa, Prodi, Bernabé, Scaroni) che avrebbero potuto ridare una credibilità ad un governo italiano “dopo-Berlusconi”; il secondo è che le misure non solo non hanno equità, ma neanche tengono conto della realtà italiana (la “rottamazione dei cinquantenni”, per i quali la pensione a 66 anni è una misura “nonsense”); il terzo è che in Italia la casa in affitto non si trova e quindi va acquistata e difesa.
Se da un lato qualcuno scuserebbe questo Governo per il poco tempo disponibile avuto per decidere, dall’altro mostra pressappochismo e superficialità nel considerare la realtà italiana. Essendo professori, i suoi tecnici dovrebbero sapere come intervenire e non lavorare esclusivamente in favore delle lobby che li sostengono! La manovra infatti poteva benissimo essere fatta imponendo un “risparmio forzoso” modulato in base a redditi e patrimoni, esattamente come fecero Andreotti nel 1977 e Prodi con la “tassa per l’Europa”!  Il Governo Monti avrebbe potuto prendere spunto dai redditi degli italiani, dalle imposte che pagano, dai loro patrimoni, dalle consistenze della Cassa Depositi e Prestiti e dalle consistenze bancarie per operare un prestito forzoso modulato nel tempo in termini di restituzione, magari con titoli zero-cupon a 5, 10, 15 e 20 anni e poi, una volta raggiunta la diminuzione percentuale obiettivo del debito pubblico, imporre all’Europa di accollarsi le strategie di crescita, nel rispetto dei diritti e non con il loro abbattimento per mettere delle toppe congiunturali, che oltre a deprimere la crescita, a non incidere sulla speculazione, a non sconfiggere l’evasione fiscale, contribuiranno alla necessità di una nuova manovra che deprimendo ancor più la nostra economia, ci porterà ineludibilmente nelle mani della Germania che resterà unica padrona del contesto politico-economico con la sua tripla A, dopo che la Francia l’avrà persa nell’aprile prossimo, e che detterà le sue regole a tutti fino a che una ribellione comune non porterà purtroppo, nonostante tutti gli scongiuri, molto verosimilmente ad un nuovo conflitto. 


intervista uscita su Cronache e Opinioni n. 1/2-2012 

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