etica

"... Non vogliate negar l'esperienza di retro al sol, del mondo sanza gente. Considerate la vostra semenza fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza". (Dante, Inferno canto XXVI, 116-120).


martedì 27 ottobre 2015

SINODO FAMIGLIA:MATRIMONIO E CONFINI DELL’ETICA

La natura dell'amore coniugale esige la stabilità del rapporto matrimoniale e la sua indissolubilità. La mancanza di questi requisiti pregiudica il rapporto di amore esclusivo e totale proprio del vincolo matrimoniale, con gravi sofferenze per i figli e con risvolti dannosi anche nel tessuto sociale.
La stabilità e l'indissolubilità dell'unione matrimoniale non devono essere affidate esclusivamente all'intenzione e all'impegno delle singole persone coinvolte: la responsabilità della tutela e della promozione della famiglia come fondamentale istituzione naturale, proprio in considerazione dei suoi vitali e irrinunciabili aspetti, compete piuttosto all'intera società. La necessità di conferire un carattere istituzionale al matrimonio, fondandolo su un atto pubblico, socialmente e giuridicamente riconosciuto, deriva da basilari esigenze di natura sociale.
L'introduzione del divorzio nelle legislazioni civili ha alimentato una visione relativistica del legame coniugale e si è ampiamente manifestata come una « vera piaga sociale ».497 Le coppie che conservano e sviluppano i beni della stabilità e dell'indissolubilità « assolvono ... in modo umile e coraggioso, il compito loro affidato di essere nel mondo un “segno” — un piccolo e prezioso segno, talvolta sottoposto anche a tentazione, ma sempre rinnovato — dell'instancabile fedeltà con cui Dio e Gesù Cristo amano tutti gli uomini e ogni uomo ».498
Dal COMPENDIO DELLA DSC punto 225 pag. 126 Ed. LEV 2005.


Tra le diverse notizie che affollano gli spazi mediatici tra storie di corruzione (leggi Anas e mafia capitale) tra storie di malversazioni (leggi Volkswagen e mercato automobilistico tedesco) una fuori dal normale che appare importante approfondire è l’argomento Sinodo sulla Famiglia. Non è certo un argomento semplice da trattare, però a livello etico credo che la coscienza di tutti e non solo dei cattolici venga coinvolta nelle decisioni che scaturiranno dalle 94 proposizioni presentate a papa Francesco e che rispecchiano le situazioni di incertezza su cui ci si attende una risposta di verità in quanto il relativismo etico che viviamo in questi tempi di transizione non distingue più la verità da quello che è l’opinione delle singole persone. Purtroppo dobbiamo riscontrare sempre più la colpa strumentale dei mass media e della cultura del consensosoggettivo ed indiscriminato rispetto all’obiettività delle situazioni. Detto ciò, so che forse sarà difficile il mio ragionamento, ma cercherò di renderlo quanto più semplice e snello possibile in modo da poterci confrontare con una realtà che fondi su principi veri a cui ancorarsi e non soltanto su opinioni comuni dettate dalla libertà di ciascuno di scegliere sulla base dei propri gusti e delle proprie preferenze. Tanto per capirci basta fare l’esempio della teoria del gender laddove si rifiuta la legge naturale per scegliere di definire un impulso soggettivo che potrebbe essere anche dettato da un’anomalia naturale, ma che è comunque un’anomalia. E’ come non voler fare differenze tra normodotati e diversamente abili. Purtroppo la differenza c’è ed è evidente. Pertanto se si nasce con gli attributi maschili si è maschi se si nasce con quelli femminili si è femmine. La natura non lascia spazi alla preferenza soggettiva.La disabilità come la deviazione sessuale (non in senso spregiativo, ma come dato di fatto) devono essere riconosciute e pertanto trattate come tali.  Quindi così come non si può pretendere che un disabile abbia le funzionalità del normodotato, pur rispettando per lui tutti i diritti umani e civili attribuibili, così per quanto riguarda un omosessuale, pur rispettando tutti i suoi diritti non si può, per ragione naturale,paragonarlo ad un eterosessuale in termini funzionali. Allora si capisce che il rispetto dei diritti è una cosa e l’esercizio delle funzioni è altro. Detto questo possiamo penetrare nei problemi che sono stati o no affrontati dal sinodo, innanzitutto per ciò che concerne il concetto di famiglia legato al matrimonio; il concetto di matrimonio come realtà possibile tra esseri eterosessuali; il matrimonio come realtà sacramentale indissolubile;  il matrimonio come diritto ad usufruire dei beni sacramentali derivanti dall’appartenenza alla chiesa cattolica; inserendoci poi  anche il problema del matrimonio dei sacerdoti in opposizione al celibato; in secondo luogo per quanto riguarda questi ultimi anche la condizione omosessuale esistente, ormai possiamo dirlo, in diversi di loro. Procedendo per gradi onde ritrovarci nei confini dell’etica che caratterizza queste situazioni, io direi di portare il nostro ragionamento in maniera equilibrata su qualcuno dei diversi fronti evidenziati cercando pacatamente di vedere al di là di ciò che una lettura affrettata dei giornali o le parole sciorinate da un talk show possano farci comprendere.

SINODO
Non vorrei parlare di sinodo come ne hanno parlato tutti, vale a dire del suo significato di relazione dialettica tra i gruppi, alla ricerca di un punto di incontro tramite un dialogo aperto sincero e finanche acceso e conflittuale. Il lato dell’attività sinodale che vorrei invece affrontare è quello del livello di riflessione. Come abbiamo potuto ascoltare dai diversi padri sinodali intervenuti, tutti gli argomenti riguardanti le unioni matrimoniali hanno preso certamente in considerazione la coppia ed i suoi problemi, ma  sempre rapportati ad un livello teologico di relazione sacramentale e di integrazione a livello religioso. Ovviamente il Sinodo essendo formato da persone esperte soprattutto di concetti legati al matrimonio, senz’altro anche a livello pastorale, ma pur sempre a livello teologico, non potevano che concentrarsi sugli elementi sacramentali di questo, senza considerare a fondo che il matrimonio è una realtà essenzialmente  umana rappresentata da una unione naturale e pertanto di fatto o da una unione sacramentale e pertanto religioso. Ovviamente quando parlo di matrimonio di fatto estendo il concetto pure a coloro che si sposano anche con il solo rito civile, per distinguerli da quelli che lo fanno con il rito religioso. Ma si badi bene dobbiamo considerare unione matrimoniale anche le cosiddette coppie di fatto che decidono di formare una famiglia ancorché non legalizzata. Tutto questo perché quando parliamo di matrimonio come espressione della volontà di un uomo ed una donna di unirsi per un progetto di vita insieme il cui obiettivo è quello naturale di ricercare il frutto della propria unione che si concretizza nella nascita dei figli,  parliamo  intrinsecamente di famiglia. Dunque la famiglia esiste a prescindere che ci si sposi con rito religioso, civile oppure che non ci si sposi affatto: la famiglia esiste perché è sancita dalla libera e cosciente volontà dell’unione tra un uomo ed una donna il cui frutto naturale saranno i figli che verranno.  La famiglia pertanto non è altro che il risultato di una progettualità umana e come tale anche necessariamente sociale. Eccoci dunque a discutere di ciò che forse il Sinodo avrebbe dovuto mettere in evidenza: la famiglia per essere tale deve avere la possibilità di esistere e la sua esistenza non può essere considerata solo a livello teologico. I rapporti tra un uomo ed una donna, tra marito e moglie, tra coniugi e figli, tra famiglia e società, sono possibili solo nella misura in cui vengono sostenuti i bisogni primari, che pur se i teologi pongono in secondo piano, sono alla base del progetto unitivo finalizzato alla formazione di una famiglia. Tali bisogni fisici non consistono solo in pulsioni, repressioni, o meccanismi comunicazionali o psicologici della coppia, essi sono rappresentati da situazioni tangibili che si originano quasi sempre al di fuori della coppia e della famiglia che inconsapevolmente leintroitaa volte anche prim’ancora che si formi, per poi palesarsi in maniera drastica ed incisiva nella relazione di coppia e nelle relazioni familiari. Ma quali sono queste cause esterne? Per capirlo basta chiederlo a chiunque abbia le responsabilità di una famiglia.Però responsabilità effettive, intendo diree non come semplice appartenenza, vale a dire che un padre e una madre sono implicati in maniera tale, che un figlio, pur se appartenente alla stessa famiglia, non è neanche in grado di immaginare.Pertanto se la famiglia è un progetto, chi la forma deve innanzitutto avere l’idea del progetto, del contesto in cui sviluppare questo progetto; deve avere la capacità economica e finanziaria per dare vita e sostenere il progetto;deve poter contare su delle regole certe che facciano da guide-lines al progetto;deve poter usufruire di strutture ed infrastrutture che possano sostenere il processo di sviluppo del progetto. Il Sinodo a mio avviso avrebbe dovuto centrare prima di tutto questi obiettivi per poi discutere della relazione di coppia a livello sacramentale. Avrebbe dovuto semplicemente porsi gli interrogativi di come analizzare un “businnessplan” d’ordine familiare ai diversi livelli e nelle diverse localizzazioni, per poter capire e trovare modi di intervento per quelli che restano i fondamenti reali su cui la famiglia poggia: il lavoro, la capacità economico-reddituale, la possibilità finanziaria, l’inserimento nella previdenza sociale ecc. e questi elementi si derivano da una semplice analisi sequenziale, vale a dire che una coppia può fare un progetto di vita familiare se almeno un componente ha un lavoro; se si percepisce un reddito adeguato; se si può ottenere una casa sia in affitto che in acquisto; se si possono ottenere mutui a tassi non di strozzinaggio; se si può accedere ai servizi pubblici di istruzione e di solidarietà sociale ecc. Tutti elementi che nascono da una visione politica di bene comune. Inoltre a tutto ciò deve aggiungersi  il problema della visibilità, vale a dire che sposarsi costa! Ecco perché molte unioni preferiscono restare coppie di fatto. Anche i figli, per quanta grazia possano essere, costano! La nascita di un figlio a volte impedisce di lavorare; i figli hanno bisogno di tempo da dedicare loro; la gravidanza, tranne che in qualche Paese, non gode di sostegni sociali adeguati, pur se le rivendicazioni sindacali erano riuscite ad avere un piccolo supporto in termini di diritti della lavoratrice. Inoltre la famiglia deve farsi carico del sistema educativo dei figli, del sistema assistenziale dei propri membri, della solidarietà familiare tra generazioni.  Allora alla luce di questa riflessione appare condivisibile pensare che solo dopo aver trattato tali argomenti  in chiave socio-politico-economica, richiamandola necessità di una presa di coscienza effettiva da parte dei responsabili, di una loro implicazione manifesta, il Sinodo sarebbe potuto passare ad analizzare i problemi di coppia, della loro realtà sacramentale e del loro sviluppo a livello familiare.

MATRIMONIO
Dopo questa prima osservazione andiamo anche a scomporre in maniera più rispondente il concetto di matrimonio. Quando si parla di matrimonio si intendono soprattutto tre cose: la fedeltà, l’indissolubilità e la cura della prole. Queste cose pur se comuni ad ogni tipo di unione, divengono condizione esistenziale per il matrimonio cristiano. La fedeltà è qualcosa che deriva dall’unione di due esseri che hanno scelto liberamente di donarsi in maniera esclusiva l’uno all’altro per un patto d’amore. Nel sacramento la fedeltà rappresenta il fondamento dell’amore verso l’altro concepito come esclusivo dono di Dio. L’indissolubilità deriva dall’unione naturale sancita dalla coscienza morale di chi esprime umanamente una promessa di amore esclusivo ed unico per l’intera vita. Tale carattere viene rafforzato ancor più dalla potenza sacramentale che sancisce questa promessa e che trascendendo la coscienza umana si configura come espressione di un volere divino che l’uomo non ha più il potere di scindere per l’eternità. Da ultimo mettiamo la cura della prole che rappresenta l’obiettivo fondamentale del progetto familiare è infatti un diritto/dovere della famiglia di crescere i propri figli trasmettendo loro tutti gli elementi fisici, metafisici e teologici di natura culturale, religiosa e tradizionale in piena libertà e senza alcuna interferenza dall’esterno. Nella realtà sacramentale questo diventa l’obiettivo dell’unione, vista come obiettivo di procreazione di altri esseri fatti ad immagine e somiglianza di Dio,che scaturisce dall’amore e che quindi va curata con il medesimo amore.  Se queste caratteristiche sacramentali, appaiono chiare allora si comprende anche il motivo per cui è stata finora negata la possibilità di dare la comunione ai divorziati. Se il matrimonio cristiano ha queste caratteristiche, chi le rifiuta, rifiuta automaticamente di essere nella Chiesa e pertanto appare un controsenso che un sacramento lo si rifiuti ed uno lo si ricerchi. Poiché la fede non può frammentarsi, ma deve ricondursi unicamente ad un carattere essenziale di unitarietà, va da sé che o i sacramenti si accettano tutti, senza riserve oppure non si accettano e quindi ci si autoesclude dai medesimi. Non è la Chiesa quindi che esclude, ma è colui il quale avendo infranto il  patto di unitarietà sacramentale si tira fuori da essa e quindi,per chi ha chiari questi termini di riferimento, appare difficile capire per quale motivo colui che ha rifiutato il sacramento del matrimonio dovrebbe poi poter accedere al sacramento dell’Eucarestia.  Questo vale tanto per coloro che provocano la rottura del vincolo matrimoniale, quanto per coloro che avendolo subito decidono, senza ricorrere all’annullamento sacramentale di ricostituire un’altra unione non sacramentale. Questi due atteggiamenti pongono coloro che li perseguono, fuori dalla matrice ecclesiale. Ma allora diremmo che non c’è soluzione! A mio avviso la soluzione andrebbe  ricercata sotto due profili, il primo concernente la presa di coscienza effettiva dei coniugi sul significato di  un’unione matrimoniale che nella sua normalità e come d’abitudine,si concepisce come legalizzata grazie alla sola lettura di alcuni articoli di legge, a volte anche a prescindere dal grado di comprensione profondo, espresso dalla coppia e l’apposizione di una firma. Il problema della formazione consapevole della coppia per un matrimonio libero e non contrattuale, resta in capo alle strutture istituzionali che però non se ne fanno carico e la Chiesa non può, anche se è lodevole, continuare a farsi carico di una preparazione che non appare adeguata alle necessità richieste dall’Istituto del matrimonio. Il secondo profilo invece riguarda la necessità di adeguamento dei caratteri sacramentali del Matrimonio al tempo attuale in cui, una più vasta conoscenza della realtà e una libertà di scelta caratterizzata da bisogni indotti, unite alla manifestazione di caratteristiche di violenza e disumanità quotidianamente veicolate dai mass media,renderebbero necessaria la revisione di alcuni principi concernenti le tre cose in precedenza accennate: fedeltà, indissolubilità e cura della prole.  In virtù di tale complesso contesto, la Chiesa dovrebbe sentirsi chiamata a studiare nuovi principi di annullamento e di nullità intervenuta dell’unione sacramentale, a causa di elementi non riscontrati al momento della celebrazione del matrimonio, oppure sopravvenuti per cambiamento della personalità di uno dei coniugi. La discussione sinodale dunque avrebbe dovuto valutare a livello teologico, quanto le manifestazioni di violenza sopravvenuta, le manifestazioni di infedeltà oggettivamente prolungata e non episodica, la schizofrenia comportamentale possano essere, se manifestamente provate, causa di nullità sopravvenuta motivata da una manifesta variazione dei caratteri della personalità di cui l’altro coniuge non aveva piena conoscenza, o non si erano completamente manifestati al momento del matrimonio. Questa presa d’atto dovrebbe essere procedurizzata sulla base di elementi effettivi e di episodi ricorrenti e consuetudinariamente riscontrati che permettano a chi ha contratto un matrimonio religioso di invocare l’estinzione della personalità pregressa del coniuge,  in cui aveva creduto e riposto fiducia, veicolatrice invece di una falsità ideologica riscontrata nei fatti successivi, che permetta di decretare in maniera chiara che l’assenza contestuale dei tre elementi suddetti vale a dire fedeltà, indissolubilità e cura della prole comportano un automatico scioglimento del vincolo sacramentale contratto, da decretare in maniera chiara da parte dell’autorità ecclesiastica, dando alla vittima dell’abbandono o della violenza o della prevaricazione,  la libertà di ricostituire un successivo vincolo familiare, con altra persona anche se non a livello religioso, non in contrasto però con la realtà sacramentale. In tal modo si determina per chi ha subito l’abbandono la possibilità di recuperare un equilibrio di vita anche spirituale attualmente non ammesso e quindi la riammissione ai sacramenti. Se ciò non avviene si ha un risultato di doppia penalizzazione per chi è vittima, mentre il colpevole può restare placidamente incolume.Si richiede pertanto una riflessione più puntuale che possa sanare questa disparità di trattamento.

I CONFINI DELL’ETICA NELL’UNIONE FAMILIARE
Per terminare l’argomento vale la pena capire quali siano i confini etici dell’unione familiare, da non confondere con quelli della realtà sacramentale del matrimonio. Tanto per essere chiari dobbiamo sottolineare che l’unione matrimoniale è il luogo in cui si esprime la vera dimensione del bene comune che si misura sulla persona meno dotata della famiglia.  Il bene comune infatti essendo il bene di tutti e di ciascuno può svilupparsi soltanto in un ambiente dove esista un tessuto d’amore reale che si alimenta nella fedeltà che trasmette fiducia e sicurezza, si concretizza nella solidità di un vincolo che non teme oscillazioni emotive perché è un legame d’amore che l’essere umano non riesce a sciogliere ed infine si manifesta nella premura reciproca non solo tra i coniugi, ma anche verso tutti i componenti della famiglia, specialmente quelli più deboli e bisognosi di cure.  I confini dell’etica in cui si sviluppa l’unione familiare sono perciò quelli del coraggio, dell’abnegazione, del dono di sé, della mutualità, della solidarietà personale e della sussidiarietà familiare orizzontale che fanno dei membri una successione di anelli che concatenandosi nei loro sentimenti più profondi, alternandosi ed integrandosi tra generazioni, testimoniano con la loro vita e con il loro atteggiamento solidale la realtà di un amore umano che, al di là di qualsiasi aspetto religioso, riesce a perpetuarsi e a trasmettersi autenticamente tra gli esseri umani, soltanto se viene percepito nella sua piena essenza teologale.