etica

"... Non vogliate negar l'esperienza di retro al sol, del mondo sanza gente. Considerate la vostra semenza fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza". (Dante, Inferno canto XXVI, 116-120).


venerdì 14 settembre 2012

Persona e solidarietà

Carità, “fuoco interiore” per aiutare gli altri.  P. Josep Joblin così terminava il suo precedente contributo su La sussidiarietà: “… i due concetti che completano l’insegnamento sociale della Chiesa in questo contesto, (sono) quelli di persona e di solidarietà”. Su tali concetti, a completamento della sua riflessione precedente,  l’odierno approfondimento.
Alba Dini Martino

Le idee di persona e di solidarietà sono familiari nel mondo occidentale e cristiano: ciascuno ne ha nozione; ciascuno è cosciente di essere distinto dagli altri pur avendo una responsabilità a loro riguardo.  Certamente, in tutte le civiltà è possibile osservare senso di responsabilità nei confronti di coloro che la vita ha maltrattato e sarebbe facile portare magnifici esempi di generosità, ma è nelle donne e negli uomini segnati dal cristianesimo, come Madre Teresa per esempio, il senso di un dovere urgente e universale; esiste in effetti un legame fra persona e solidarietà che è necessario spiegare.
Ciò suggerisce, tuttavia, di spiegare innanzitutto cos’è una persona; essa è caratterizzata nella nostra cultura dalla consapevolezza che ciascuno prova di essere inviolabile, uguale agli altri, libero e responsabile; si tratta in questo caso di valori o principi fondamentali che ci sembrano così evidenti da non aver bisogno di essere dimostrati e noi giudichiamo le situazioni nelle quali ci troviamo nella misura in cui non contraddicono questo dato fondamentale o permettono di inscriverlo più profondamente nella realtà. Tale senso della dignità di ogni essere umano ci viene dalla filosofia greca e dalla Bibbia; dalla filosofia greca, secondo la quale  la grandezza dell’uomo deriva dal fatto che egli può dominare le forze della natura in luogo di credersi sottoposto ad un destino inesorabile; dalla Bibbia che fin dalla prima pagina, ci mostra Adamo ed Eva responsabili di rendere feconda la terra rispettando un ordine oggettivo, quello del Bene e del male; dal Vangelo in cui Cristo chiama ciascuno alla conversione interiore del cuore per rifiutare le opere delle tenebre e  impegnarsi in quelle della Luce. Il cristianesimo ha rafforzato la coscienza del valore unico di ogni persona, affermando che ognuno è responsabile del suo destino eterno; una tale consapevolezza rimane più o meno chiara anche in coloro che si sono allontanati dalla fede, perché anche per loro la nozione di persona conserva un significato esigente.
Il senso religioso della persona si è oggi un po’ attenuato, non si può non convenirne. Tutta una corrente di pensiero si è sviluppata e imposta a partire dal XVIII secolo sotto l’influenza della filosofia dei Lumi la cui ambizione era quella di salvaguardare il valore di ogni essere umano recidendolo dal suo fondamento religioso; ha avuto inizio ciò a cui si assegna il termine generale di individualismo. Questa corrente di pensiero si è diffusa a tal punto che i cristiani immersi in questa atmosfera, ne sono stati impregnati; il liberalismo o individualismo li hanno abituati a modificare il loro sguardo sulla società; in luogo di vedere nelle persone sfortunate, in colui che la vita non ha favorito un fratello che bisogna aiutare ad uscire dalla sua situazione, ci vedono troppo spesso un povero che basta aiutare con un’elemosina; la parola carità è stata quindi svalutata; invece di percepirla come un “fuoco interiore” (Paolo VI) che spinge ad aiutare gli altri al di là del possibile o a cambiare alcune strutture della società che sono largamente responsabili della loro “miseria immeritata”, (quelle che Giovanni Paolo II chiamerà le “strutture di peccato”), la carità è ridotta ad una assistenza il più delle volte materiale. Si è arrivati a scrivere, ancora nel 1893: “i ricchi sono gli amministratori dei poveri. Ecco la dottrina: il superfluo degli uni, deve, attraverso il canale della carità, servire alle necessità degli altri … le disuguaglianze sociali sono una legge della Provvidenza e, se posso osare di esprimermi così, una legge di grazia e, insieme, una legge della natura” (A. Leroy-Beaulieu). In questo modo si diffuse in molti spiriti la concezione che riduceva la persona ad essere niente altro che un individuo invitato ad accondiscendere alla miseria degli altri, senza avere alcun dovere di solidarietà al suo riguardo.
La reazione contro la mentalità descritta ha cominciato a farsi strada l’opinione fra le due guerre mondiali. Rimarrà a gloria di Pio XI di essere stato il Papa che ha denunciato i totalitarismi in nome del rispetto dovuto alla persona umana; mostrando in tal modo che le istituzioni devono essere al servizio “di ogni uomo e di tutto l’uomo” (Paolo VI, Populorum Progressio, 14), poiché la “costruzione di un mondo più umano” richiede “una compartecipazione efficace degli uni con gli altri in un clima di eguale dignità” (id., 54); in una parola, la crescita umana di ognuno non può realizzarsi indipendentemente da quella degli altri membri della società. Questa prospettiva ha aperto la via all’idea dello sviluppo dei popoli. Ciò è stato preso in considerazione a partire dall’inizio della Guerra del 1939, sia da Roosevelt che da Pio XII, il quale fin dal 1940 augurava nella sua omelia Il Vangelo (24 novembre) lo stabilirsi “di un ordine più equo e unanime basato (sulla virtù della) giustizia …; un ordine che tenda ad attribuire a tutti i popoli, nella tranquillità, nella libertà e nella sicurezza, la parte ad ognuno di essi in questa terra spettante, delle fonti della prosperità e della potenza, affine di rendere loro possibile l’adempimento della parola del creatore: Crescete, moltiplicatevi e riempite la terra”. E la filosofia della persona qui sottesa è da ben capire. 
Non si può più pensare oggi l’individuo senza vedere in lui una persona, cioè un essere che si riconosca in quanto responsabile, in seno al movimento generale delle società; ciò implica una crescita che trascina tutti gli uomini e tutte le donne verso una riconciliazione, una unità generale. Nessuno di noi può “crescere in umanità” rimanendo isolato dagli altri, perché è accettando di sentirsi effettivamente responsabile dei loro propri progressi che egli arricchisce anche se stesso in vista del fine per il quale è stato creato. Una tale visione un po’ astratta assume tutto il suo significato in un cristianesimo personalmente vissuto, poiché dipende dall’accettazione dinamizzante della condizione dell’essere umano creato ad immagine di Dio, cioè capace di amare gli altri fino al punto di sacrificarsi per loro; cosa che ci mostra ogni giorno la dedizione delle madri di famiglia a coloro che le circondano.
Il Cristo Dio-Uomo è qui il modello, poiché unisce in Lui stesso una duplice disposizione: da una parte, ci insegna l’umiltà avendo rinunciato alla sua condizione divina per farsi uomo (Phil.2, 6-8), mostrando fino a qual punto può giungere la disposizione della umiltà per la quale il cristiano rinuncia a ogni pretesa di dominio e, d’altra parte, l’idea di servizio agli altri che può arrivare fino al sacrificio dei propri interessi. Tale è il livello al quale ci eleva la fede cristiana; ci fa scoprire che il nostro proprio sviluppo dipende dalla disposizione di servizio nella quale ci mettiamo di fronte agli altri.

Pare Joseph Joblin, sj – (Cronache e Opinioni n. 3 pag. 20 Marzo 2011)

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