etica

"... Non vogliate negar l'esperienza di retro al sol, del mondo sanza gente. Considerate la vostra semenza fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza". (Dante, Inferno canto XXVI, 116-120).


giovedì 20 settembre 2012

Di fronte alla crisi: rigore, crescita, equità sociale


Si parla molto sia in Italia che in Europa e in tutto il mondo occidentale di “rigore”, in termini contabili e di “crescita”, in termini economici. Si vede nella “equità sociale” quasi una terza tappa, mentre dovrebbe essere trasversale e contestuale alle altre due dimensioni, in profonda, organica, reciproca interazione. Diversamente, i costi umani, personali e sociali, potrebbero diventare sempre più pesanti, se non insostenibili!

Alba Dini Martino

Tutti i Paesi europei sono oggi nel caos; tre parole ritornano continuamente nelle conversazioni e nelle diverse prese di posizione: rigore, crescita ed equità sociale. Tentiamo di portare qualche chiarezza in questa confusione.
Una delle cause all’origine della crisi è stata identificata: le banche e le istituzioni di credito sono state indicate all’opinione pubblica come le grandi responsabili della situazione attuale; tuttavia esse sono essenziali per far marciare l’economia e hanno svolto un ruolo molto importante nella prosperità che ha conosciuto l’Occidente. Esse sono infatti essenziali a far marciare l’economia; ricevendo i depositi dei privati e dei grandi fondi finanziari, esse accordano ad altri dei crediti che  permettono di iniziare delle attività o di creare delle imprese e, quindi, di distribuire dei salari; esse consentono anche a dei privati di poter migliorare le proprie condizioni di vita, (acquisto di un’auto, di un frigorifero, di un alloggio etc…); nello stesso modo, consentono agli Stati di organizzare la vita comune o di lanciare dei progetti di interesse pubblico. Il sistema funziona fino a quando coloro che hanno avuto dei prestiti sono in grado di rimborsare i debiti che hanno contratto. Ma tutti gli attori economici, gli Stati come anche i privati, hanno ceduto alla tentazione del denaro facile. Le banche hanno corrisposto ed è in ciò che si situa la loro responsabilità, perché è venuto il momento in cui sia i privati che gli Stati si sono trovati nella incapacità di rimborsare i loro debiti. Due vie erano possibili per uscire da questa situazione: lasciare che le banche fallissero, ma allora i risparmiatori avrebbero perso le loro economie e il mondo sarebbe entrato in un’era di povertà; oppure che gli Stati cercassero di evitare una tale via di uscita, imponendo alle banche di cessare di dare crediti non garantiti e riducendo le spese inutili; una parola designa questo orientamento: rigore; ma ciò è all’origine di un rallentamento dell’economia e quindi della contrazione della occupazione, come anche della massa salariale. Ma queste politiche hanno un costo umano.
Le categorie di cittadini che sono vittime del rigore sono principalmente le donne, che devono far vivere le loro famiglie con risorse ridotte, i disoccupati di cui una grande parte è formata da giovani che arrivano su un mercato del lavoro in cui non trovano opportunità e i pensionati, le cui pensioni, spesso miserevoli, non seguono il costo della vita. Anche i movimenti sociali chiedono ai governi di dare ossigeno alle popolazioni vittime del rigore, rilanciando la crescita attraverso la concessione di crediti per contenere la disoccupazione e distribuire risorse ai più sfavoriti; ma i governi resistono, perché in questo c’è il rischio di rilanciare l’inflazione.
Tutte le politiche si situano attualmente fra due poli: rigore e crescita; il primo crea le basi per una economia sana; il secondo ricorda che l’economia è a servizio dell’uomo. È qui che interviene il concetto di equità sociale che può essere così definito: la concezione che cerca di conciliare le esigenze contrarie del rigore e della crescita, in vista di adottare delle misure a beneficio di coloro che il rigore condannerebbe alla povertà, anzi alla miseria e alla marginalità sociale. Come è indicato anche in un rapporto delle Nazioni Unite: “l’equità sociale consiste nell’offrire condizioni di vita giuste ed eque per tutti, uomini o donne, al fine che essi possano soddisfare le loro necessità fondamentali, mangiare, bere, avere un alloggio dove ripararsi, lavorare, andare a scuola ...”. Si tratta di un “principio morale” che richiede di ridurre la povertà e di favorire il progresso materiale e lo sviluppo spirituale” di “tutti gli uomini e di tutto l’uomo”, (Paolo VI, Populorum progressio, 14). Esso costituisce un asse etico indispensabile da prendere in considerazione se vogliamo salvaguardare, in questo tempo di crisi, le acquisizioni personaliste della civiltà europea. Il richiamo alla nozione di equità permette di vedere i punti sui quali un miglioramento è auspicabile, necessario o indispensabile per attivare la società in uno sforzo solidale, dando contenuto alla nozione stessa di giustizia sociale. La nostra morale sociale non può tollerare che categorie intere della popolazione siano emarginate dalla vita della comunità, a causa della mancanza di educazione/formazione, della sotto-occupazione o della disoccupazione.
Giunti a questo punto della nostra riflessione,  un esame di coscienza ci è necessario. La messa in opera di una politica equa richiede dei sacrifici da parte di tutti, in particolare da parte di coloro che beneficiano di più del sistema attuale. Ora, è necessario riconoscere che se la nostra civiltà mediterranea ha sviluppato in ciascuno di noi un senso acuto della persona, che si manifesta tanto nei comportamenti individuali come in quelli di gruppo come la famiglia, ci è spesso difficile porci in una prospettiva globale, dando la preferenza all’interesse generale, piuttosto che a rivendicazioni particolari, spesso corporative. La nozione di equità sociale ci ricorda che è legittimo difendere i nostri interessi particolari, ma che anche tutta la società deve ripartire verso una maggiore prosperità. Ecco perché una mentalità universalista, segnata dalla carità, chiede agli uni e agli altri di riflettere in comune nelle organizzazioni ad hoc sui sacrifici che la società deve imporsi in modo solidale; le associazioni devono assumere il loro compito etico di educazione alla carità e alla solidarietà.

Padre Joseph Joblin – Cronache e Opinioni

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