etica

"... Non vogliate negar l'esperienza di retro al sol, del mondo sanza gente. Considerate la vostra semenza fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza". (Dante, Inferno canto XXVI, 116-120).


giovedì 20 settembre 2012

Conoscenza e Coscenza


L’approfondita riflessione qui proposta sulla nozione di coscienza e sulle sue  radici cristiane - considerata anche in relazione alla conoscenza - sembra particolarmente pertinente, ricca di significativi suggerimenti per un dialogo fruttuoso nell’ambito dei contenuti dell’Incontro-Giovani, quest’anno centrato sul tema Conoscere per crescere.
Alba Dini Martino


Il linguaggio comune lega la coscienza alla conoscenza: si ha coscienza di qualcosa.
Dal punto di vista filosofico, essa consiste in quel potere che l’uomo ha di conoscersi in quanto soggetto pensante distinto dagli oggetti che conosce.  Tale facoltà permette all’individuo di formulare dei giudizi di valore morale sui suoi atti, sulla scorta di una gerarchia  di valori che egli ritiene veri. Dal punto di vista dell’antropologia religiosa, la coscienza consiste in quella “legge scritta  da Dio dentro il cuore dell’uomo”  e “che lo chiama sempre ad amare e a fare il bene e a fuggire il male”, (Gaudium et Spes, 16). Essa permette a ciascuno di giudicare sul valore dei suoi atti o di una situazione, in rapporto alla rappresentazione che egli ha del Vero, del Bello, del Bene e del Giusto; egli ne porta la responsabilità davanti agli uomini e davanti a Dio; la coscienza è, dice S. Girolamo, una “scintilla” che mai si estingue e che fa “sentire” un’azione come buona o cattiva: essa dà fondamento alla dignità della persona umana.
L’esercizio del  giudizio da parte della coscienza è sottoposto a numerose influenze; queste non sono soltanto esterne come può essere la propaganda o ciò che è stato chiamato la “rieducazione”; esse sono anche interne e i lavori di Freud e dei suoi successori hanno messo in evidenza il potere dell’inconscio sulla coscienza. Secondo la dottrina cattolica, tale potere non arriva a sopprimere la responsabilità individuale. Scopo dell’educazione è infatti quello di affrancare da tali dipendenze insegnando all’individuo a diventare padrone dei suoi istinti e delle sue emozioni; si parla allora di una coscienza formata, più o meno; del resto, il giudizio della coscienza non è necessariamente infallibile; essa può ingannarsi per ignoranza, in questo caso è erronea e può esserlo invincibilmente, oppure, poiché esita nella formulazione del suo giudizio è dubbiosa.  Esistono anche altre qualificazioni della coscienza: si dirà che è retta, quando sa discernere abitualmente sul valore morale di un atto; essa è detta permissiva quando percepisce soltanto i “grossi” divari fra bene e male; in questo caso è priva di finezza; la si dirà scrupolosa se, al contrario, vede il male anche dove non c’è. Su un altro registro, si parla di coscienza sociale quando è sensibile ai problemi della società e, più particolarmente, alle ingiustizie che esistono in una data società.
Problemi legati al rispetto della dignità
della coscienza 
La nozione di coscienza del Cristianesimo non è condivisa da tutte le civiltà. Sebbene la nozione di coscienza sia comune a tutte le civiltà, ognuna di esse definisce i rispettivi diritti e doveri in funzione della sua antropologia: è così che il termine “coscienza”, è stato incluso nell’articolo 1 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 19481 per soddisfare la richiesta del delegato cinese, secondo il quale l’essere umano “è dotato di ragione”, prima di tutto per sviluppare il senso del “dovere di benevolenza” nei confronti degli altri esseri umani e non in vista del suo proprio divenire personale.
La nozione di coscienza del Cristianesimo non è condivisa da tutti i membri delle società democratiche. Se tutte le società democratiche mettono la coscienza a fondamento della dignità umana e fanno del suo rispetto un principio essenziale dell’ordine pubblico, esse differiscono sulle conseguenze che ne traggono nell’organizzazione della società. Con il pretesto di non voler intervenire nel dominio della coscienza, alcune società occidentali ritengono di essere rispettose del principio di non-discriminazione, ponendo sullo stesso piano religione e libero pensiero; ma, in questo modo, riducono la religione a nient’altro che un’opinione fra le altre; non riconoscendo la specificità di tale fenomeno, visto che si schierano per il libero pensiero, sostengono precisamente che le credenze religiose devono essere trattate come opinioni soggettive. Ma se ogni manifestazione esterna  della coscienza religiosa, la cui legittimità è riconosciuta dall’art. 18 della Dichiarazione del 19482,  viene rifiutata dai pubblici poteri ogni qual volta qualcuno se ne dichiari leso, il libero pensiero nella vita pubblica diventerà la regola di quella società. Ugualmente, quando gli insegnanti e i manuali del sistema della pubblica istruzione si vedono impedito di fare riferimento al fatto religioso per spiegare il meccanismo della coscienza, si manifesta il rischio reale di vedere diffondere la non credenza. La difficoltà che viene a sollevarsi  è gravida di gravi rischi di conflitto fra credenti e istituzioni politiche dell’Occidente. L’interpretazione dei principi democratici che sono alla base delle società moderne deve dunque essere ripensata per risolvere questo conflitto potenziale e tener conto del fatto che il credere appartiene ad un ordine proprio che non può essere ridotto a semplice opinione; esso affonda su una relazione con l’Assoluto che ha incidenza su tutti gli aspetti della vita.   

1 “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed uguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza.”
2 “Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare di religione o di credo, e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, e sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell’insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell’osservanza dei riti.”

Padre Joseph Joblin, sj – (Cronache e Opinioni n. 7/8 pag. 20 luglio/agosto 2011)

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