etica

"... Non vogliate negar l'esperienza di retro al sol, del mondo sanza gente. Considerate la vostra semenza fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza". (Dante, Inferno canto XXVI, 116-120).


venerdì 15 marzo 2013

PAPA FRANCESCO E L’ETICA DEL CAMBIAMENTO


                                               “…La trappola dell’impotenza ci porta a pensare. 
Ha senso cercare di cambiare tutto questo? Possiamo fare qualcosa di fronte a questa situazione? Vale la pena cercare di farlo quando il mondo continua la sua carnevalata mascherando tutto per un po’ di tempo? Quando cade la maschera compare la verità e, anche se per molti può sembrare anacronistico, ricompare il peccato che ferisce la nostra carne con tutta la sua forza di distruzione, cambiando i destini del mondo e della storia. 
La quaresima si presenta come grido di verità e di speranza e ci risponde di sì, che è possibile non dover truccarci e disegnare nei nostri volti sorrisi di plastica come se niente fosse. Si, è possibile che tutto sia nuovo e diverso perché Dio continua ad essere «ricco di bontà e misericordia, sempre disposto a perdonare» e ci incoraggia a ricominciare una e più volte. 
Oggi, ancora una volta, siamo invitati a intraprendere un cammino pasquale verso la Vita, cammino che comprende la croce e la rinuncia, che sarà scomodo ma non sterile. Siamo invitati a riconoscere che c’è qualcosa che non va bene in noi stessi, nella società o nella Chiesa, siamo invitai a cambiare, a dare una sterzata nelle nostre vite, a convertirci…". 
Card. Jorge Maria Bergoglio, messaggio quaresimale dell’Arcivescovo ai sacerdoti, ai consacrati e ai laici dell’Arcidiocesi argentina –
 Buenos Aires 13 marzo 2013, Mercoledì delle Ceneri.  
  


Inizialmente pensavo che siccome il conclave era appena cominciato, andando le cose per le lunghe, avrei scritto qualcosa sull’etica (assente) dei grillini in parlamento. Ieri però la notizia dell’elezione di Francesco I al Soglio di Pietro mi ha imposto di riflettere, come faccio di solito con tutti coloro che leggono i miei post, sulla portata profetica del corrente papato. Ritengo infatti che in questo momento non possono più essere disattese le speranze di tutti quegli uomini di buona volontà che stanchi delle tante “lacerazioni”, messe in evidenza da Papa Benedetto XVI, auspicano un cambiamento vero, un cambiamento in termini di “Nuova Ecclesia” nel senso indicato dal Concilio Vaticano II. Senza fare giri di parole voglio andare subito al nocciolo del significato che mi sento di dare a questo segno dei tempi che secondo me bisogna saper leggere. Innanzitutto mi sentirei di dire che tre sono gli elementi importanti che ci impongono una riflessione attenta e che non devono essere sottovalutati. Il primo di questi è a mio avviso la celerità con cui Francesco primo è stato eletto. Il secondo sta nella scelta del nome e quindi dell’identità che ha scelto di darsi. Terzo il fatto di aver immediatamente rivolto il suo pensiero al suo predecessore Benedetto XVI. Gli altri elementi che potrebbero individuarsi ad una analisi più approfondita, a mio avviso sono del tutto secondari. Ma andiamo per ordine. La celerità della sua  elezione è dovuta ad una necessità oggettiva di cambiamento. Tutti i componenti del Conclave ne erano coscienti. 
Un “Cambiamento materiale” e un “Cambiamento spirituale”. Sotto il profilo materiale possiamo pensare al cambiamento nelle realtà curiali, nel governo della comunità ecclesiale, nella ridefinizione della natura del potere temporale della Santa Sede, nella ridefinizione dei dicasteri e delle caratteristiche più contraddittorie della gerarchia attuale. Sotto il profilo del cambiamento spirituale ritengo che questo si concretizzi nella rivisitazione della formula evangelica “[42] Allora Gesù, chiamatili a sé, disse loro: “Voi sapete che coloro che sono ritenuti capi delle nazioni le dominano, e i loro grandi esercitano su di esse il potere. [43] Fra voi però non è così; ma chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore, [44] e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti. [45] Il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” (Marco 10, 42-45), con cui si deve rivisitare l’umiltà di una cosciente “leadership di servizio” forse tralasciata nella testimonianza, in nome di altre necessità mediatiche, a mio avviso, dalla morte di Papa Luciani. Unitamente all’altro elemento sostanziale rappresentato dal fatto che l’attuale sfoggio della “Gerarchia” sembra aver perso di vista: “I poveri li avete sempre con voi,..“ (Marco 12,8) frase che Gesù rivolge alle persone, che in quel tempo conoscevano l'Antico Testamento a memoria tanto che bastava che Egli citasse l'inizio di una frase dell'AT, "I poveri li avrete sempre con voi!" (Dt 15,11a)  che queste già sapevano il resto, che diceva così: "Per questo vi ordino: aprite la mano a favore del vostro fratello, del povero e dell'indigente, nella terra dove voi risiedete!" (Dt 15,11b). Quindi secondo questa legge, la comunità, a cominciare dai suoi capi, deve accogliere i poveri e condividere con loro i suoi beni. Ma, anche se non l’ho citato c’è Giuda Iscariota, il suo traditore, che invece di "aprire la mano a favore del povero" e di condividere con lui i suoi beni, voleva fare la carità usando non il proprio, bensì il denaro degli altri! Voleva infatti vendere il profumo di Maria per trecento denari ed usarli per aiutare i poveri. Ma Gesù cita la Legge di Dio che insegnava il contrario. Chi, come Giuda, fa campagna con il denaro della vendita dei beni degli altri, non infastidisce. Ma colui che come Gesù insiste nell'obbligo di accogliere i poveri e di condividere con loro i propri beni, costui è scomodo e corre il pericolo di essere condannato. La “gerarchia” su questo ha bisogno di riflettere e soprattutto di cambiare atteggiamento. Questa considerazione mi permette di introdurre il secondo elemento importante da interpretare, come la scelta del nome “Francesco”. A mio avviso questo nome ha avuto un impatto folgorante certamente sulla folla, ma, ritengo, ancor di più nel cuore dei suoi “Fratelli cardinali” i quali devono aver anch’essi immediatamente recepito il messaggio del rifiuto della porpora regale e la volontà di vestire la semplice croce di ferro come segni di una nuova identità della Chiesa. Si parla tanto del significato del nome, se Francesco d’Assisi o Francesco Saverio, queste sono disquisizioni che lasciamo agli scoop televisivi perché il nome di Fancesco implica entrambi i significati di scelta radicale di povertà  e di evangelizzazione. Inoltre a Francesco è stato dato il compito di ricostruire la Chiesa cadente di quel tempo e l’identità di questo Papa credo vuole essere proprio riconosciuta nel desiderio urgente di ricostruire questa Chiesa nel ritorno alla povertà come vocazione e all’evangelizzazione di una fede teologale che ritrovando la propria diakonia, permetta di incontrare Dio nella Storia. Eccoci infine al terzo, all’elemento forse più sconvolgente proprio perché inatteso: l’attuazione della Collegialità ecclesiale del Sommo Pontefice con i vescovi, cioè  di quanto mezzo secolo fa i Padri conciliari decisero nella “Costituzione dogmatica Lumen Gentium”. Certo non è facile comprenderlo perché, secondo me, è un cammino non “riformistico”, bensì fortemente “rivoluzionario” in termini di revisione della prassi attuale. Infatti ferma restando la piena autodeterminazione e piena potestà del Pontefice, egli non è altro che il Vescovo di Roma investito dell’Ufficio Petrino, ma tale Ufficio non solo è autonomo, ma è anche collegiale e inserito nella cosiddetta “comunione gerarchica”. Non riporto tutte le citazioni perché possono essere lette e comprese da tutti nel Documento conciliare suddetto, ma riporto solo il punto 3 delle  Notificazioni fatte dall'Ecc.mo Segretario generale nella congregazione generale 123.a : 3) Il collegio, che non si dà senza il capo, è detto essere: «anche esso soggetto di suprema e piena potestà sulla Chiesa universale». Ciò va necessariamente ammesso, per non porre in pericolo la pienezza della potestà del romano Pontefice. Infatti il collegio necessariamente e sempre si intende con il suo capo, "il quale nel collegio conserva integro l'ufficio di vicario di Cristo e pastore della Chiesa universale". In altre parole: la distinzione non è tra il romano Pontefice e i vescovi presi insieme, ma tra il romano Pontefice separatamente e il romano Pontefice insieme con i vescovi. E siccome il romano Pontefice e il "capo" del collegio, può da solo fare alcuni atti che non competono in nessun modo ai vescovi, come convocare e dirigere il collegio, approvare le norme dell'azione, ecc. Cfr. Modo 81. Il sommo Pontefice, cui è affidata la cura di tutto il gregge di Cristo, giudica e determina, secondo le necessità della Chiesa che variano nel corso dei secoli, il modo col quale questa cura deve essere attuata, sia in modo personale, sia in modo collegiale. Il romano Pontefice nell'ordinare, promuovere, approvare l'esercizio collegiale, procede secondo la propria discrezione, avendo di mira il bene della Chiesa.” (Atti del Concilio Vaticano II) per far capire, soprattutto in relazione alle ultime quattro righe, che cosa sta succedendo e come la realtà ecclesiale, illuminata dallo spirito del Concilio, ha cominciato il suo nuovo cammino. Certo quello che sto per dire non è una certezza, ma solo una interpretazione umana di certi segni, fatta con il discernimento che la Dottrina Sociale cristiana insegna ad usare. La rivoluzione profetica espressa dai segni già detti, e dai gesti espressi da questo Papa (pensiero per Benedetto XVI, richiesta di preghiera “effettiva” alla Comunità, volontà di tornare a S. Marta insieme agli altri cardinali sul pullmino, la porta di Santa Maria Maggiore aperta ai fedeli mentre egli era in preghiera e diversi altri) lascia intravvedere che nel futuro il Papa sarà come espresso dal Concilio, il Vescovo di Roma a cui spetta di essere il capo del “Collegio dei vescovi”. Poiché ben sappiamo che i vescovi sono sparsi in tutto il mondo occorre creare una collegialità rappresentativa che li comprenda e che nello stesso tempo li rappresenti in maniera inequivocabile. Certo conoscendo la natura degli esseri umani e quindi anche degli appartenenti alla “gerarchia” è difficile immaginare  una possibile “rappresentatività” che non abbia caratteri istituzionali, vale a dire che non sia stata riconosciuta come tale. Ecco allora la soluzione che credo di poter intravvedere: Trasformare il Servizio Petrino come un servizio a tempo e non più a vita. In tal modo il Vescovo di Roma, il Papa, potrà essere il capo di un “collegio” veramente rappresentativo dell’episcopato mondiale. Ciò potrebbe avvenire con un “motu proprio papale” che stabilisca che il servizio pontificale abbia una durata di sette anni e che il Papa uscente, non sia considerato un “Ex Papa” ma resti, come giustamente riportato da fonti competenti “Vescovo emerito di Roma”. In tal modo si potrebbe costituire un “collegio” veramente rappresentativo perché date le attuali speranze di vita il Pontefice in carica potrebbe contare almeno su due “Vescovi di Roma emeriti” che avrebbero, nella loro caratteristica di rappresentatività istituzionale naturalmente riconosciuta datutti gli altri vescovi, il compito di coadiuvarlo come consultori naturali per le questioni di fede e della Chiesa. Certo ad alcuni, questa soluzione, potrebbe sembrare un po’ singolare. A mio avviso ritengo invece che sia nella lettera del Concilio,  sia al passo con i tempi e sia la svolta necessaria per la Chiesa Cattolica per affrontare in maniera adeguata le sfide del nuovo millennio. Sfide fatte innanzitutto da scelte ecclesiali (sacerdozio femminile),  morali (posizioni sulle scelte di genere e di morale sessuale), scelte ecumeniche (colloquio con altre chiese ed altre religioni), scelte di azione sociale (impostazione di vita nelle diverse fasce sociali e religiose) ed infine last but not the least, da scelte di fede (tecnologie di procreazione, divorzio, aborto, eutanasia, famiglie allargate, genitorialità attribuita ecc.). 
Pensiamoci un attimo: come può un uomo solo, benché sommo pontefice, assumersi l’onere di una complessità esistenziale di questa portata? Lo spirito del Concilio indica la soluzione!

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