Proponiamo,
anche questo mese, un testo tutto da meditare, in prospettiva associativa.
Mi limiterò a
richiamare l’attenzione su alcuni passaggi, da tradursi in scelte di immediata
attuazione, essenziali per la vita della nostra Associazione, in particolare
nel momento storico che sta attraversando: “il cristianesimo … si presenta come
fattore di unità … invitando a rivedere le proprie certezze, in funzione di un
fine comune a tutti e di ordine diverso. È sforzandosi di non pensare e di non
comportarsi in tutto come il mondo che li circonda, che i cristiani
contribuiscono a ispirare in esso una volontà di pace, fondata sulla giustizia,
non degli uomini, ma di Dio”.
Il secolo scorso
è stato caratterizzato da un contrasto che colpisce fra i ruoli riconosciuti
alla Chiesa sul piano internazionale. Mentre nel 1915, la Francia , la Gran-Bretagna e la Russia si impegnavano, su
domanda dell’Italia, ad escludere la Santa Sede dai futuri negoziati di pace, per ottenere
la sua entrata in guerra, Paolo VI fu pregato nel 1965 di rivolgersi ai
delegati delle Nazioni Unite, riuniti in assemblea generale (4 ottobre 1965).
Tale contrasto è confermato se si considera il numero degli Stati accreditati
presso la Santa Sede :
è passato da 9 nel 1873 a
14 nel 1914; oggi è più di 170.
È a partire da
una tale constatazione che dobbiamo riflettere, se vogliamo comprendere qual è
il posto della Chiesa nella società e, in particolare, nella vita
internazionale.
Alba Dini Martino
Le relazioni
all’interno delle nazioni, come fra gli Stati, si sono sempre svolte fra
cooperazione e contrapposizione. Ma come ha proclamato Giovanni Paolo II: la
guerra è indegna dell’uomo. I popoli prendono sempre più coscienza di tale
esigenza etica; come anche si possono osservare forme di cooperazione sempre
più raffinate, sia fra i movimenti sociali all’interno degli Stati, che fra
questi. Innanzi tutto è venuta l’idea di
creare organismi di cooperazione o meglio di
interesse comune; questo fu il caso,
dal XIX secolo, del riconoscimento dell’importanza dei movimenti sociali da
parte delle autorità politiche; è ugualmente in questa epoca che furono create,
tra le altre, l’Unione postale universale per facilitare la circolazione della
posta, o una commissione fra gli abitanti delle rive del Danubio allo scopo di
regolare la navigazione. Ma oggi la costruzione della pace esige, a seguito
della diffusione dell’ideale democratico, una cooperazione più attiva, fondata
sul consenso delle popolazioni. Ma quale ne sarà il fondamento? I creatori
della Società delle Nazioni pensarono che i popoli divenuti ragionevoli, in
seguito alla grande catastrofe della guerra del 1914, avrebbero accettato spontaneamente
di piegarsi alle esigenze della giustizia sulla quale fondare la pace. La
stessa cosa avvenne nel 1945 nel momento della creazione delle Nazioni Unite e
più tardi in quello dell’adozione della Dichiarazione dei diritti dell’uomo.
Per la Chiesa
un’idea della giustizia fondata sulla sola considerazione della ragione non può
costruire la pace, perché ogni popolo ha un’idea diversa di ciò che essa
richiede. Pio XII ha magnificamente sintetizzato tale differenza di punti di
vista in un discorso all’Ambasciatore dell’Ecuador nel 1948:
Manca, disse, la
coscienza di una norma riconosciuta da tutti, moralmente obbligatoria e, a
causa di ciò, inviolabile la cui applicazione ai problemi concreti della pace
fermi e paralizzi quell’esuberanza di interessi egoistici, particolari e quei
desideri disordinati di potere.
Là dove la fede
in Dio e la convinzione di non potersi mai sottrarre alle norme della sua
legge, conservano ancora una forza sufficiente per potersi irradiare dalla
coscienza degli individui all’ambito della vita pubblica, la divergenza delle
opinioni contrarie può dissolversi in un’atmosfera moralmente seria e di
reciproca lealtà …
I trattati di
pace nei quali si è dimenticato o consapevolmente negato il rispetto delle
leggi non scritte del
pensiero e dell’azione morali, si vedono privati di quella forza interiore
obbligatoria, la prima di tutte le premesse per ottenere la loro desiderabile
vitalità.
I testi citati
mettono in luce la fondamentale divergenza di vedute che esiste fra la Chiesa e il mondo
contemporaneo: il quale rifiuta di organizzarsi in virtù di una norma
superiore, comune a tutti, dato che una larga parte, maggioritaria, contesta la
possibilità di una sua formulazione accettabile per tutti e altri la stessa sua
esistenza; e tuttavia la quasi totalità degli Stati ha una rappresentanza
diplomatica presso la
Santa Sede. La ragione risiede nel fatto che la sua presenza
non è vista come facente parte del
numero delle altre entità statali; essa è riconosciuta come effettiva, ma di
una natura speciale, sui generis; l’autorità morale che le è riconosciuta
costituisce infatti un elemento di equilibrio nelle relazioni internazionali.
La consapevolezza che un destino comune obblighi i popoli e gli Stati a
conciliare i propri interessi immediati con il bene comune di tutti, si esprime
in seno a due istanze: l’una è costituita dalle Istituzioni internazionali che,
allo stato attuale delle cose, non si vedono riconosciuta l’autorità necessaria
per prendere le misure necessarie per il fatto che i governi, individualmente o
in gruppo, tendono a far prevalere i loro interessi particolari e immediati;
l’altra è precisamente la
Chiesa la cui imparzialità è riconosciuta, come pure la sua
volontà di mantenere i popoli uniti.
Così due grandi
forze a carattere universale hanno per vocazione di assicurare la pace fra i diversi
movimenti sociali o fra le nazioni. Il cristianesimo si inserisce secondo la
prospettiva che gli è propria. Religione a vocazione universale, il
cristianesimo introduce, nelle relazioni fra le società, un elemento nuovo.
Affermando di non essere legato ad alcun gruppo particolare, a causa della sua
vocazione ad essere presente in ciascuno di essi, allo scopo di lavorare a
favore della loro cooperazione, si presenta come fattore di unità invitando
incessantemente i membri di ogni società a rivedere le proprie certezze, in
funzione di un fine comune a tutti e di ordine diverso.
È
sforzandosi di non pensare e di non comportarsi in tutto come il mondo che li
circonda, che i cristiani contribuiscono a ispirare in esso una volontà di
pace, fondata sulla giustizia, non degli uomini, ma di Dio.
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