etica

"... Non vogliate negar l'esperienza di retro al sol, del mondo sanza gente. Considerate la vostra semenza fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza". (Dante, Inferno canto XXVI, 116-120).


martedì 2 ottobre 2012

La Chiesa nella vita delle società: rottura e continuità


Proponiamo, anche questo mese, un testo tutto da meditare, in prospettiva associativa.
Mi limiterò a richiamare l’attenzione su alcuni passaggi, da tradursi in scelte di immediata attuazione, essenziali per la vita della nostra Associazione, in particolare nel momento storico che sta attraversando: “il cristianesimo … si presenta come fattore di unità … invitando a rivedere le proprie certezze, in funzione di un fine comune a tutti e di ordine diverso. È sforzandosi di non pensare e di non comportarsi in tutto come il mondo che li circonda, che i cristiani contribuiscono a ispirare in esso una volontà di pace, fondata sulla giustizia, non degli uomini, ma di Dio”. 
Il secolo scorso è stato caratterizzato da un contrasto che colpisce fra i ruoli riconosciuti alla Chiesa sul piano internazionale. Mentre nel 1915, la Francia, la Gran-Bretagna e la Russia si impegnavano, su domanda dell’Italia, ad escludere la Santa Sede dai futuri negoziati di pace, per ottenere la sua entrata in guerra, Paolo VI fu pregato nel 1965 di rivolgersi ai delegati delle Nazioni Unite, riuniti in assemblea generale (4 ottobre 1965). Tale contrasto è confermato se si considera il numero degli Stati accreditati presso la Santa Sede: è passato da 9 nel 1873 a 14 nel 1914; oggi è più di 170.
È a partire da una tale constatazione che dobbiamo riflettere, se vogliamo comprendere qual è il posto della Chiesa nella società e, in particolare, nella vita internazionale.

Alba Dini Martino

Le relazioni all’interno delle nazioni, come fra gli Stati, si sono sempre svolte fra cooperazione e contrapposizione. Ma come ha proclamato Giovanni Paolo II: la guerra è indegna dell’uomo. I popoli prendono sempre più coscienza di tale esigenza etica; come anche si possono osservare forme di cooperazione sempre più raffinate, sia fra i movimenti sociali all’interno degli Stati, che fra questi. Innanzi tutto  è venuta l’idea di creare organismi di cooperazione o meglio di  interesse comune;  questo fu il caso, dal XIX secolo, del riconoscimento dell’importanza dei movimenti sociali da parte delle autorità politiche; è ugualmente in questa epoca che furono create, tra le altre, l’Unione postale universale per facilitare la circolazione della posta, o una commissione fra gli abitanti delle rive del Danubio allo scopo di regolare la navigazione. Ma oggi la costruzione della pace esige, a seguito della diffusione dell’ideale democratico, una cooperazione più attiva, fondata sul consenso delle popolazioni. Ma quale ne sarà il fondamento? I creatori della Società delle Nazioni pensarono che i popoli divenuti ragionevoli, in seguito alla grande catastrofe della guerra del 1914, avrebbero accettato spontaneamente di piegarsi alle esigenze della giustizia sulla quale fondare la pace. La stessa cosa avvenne nel 1945 nel momento della creazione delle Nazioni Unite e più tardi in quello dell’adozione della Dichiarazione dei diritti dell’uomo. Per la Chiesa un’idea della giustizia fondata sulla sola considerazione della ragione non può costruire la pace, perché ogni popolo ha un’idea diversa di ciò che essa richiede. Pio XII ha magnificamente sintetizzato tale differenza di punti di vista in un discorso all’Ambasciatore dell’Ecuador nel 1948:

Manca, disse, la coscienza di una norma riconosciuta da tutti, moralmente obbligatoria e, a causa di ciò, inviolabile la cui applicazione ai problemi concreti della pace fermi e paralizzi quell’esuberanza di interessi egoistici, particolari e quei desideri disordinati di potere.
Là dove la fede in Dio e la convinzione di non potersi mai sottrarre alle norme della sua legge, conservano ancora una forza sufficiente per potersi irradiare dalla coscienza degli individui all’ambito della vita pubblica, la divergenza delle opinioni contrarie può dissolversi in un’atmosfera moralmente seria e di reciproca lealtà  …
I trattati di pace nei quali si è dimenticato o consapevolmente negato il rispetto delle leggi non scritte del pensiero e dell’azione morali, si vedono privati di quella forza interiore obbligatoria, la prima di tutte le premesse per ottenere la loro desiderabile vitalità.

I testi citati mettono in luce la fondamentale divergenza di vedute che esiste fra la Chiesa e il mondo contemporaneo: il quale rifiuta di organizzarsi in virtù di una norma superiore, comune a tutti, dato che una larga parte, maggioritaria, contesta la possibilità di una sua formulazione accettabile per tutti e altri la stessa sua esistenza; e tuttavia la quasi totalità degli Stati ha una rappresentanza diplomatica presso la Santa Sede. La ragione risiede nel fatto che la sua presenza non è vista come facente parte del numero delle altre entità statali; essa è riconosciuta come effettiva, ma di una natura speciale, sui generis; l’autorità morale che le è riconosciuta costituisce infatti un elemento di equilibrio nelle relazioni internazionali. La consapevolezza che un destino comune obblighi i popoli e gli Stati a conciliare i propri interessi immediati con il bene comune di tutti, si esprime in seno a due istanze: l’una è costituita dalle Istituzioni internazionali che, allo stato attuale delle cose, non si vedono riconosciuta l’autorità necessaria per prendere le misure necessarie per il fatto che i governi, individualmente o in gruppo, tendono a far prevalere i loro interessi particolari e immediati; l’altra è precisamente la Chiesa la cui imparzialità è riconosciuta, come pure la sua volontà di mantenere i popoli uniti.

Così due grandi forze a carattere universale hanno per vocazione di assicurare la pace fra i diversi movimenti sociali o fra le nazioni. Il cristianesimo si inserisce secondo la prospettiva che gli è propria. Religione a vocazione universale, il cristianesimo introduce, nelle relazioni fra le società, un elemento nuovo. Affermando di non essere legato ad alcun gruppo particolare, a causa della sua vocazione ad essere presente in ciascuno di essi, allo scopo di lavorare a favore della loro cooperazione, si presenta come fattore di unità invitando incessantemente i membri di ogni società a rivedere le proprie certezze, in funzione di un fine comune a tutti e di ordine diverso.
È sforzandosi di non pensare e di non comportarsi in tutto come il mondo che li circonda, che i cristiani contribuiscono a ispirare in esso una volontà di pace, fondata sulla giustizia, non degli uomini, ma di Dio. 

Padre Joseph Joblin sj – (Cronache e Opinioni N. 4 - pag. 45)

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