Dentro la crisi.
Intervista a Romeo Ciminello
Intervista a Romeo Ciminello
Pontificia
Università Gregoriana - Roma
di Paola
Di Giulio
Professore, è da
circa tre anni che siamo “dentro” la crisi…
Date le dinamiche degli scenari, le
domande non sono né tante né facili da formulare e soprattutto non facili da
decifrare. Dividendo il mondo dal punto
di vista geopolitico ci si accorge subito che seppure la globalizzazione ha accorciato le distanze
in termini di omologazione socio-economica, la realtà politica resta molto
distante. La differenza esistente tra la realtà dei Paesi avanzati (G7), Paesi UE e quella dei Paesi emergenti (BRICS) è ancora molta. E quella tra questi
tre gruppi ed i Paesi in via di sviluppo è ancora più profonda. Ma il mondo si sviluppa
non in base alle ricchezze economiche ma in base alla maturità politica
espressa in termini di vera democrazia: è ricco non già
chi possiede le materie prime, ma chi ha il miglior sistema di gestione,
politica, economica e finanziaria. La politica quindi deve far da base ai due
grandi altri settori della realtà umana, vale a dire il diritto e l’economia.
E’ un trittico instabile: per renderlo
stabile dobbiamo fare appello all’etica,
che, purtroppo non è pienamente compresa nella sua duplice accezione,
etica pura ed etica applicata. La prima risponde ad una domanda di verità, la
seconda risponde ad una domanda di responsabilità.
Globalizzazione e crisi…
Sotto gli occhi di tutti appare
evidente che esistono delle situazioni che coinvolgono tutti gli Stati e non
solo a causa della Globalizzazione, ma soprattutto a causa della crisi. Nel
contesto ritengo importanti due profili: il profilo finanziario, sempre più
internazionalizzato, ed il profilo etico, sempre più negletto. Finanziariamente
le fasi determinanti sono tre. Negli anni ‘70 si assistette alla grande
esplosione dell’inflazione. Il sistema monetario internazionale creato a
Bretton Woods nel 1944 di fatto è saltato nel 1971, quando gli Usa hanno rotto
la parità fissa con l’oro a 35 dollari l’oncia, ma in realtà il sistema ha
continuato a funzionare perchè la moneta internazionale è rimasta, di fatto, il
dollaro. Inoltre gli shock petroliferi del ‘73 e del ‘79 provocarono un livello
di instabilità monetaria mai sperimentato dopo la seconda guerra mondiale. La
quadruplicazione dei prezzi del petrolio ebbe ripercussioni su tutti i non
produttori e soprattutto su quelli più industrializzati. Molti Paesi, tra cui
l’Italia, furono costretti a indebitarsi per pagare la “bolletta petrolifera”. Negli anni ‘80 altri due elementi
influenzarono la finanza: l’altalena del
prezzo del petrolio, dal record al tracollo; l’ingresso tra i Paesi con debito
degli Stati Uniti. L’elemento finale arrivò alla fine del 1999, con la riforma
della legge bancaria Glass-Steagall e l’abolizione della cosiddetta regulation
Q, che dal 1933 permetteva alla Federal Reserve di effettuare un controllo sui
tassi di interesse applicati ai depositi. In accordo con alcuni economisti sono
convinto che tale abrogazione abbia contribuito in maniera sostanziale alla
crisi determinatasi nel 2007 e poi esplosa il 15 settembre del 2008 con il
fallimento di Lehman-Brothers e tutt’ora in atto con la crisi degli stati
Europei cosiddetti PIIGS (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna). E’
stato questo che ha permesso alle banche di investimento di Wall Street, tra le
quali Goldman Sachs, JP Morgan, ed altre
di “giocare in borsa” con i soldi dei depositanti.
Le colpe: Usa, oro e petrolio
Gli Stati Uniti possono essere indicati
come i veri promotori della crisi. Operano una politica espansionistica, a
prescindere dal colore dei governi; hanno imposto la loro deregulation a tutto
il mondo; la Federal
Reserve (banca centrale degli Stati Uniti d’America) adotta
una politica monetaria di rafforzamento e indebolimento del dollaro; sfruttano
la congiuntura economica attraverso la leva finanziaria; esasperano il profitto
ad ogni costo nel nome delle conseguenze del liberismo estremo del “sogno
americano”. Gli Usa agiscono da padroni
della congiuntura perché hanno la proprietà della moneta cardine del sistema
monetario internazionale. Infatti, affinché ci possa essere liquidità a livello
internazionale, la
Federal Reserve deve continuare ad erogare moneta che essendo
detenuta da stranieri rappresenta un credito a vista da parte di questi ultimi
nei confronti del Governo statunitense. Ma non c’è solo il Dollaro: in questo
quadro, come seconda ragione d’importanza fondamentale possiamo indicare
l’oro. Ed infine il petrolio. Anche
questo detenuto in maniera molto concentrata da alcuni Paesi come Iraq, Arabia
Saudita Paesi dell’Opec e paesi dell’ex Unione Sovietica, Gran Bretagna e Paesi
scandinavi, raggiunge quotazioni record, ogni qualvolta per qualsiasi futile
motivo, la sua produzione diminuisce oppure deve riallinearsi sull’andamento
del cambio del Dollaro statunitense, moneta sulla quale se ne basa il prezzo.
Qual è stato il ruolo degli Stati?
Possiamo dividere il mondo in Stati che
hanno attuato strategie e Stati che le hanno subite. Da un lato troviamo che le
strategie sono state promosse soprattutto da Stati uniti ed Europa, gli altri
si sono limitati, vuoi per incapacità progettuale, vuoi per mancanza di risorse
in grado di gestire i cambiamenti, a fare la parte degli spettatori. Gli Stati dell’Unione Monetaria Europea hanno avuto un ruolo che potremmo dire
dicotomico, di collaboratori alla crisi. Infatti, se da un lato hanno operato
strategie di unione, dall’altra hanno invece promosso politiche individualistiche
e di egemonia politica. Basta guardare agli obiettivi perseguiti attraverso
l’accordo monetario SME, in cui la Germania ha sempre toccato la soglia di
divergenza al punto più alto; alla Gran Bretagna che non ha mai voluto integrarsi nella politica comune perseguendo
politiche di isolamento non solo monetario; alla Norvegia che ha preferito
restare fuori dall’Unione monetaria; all’errore dell’allargamento comunitario a
tanti paesi non in grado di farne parte in primis la Grecia…
E …l’Euro?
Un elemento importante nella crisi
dell’UE è stato quello di aver creato una moneta unica, senza affiancarle gli
strumenti di governo; di aver invocato la stabilità senza sostenere in termini
politici l’integrazione, facendo sì che ciascun Paese in difficoltà risolvesse
da solo i propri problemi, non ultimo le immigrazioni in Italia o i moti delle
“banlieue” parigine oppure dei “riots” di Londra. Non solo. Grava sull’Europa il fatto di non
avere un governo effettivo, di agire tramite una pletora di istituzioni che non
hanno autonomia decisionale in funzione di una politica comune. Quello che non si può accettare è la mancata
ratifica di uno strumento costitutivo come la carta costituzionale: la Costituzione europea (ufficialmente Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa) è stato
un progetto di revisione dei trattati fondativi dell’UE, redatto nel 2003 dalla
Convenzione Europea e definitivamente abbandonato nel 2009 a seguito dello stop
alle ratifiche imposto dai no ai referendum tenutisi in Francia e nei Paesi
Bassi. Un altro elemento che rimanda
alla crisi è il fatto l’Unione Europea
non tiene conto, nelle decisioni importanti, della differenza tra gli Stati:
non si fa differenza tra uno Stato come il Lussemburgo di appena 475 mila
abitanti ed uno Stato come la Germania che ne ha 83 milioni, così come non si
fa differenza tra l’impatto di un debito pubblico della Grecia che non
raggiunge i 12 milioni di abitanti e l’Italia che ne ha più di 60.
Quale è
stato il ruolo di Germania e Francia?
La Germania sta tentando di fare ciò
che non le è riuscito con le due guerre mondiali, ovvero conquistare l’Europa imponendo la sua forza
economica, mentre la Francia tenta di
ostacolare questo disegno. La Germania,
non potendo agire direttamente nei
confronti della Francia, ha preferito imboccare la strada più lunga e passare tramite Grecia, Spagna e Italia. Anche Milano Finanza dell’8
ottobre scorso rileva con Marcello Bussi
che, come scritto dall’autorevole Der Spiegel,
il caos greco è originato da Berlino. Infatti le spese pazze dei greci
vennero abbondantemente incoraggiate dalle banche tedesche che acquistarono
bond ellenici, favorendo la bolla speculativa di Atene. Con la complicità delle agenzie di Rating, si
è tentato inoltre di svilire in ogni modo la tenuta economica e la credibilità
della Grecia dato che le banche Francesi possedevano quasi il 50% dei titoli di stato. Depauperando la
forza finanziaria delle banche francesi, costrette a dover ricapitalizzare, la
Francia avrebbe perso il prestigio delle tre A e la Germania sarebbe rimasta l’unica
dei “grandi” dell’Unione, ad avere questa caratteristica quindi a dettare legge
in Europa.
E gli altri Stati?
Non hanno mai inciso più di tanto sulle
politiche degli Stati avanzati, intenti com’erano a sostenere i tassi di
sviluppo. Il basso costo della mano d’opera cinese e indiana ha comportato
un’ondata di delocalizzazioni di attività economiche dai Paesi avanzati, con la
conseguente diminuzione dell’occupazione e della crescita, quindi una maggior
vulnerabilità economico-finanziaria.
Professore qual è stato il ruolo delle Banche?
Le banche statunitensi ed europee hanno
ristretto l’attività creditizia per sostenere l’attività finanziaria
traballante. Invece di sostenere le attività economiche delle imprese e dei
privati, hanno preferito effettuare investimenti finanziari sia borsistici sia
di altra natura, mirando al profitto. Essendo il sistema capitalistico un
sistema banco-centrico, dopo il fallimento di Lehman Brothers (2008) la parola
d’ordine è stata “salviamo le banche”. La crisi può essere ricondotta
approssimativamente alla seconda metà del 2006, quando - sgonfiandosi la bolla
immobiliare Usa - molti possessori di mutui subprime (concessi ad un soggetto
che non può accedere ai tassi di interesse di mercato) divennero insolventi a
causa del rialzo contrattuale dei tassi di interesse. Le banche iniziarono ad operare attraverso
le cosiddette attività off-balance
(fuori bilancio), che hanno dato vita a molti degli strumenti finanziari di
maggior successo. Grazie ad internet
infatti vennero create nuove società di reperimento, immagazzinamento,
elaborazione e trasmissione di dati e notizie
che consentirono di aumentare il livello di competizione sull’offerta di prodotti finanziari attraverso
l’interazione di 5 elementi
fondamentali: le valute, i tassi di interesse, gli strumenti finanziari, i
soggetti economici ed i mercati. Un gioco fin troppo facile…
L’Italia
ce la farà ha affermato il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.
Mentre il neo Presidente del Consiglio, Mario Monti ha già presentato il Suo
decreto “Salva Italia”…
Il “Salva Italia” introduce misure che
non avranno effetti sulla crescita nel breve periodo. Chi si oppone al decreto
maschera in realtà la paura che le misure introdotte possano ledere gli
interessi di qualcuno. Certamente dei benefici verranno dagli investitori
(esteri?) che acquisteranno titoli pubblici italiani sia per immediata
convenienza finanziaria, sia guidati dalle aspettative sull’Italia alla
scadenza dei titoli.
Prosegue poi con l’equità. “I sacrifici
necessari per ridurre il debito e per far ripartire la crescita dovranno essere
equi. Equità significa chiedersi quale sia l’effetto delle riforme non solo
sulle componenti relativamente forti della società, quelle che hanno la forza
di associarsi, ma anche sui giovani e sulle donne”. Tutte speranze? Vere o
credibili? Questo discorso ci deve far riflettere su perlomeno tre punti
importanti: il primo è che Mario Monti è una delle pochissime personalità
italiane (Draghi, il fu Padoa Schioppa, Prodi, Bernabé, Scaroni) che avrebbero
potuto ridare una credibilità ad un governo italiano “dopo-Berlusconi”; il
secondo è che le misure non solo non hanno equità, ma neanche tengono conto
della realtà italiana (la “rottamazione dei cinquantenni”, per i quali la pensione
a 66 anni è una misura “nonsense”); il terzo è che in Italia la casa in affitto
non si trova e quindi va acquistata e difesa.
Se da un lato qualcuno scuserebbe questo Governo per il
poco tempo disponibile avuto per decidere, dall’altro mostra pressappochismo e
superficialità nel considerare la realtà italiana. Essendo professori, i suoi
tecnici dovrebbero sapere come intervenire e non lavorare esclusivamente in
favore delle lobby che li sostengono! La manovra infatti poteva benissimo
essere fatta imponendo un “risparmio forzoso” modulato in base a redditi e
patrimoni, esattamente come fecero Andreotti nel 1977 e Prodi con la “tassa per
l’Europa”! Il Governo Monti avrebbe
potuto prendere spunto dai redditi degli italiani, dalle imposte che pagano, dai
loro patrimoni, dalle consistenze della Cassa Depositi e Prestiti e dalle
consistenze bancarie per operare un prestito forzoso modulato nel tempo in
termini di restituzione, magari con titoli zero-cupon a 5, 10, 15 e 20 anni e
poi, una volta raggiunta la diminuzione percentuale obiettivo del debito
pubblico, imporre all’Europa di accollarsi le strategie di crescita, nel
rispetto dei diritti e non con il loro abbattimento per mettere delle toppe
congiunturali, che oltre a deprimere la crescita, a non incidere sulla
speculazione, a non sconfiggere l’evasione fiscale, contribuiranno alla
necessità di una nuova manovra che deprimendo ancor più la nostra economia, ci
porterà ineludibilmente nelle mani della Germania che resterà unica padrona del
contesto politico-economico con la sua tripla A, dopo che la Francia l’avrà
persa nell’aprile prossimo, e che detterà le sue regole a tutti fino a che una
ribellione comune non porterà purtroppo, nonostante tutti gli scongiuri, molto
verosimilmente ad un nuovo conflitto.
intervista uscita su Cronache e Opinioni n. 1/2-2012
intervista uscita su Cronache e Opinioni n. 1/2-2012
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