Popolazioni intere, sia nei paesi sviluppati, come in quelli in via di
sviluppo sono privi dei beni necessari per la loro vita materiale e per il loro
sviluppo spirituale a causa della ineguale distribuzione della ricchezza. Le statistiche parlano di
tre miliardi di esseri umani che vivono con due dollari al giorno e di un
milione con meno di un dollaro; esse anche parlano del fatto che più della metà dell’umanità
non dispone che di una parte infima delle risorse della terra. La povertà non
risparmia neanche le popolazioni dell’Europa e dell’America del nord, come possiamo testimoniare. Queste
cifre indicano degli ordini di grandezza che, a loro volta ,
indicano che qualcosa non va nell’organizzazione mondiale. Giovanni XXIII ha
fatto, del resto, di questo squilibrio il tema della sua enciclica Mater et
Magistra (1961); da parte sua, Giovanni Paolo II, per dimostrare che i beni
della terra devono essere a disposizione di tutti, ha affermato che essi sono
gravati da una “ipoteca sociale” (Sollicitudo Rei Socialis,42), precisando così
una dottrina formulata ancora una volta dal Concilio Vaticano II nella Gaudium
et Spes: “ Dio ha destinato la terra e tutto quello che essa contiene, all’uso
di tutti gli uomini e popoli”, (GS,69.1).
È
dunque necessario riflettere e domandarci quale può essere la responsabilità di
un cristiano nella società attuale, particolarmente tormentata. In effetti è da
molti anni che assistiamo a delle crisi a ripetizione, nelle quali vediamo
persino banche di Stato dichiararsi prossime al fallimento, minacciando così la
possibilità di esistenza dei più poveri …
L’epicentro
dell’attuale tsunami finanziario si trova in Grecia. Non facciamo di questo
paese il capro espiatorio. La politica finanziaria di questo paese ha senza
dubbio la sua parte di responsabilità nella crisi finanziaria attuale, ma
questa non ha fatto che aggravare una situazione viziosa in se stessa; essa ha,
fra le altre cause, come origine, i due dogmi che falsano l’equità nelle
relazioni economiche mondiali, e cioè il liberalismo ad oltranza e la viabilità
di un sistema economico nel quale si permette una illimitata creazione di
moneta.
Un
accordo fra le grandi Potenze economiche, chiamato “Consenso di Washington”
(1989), ha voluto fare della libertà del commercio, dei beni e dei servizi la
regola delle relazioni fra Stati; essa sottomette il mondo alla legge del
profitto e ha una grande parte di responsabilità nell’estensione della povertà
e della disoccupazione. Assistiamo, fra l’altro, alla fusione di imprese, alle
delocalizzazioni, all’importazione massiccia di beni prodotti da popolazioni
ridotte a condizioni di lavoro indegne dell’uomo o da bambini. Questo tipo di
sviluppo ha ugualmente per conseguenza quella di privare del loro lavoro i produttori tradizionali;
l’esempio dei coltivatori di cotone è qui significativo; la loro produzione
trova difficoltà ad essere venduta sul mercato mondiale in concorrenza con
quella delle grandi aziende moderne che producono maggiori quantità a minor
costo. Allora il piccolo produttore di cotone, privo di mezzi di sostentamento,
si sposta verso la città e va ad ingrossare il flusso dei candidati alla
migrazione.
Il
disordine iniziale provocato dalla mancanza di regole è esso stesso mantenuto
dal lassismo con il quale gli Stati gestiscono le loro finanze. Il buon senso
ci dice che nessuno può indebitarsi al di là di una certa percentuale delle
proprie disponibilità. Questa regola vale sia per i singoli individui che per
gli Stati. Ora, esiste uno Stato al quale il suo peso economico permette di
indebitarsi senza preoccuparsi di mantenere una percentuale ragionevole nelle
sue riserve. I prestiti che contrae con altri Stati o con delle banche vengono
allora reinvestiti per trarne profitto e così la creazione di moneta si rinnova
incessantemente e prepara dei vicoli ciechi, che chiamiamo crisi.
I
meccanismi sopra descritti, in modo estremamente semplificato, ci permettono di
capire che ognuno di noi è, nello stesso tempo, attore e vittima nella crisi
presente. Lo sviluppo dei servizi pubblici, l’uso quotidiano del giornale,
della radio, della televisione o dei portatili e dei trasporti aerei, ma anche
di un gran numero di prodotti di uso corrente, (come le lampadine elettriche,
per esempio), nei quali entrano ciò che chiamiamo “materiali rari”, prodotti
soltanto in alcuni paesi…, altrettanti esempi mostrano che lo sviluppo delle
relazioni economiche internazionali costituiscono un bene e che nessuno
vorrebbe tornare indietro; ma questo sviluppo deve essere ordinato tecnicamente
e spiritualmente. Tecnicamente, un freno deve essere posto alla
liberalizzazione sistematica del commercio e della finanza internazionale che
favoriscono i forti e schiacciano i deboli; uomini di Stato ed economisti
propongono delle misure, come la tassa sulle transazioni puramente finanziarie,
per renderle meno attraenti, oppure come la costituzione di zone di scambi
omogenei, (Allais, premio Nobel per l’Economia); ma bisogna dirci che tutte
queste misure tecniche avranno un autentico effetto se ognuno di noi si
convince che la regola dei rapporti economici fra individui e nazioni non deve continuare a consistere nella ricerca del massimo profitto, ma nel
soddisfacimento del diritto di ogni essere umano a vivere nella dignità e nella possibilità di “essere
di più”, crescendo in umanità. La pace dipende dal perseguimento di questo tipo
di sviluppo; come già ci diceva Paolo VI nel 1967 con l’enciclica Populorum
Progressio : lo sviluppo è il nuovo nome della pace.
Questa
convinzione deve tradursi in pratica, non solo da parte di coloro che hanno
responsabilità sindacali o politiche, ma anche da parte di tutti, nella vita
quotidiana, familiare o professionale. L’esercizio della responsabilità o della
autorità hanno per scopo il progresso materiale e lo sviluppo spirituale di
coloro che ci circondano e che richiedono, da parte di ognuno, un atteggiamento
di responsabilità sociale. Soltanto quando i cristiani e gli uomini e le donne
di buona volontà, avranno ricomposto nel mondo il tessuto sociale, gli uomini
politici avranno il sostegno necessario per compiere quelle riforme che vanno a
beneficio di tutti.
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