etica

"... Non vogliate negar l'esperienza di retro al sol, del mondo sanza gente. Considerate la vostra semenza fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza". (Dante, Inferno canto XXVI, 116-120).


martedì 2 ottobre 2012

DESTINAZIONE UNIVERSALE DEI BENI. Il cristiano di fronte alla crisi mondiale


Popolazioni intere, sia nei paesi sviluppati, come in quelli in via di sviluppo sono privi dei beni necessari per la loro vita materiale e per il loro sviluppo spirituale a causa della ineguale distribuzione della ricchezza. Le statistiche parlano di tre miliardi di esseri umani che vivono con due dollari al giorno e di un milione con meno di un dollaro; esse anche parlano del fatto che più della metà dell’umanità non dispone che di una parte infima delle risorse della terra. La povertà non risparmia neanche le popolazioni dell’Europa e dell’America del nord, come possiamo testimoniare. Queste cifre indicano degli ordini di grandezza che, a loro volta, indicano che qualcosa non va nell’organizzazione mondiale. Giovanni XXIII ha fatto, del resto, di questo squilibrio il tema della sua enciclica Mater et Magistra (1961); da parte sua, Giovanni Paolo II, per dimostrare che i beni della terra devono essere a disposizione di tutti, ha affermato che essi sono gravati da una “ipoteca sociale” (Sollicitudo Rei Socialis,42), precisando così una dottrina formulata ancora una volta dal Concilio Vaticano II nella Gaudium et Spes: “ Dio ha destinato la terra e tutto quello che essa contiene, all’uso di tutti gli uomini e popoli”, (GS,69.1).
È dunque necessario riflettere e domandarci quale può essere la responsabilità di un cristiano nella società attuale, particolarmente tormentata. In effetti è da molti anni che assistiamo a delle crisi a ripetizione, nelle quali vediamo persino banche di Stato dichiararsi prossime al fallimento, minacciando così la possibilità di esistenza dei più poveri …
L’epicentro dell’attuale tsunami finanziario si trova in Grecia. Non facciamo di questo paese il capro espiatorio. La politica finanziaria di questo paese ha senza dubbio la sua parte di responsabilità nella crisi finanziaria attuale, ma questa non ha fatto che aggravare una situazione viziosa in se stessa; essa ha, fra le altre cause, come origine, i due dogmi che falsano l’equità nelle relazioni economiche mondiali, e cioè il liberalismo ad oltranza e la viabilità di un sistema economico nel quale si permette una illimitata creazione di moneta.
Un accordo fra le grandi Potenze economiche, chiamato “Consenso di Washington” (1989), ha voluto fare della libertà del commercio, dei beni e dei servizi la regola delle relazioni fra Stati; essa sottomette il mondo alla legge del profitto e ha una grande parte di responsabilità nell’estensione della povertà e della disoccupazione. Assistiamo, fra l’altro, alla fusione di imprese, alle delocalizzazioni, all’importazione massiccia di beni prodotti da popolazioni ridotte a condizioni di lavoro indegne dell’uomo o da bambini. Questo tipo di sviluppo ha ugualmente per conseguenza quella di privare del loro lavoro i produttori tradizionali; l’esempio dei coltivatori di cotone è qui significativo; la loro produzione trova difficoltà ad essere venduta sul mercato mondiale in concorrenza con quella delle grandi aziende moderne che producono maggiori quantità a minor costo. Allora il piccolo produttore di cotone, privo di mezzi di sostentamento, si sposta verso la città e va ad ingrossare il flusso dei candidati alla migrazione.
Il disordine iniziale provocato dalla mancanza di regole è esso stesso mantenuto dal lassismo con il quale gli Stati gestiscono le loro finanze. Il buon senso ci dice che nessuno può indebitarsi al di là di una certa percentuale delle proprie disponibilità. Questa regola vale sia per i singoli individui che per gli Stati. Ora, esiste uno Stato al quale il suo peso economico permette di indebitarsi senza preoccuparsi di mantenere una percentuale ragionevole nelle sue riserve. I prestiti che contrae con altri Stati o con delle banche vengono allora reinvestiti per trarne profitto e così la creazione di moneta si rinnova incessantemente e prepara dei vicoli ciechi, che chiamiamo crisi.
I meccanismi sopra descritti, in modo estremamente semplificato, ci permettono di capire che ognuno di noi è, nello stesso tempo, attore e vittima nella crisi presente. Lo sviluppo dei servizi pubblici, l’uso quotidiano del giornale, della radio, della televisione o dei portatili e dei trasporti aerei, ma anche di un gran numero di prodotti di uso corrente, (come le lampadine elettriche, per esempio), nei quali entrano ciò che chiamiamo “materiali rari”, prodotti soltanto in alcuni paesi…, altrettanti esempi mostrano che lo sviluppo delle relazioni economiche internazionali costituiscono un bene e che nessuno vorrebbe tornare indietro; ma questo sviluppo deve essere ordinato tecnicamente e spiritualmente. Tecnicamente, un freno deve essere posto alla liberalizzazione sistematica del commercio e della finanza internazionale che favoriscono i forti e schiacciano i deboli; uomini di Stato ed economisti propongono delle misure, come la tassa sulle transazioni puramente finanziarie, per renderle meno attraenti, oppure come la costituzione di zone di scambi omogenei, (Allais, premio Nobel per l’Economia); ma bisogna dirci che tutte queste misure tecniche avranno un autentico effetto se ognuno di noi si convince che la regola dei rapporti economici fra individui e  nazioni non deve continuare a consistere  nella ricerca del massimo profitto, ma nel soddisfacimento del diritto di ogni essere umano a vivere  nella dignità e nella possibilità di “essere di più”, crescendo in umanità. La pace dipende dal perseguimento di questo tipo di sviluppo; come già ci diceva Paolo VI nel 1967 con l’enciclica Populorum Progressio : lo sviluppo è il nuovo nome della pace.
Questa convinzione deve tradursi in pratica, non solo da parte di coloro che hanno responsabilità sindacali o politiche, ma anche da parte di tutti, nella vita quotidiana, familiare o professionale. L’esercizio della responsabilità o della autorità hanno per scopo il progresso materiale e lo sviluppo spirituale di coloro che ci circondano e che richiedono, da parte di ognuno, un atteggiamento di responsabilità sociale. Soltanto quando i cristiani e gli uomini e le donne di buona volontà, avranno ricomposto nel mondo il tessuto sociale, gli uomini politici avranno il sostegno necessario per compiere quelle riforme che vanno a beneficio di tutti.

Padre Joseph Joblin, sj  – (Cronache e Opinioni n. 12 pag. 39 - Dicembre 2011)

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