Si parla molto, oggi, nell’attuale periodo di grave crisi, di “sussidiarietà”, nei diversi ambienti, economico, politico, sociale e culturale, quasi fosse una “parola magica”, in qualche modo risolutiva. E ciò non sempre a proposito.
È sembrato, quindi, importante “fare chiarezza” approfondendo, sul piano della dottrina, tale “principio di sussidiarietà”, “uno dei pilastri dell’insegnamento della Chiesa in materia sociale” (Joblin), considerato che, nella prassi, la nostra Associazione frequentemente lo pratica, in modo particolarmente evidente attraverso i suoi numerosi servizi.
Alba Dini Martino
La Chiesa ha sempre insegnato che “non è giusto… che il cittadino e la famiglia siano assorbiti dallo Stato” (Rerum novarum,28). È stato Pio XI a trarre da questa affermazione una regola generale, chiamata “principio di sussidiarietà”, che vale per i rapporti fra le organizzazioni sociali e gli individui; regola che troviamo formulata nella Quadragesimo anno: “… siccome non è lecito togliere agli individui ciò che essi possono compiere con le forze e l’industria propria per affidarlo alla comunità, così è ingiusto rimettere ad una maggiore e più alta società quello che dalle minori e inferiori comunità si può fare. Ed è questo insieme un grave danno e uno sconvolgimento del retto ordine della società…”, (QA,80). Questa dottrina è stata riaffermata numerose volte e costituisce uno dei pilastri dell’insegnamento della Chiesa in materia sociale, (Pio XII, All. Ai nuovi cardinali, 20 febbraio 1946; Giovanni XXIII, Pacem in terris,141, Concilio Vaticano II, Gaudium et Spes,75, Giovanni Paolo II, Centesimus annus,45), e ha dato luogo alla nozione di “partecipazione organica” degli attori sociali nelle decisioni che li riguardano (Paolo VI, All. Alla Conferenza internazionale del Lavoro, 10 giugno 1959).
L’insegnamento della Chiesa sulla sussidiarietà è legato alla sua antropologia e alla maniera secondo cui essa considera la presenza dell’essere umano nella società; permette di comprendere le ragioni della sua opposizione radicale ad ogni forma di totalitarismo: di fronte ad uno Stato o ad una autorità sovranazionale che dichiarasse di essere in grado di discernere al meglio quale sia il bene comune di una società e quindi di pretendere di decidere da sola la misura secondo cui riconoscere, o meno, a ciascuno i suoi diritti personali, la Chiesa afferma che esistono per ogni individuo dei diritti assoluti, che non possono essere negati in alcuna circostanza, neanche per ciò che “potrebbe apparire essere apparentemente un bene” (Pio XII). Questa posizione è talvolta giudicata troppo rigorosa e le viene rimproverato di non tenere in conto l’esistenza di circostanze eccezionali che dovrebbero permettere di ammorbidirla. Ma, in realtà, essa non ha niente di strano; si ritrova nei documenti delle Nazioni Unite che si collegano ai diritti dell’uomo. Il Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966, per esempio, all’Art. 4, dichiara che “in caso di pericolo pubblico eccezionale, che minacci l’esistenza della nazione” “nessuna deroga” può essere autorizzata al riconoscimento di alcuni diritti, in particolare per ciò che concerne quelli che si riferiscono al diritto alla vita o alla libertà di pensiero, di parola o di religione. Il senso comune percepisce dunque che ogni essere umano ha un valore superiore a quello della società e che è titolare di diritti che assicurano il rispetto della sua dignità; mentre, tuttavia, le Dichiarazioni delle Nazioni Unite lasciano a un consenso, spesso instabile, la cura di fissare, in un momento dato, quale contenuto ad essi assegnare, il cristianesimo richiama all’”ordine assoluto dei valori” che per nessuna ragione può essere violato, (Pio XII, All. Al Patriziato romano, 8 gennaio 1947). Questo insegnamento della Chiesa trae la sua forza dalla rivelazione contenuta nell’Antico e nel Nuovo Testamento che ci chiede di credere in Dio creatore e in Gesù Cristo venuto ad instaurare la “civiltà dell’amore”.
La messa in opera del principio di sussidiarietà fa appello alla volontà dei partners sociali di risolvere le tensioni sociali nella verità e nella giustizia. Ogni forma di vita sociale e politica deve avere come scopo quello di assicurare una pace durevole, sia in seno alle famiglie che alle comunità più ampie, che si tratti dello Stato o della società mondiale. Se i governanti hanno il dovere di prendere quelle misure che assicurano “il progresso materiale e lo sviluppo spirituale” di coloro dei quali sono responsabili e di vegliare affinché gli operatori economici non privino i più deboli dei mezzi richiesti per “crescere in umanità” (Populorum progressio), il loro diritto di intervento è limitato per evitare che, con il pretesto di assicurare il bene di tutti, assegnino una tale priorità allo sviluppo economico da arrivare a restringere la vita intellettuale o religiosa degli individui e delle comunità, fino al punto di privarli della possibilità di partecipare alla definizione delle politiche di sviluppo.
Così, il principio di sussidiarietà chiarisce come comportarsi in mezzo alle trasformazioni che oggi le nostre società conoscono; queste chiedono, nello stesso tempo, più Stato per il fatto che il mondo è diventato un villaggio (Peccei), ma anche, più iniziativa responsabile da parte degli individui, perché il più gran numero possibile di essi sia associato alla nascita di un mondo nuovo. Da ciò, i due concetti che completano l’insegnamento sociale della Chiesa in questo contesto, quelli di persona e di solidarietà..
Padre Joseph Joblin, sj - (Cronache e Opinioni n. 12 pag. 47 dicembre 2010)
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