Il capillare e profondo
inserimento della nostra Associazione nel tessuto sociale di base e il suo
riconosciuto contributo alla costruzione dello Stato democratico, dall’ottobre
del 1944 in
avanti, ci inducono a riflettere non solo sul suo glorioso passato, ma anche
sul suo presente e, ancor più, sul suo futuro. E,
quindi, prendendo spunto dal ricco e prezioso testo qui di seguito riportato, è
da osservare che è la storia stessa a
chiedere, con crescente e pressante urgenza, di riflettere su quali “nuove
responsabilità” incombano sull’Associazione, considerato che l’attuale nuova
situazione di crisi diffusa, in una società globale multiculturale, multietnica
e multi religiosa, crisi generata dai sempre più accelerati processi della
globalizzazione richiede, da parte sua, “un nuovo atteggiamento”. È sempre più
urgente quindi intensificare la nostra riflessione per discernere su quel che
possa ciò significare: si tratta, soprattutto, di valutare di “cosa” disfarci
come di un peso, di “cosa” valorizzare e
potenziare e quali nuove vie, nella continuità, intraprendere.
È certo che la “storia non si arresta … è
necessario tener conto dell’imprescindibile realtà, la realtà in tutta la sua
estensione”, in un momento di grave crisi in Europa e nel mondo, sul piano
strutturale e dei valori e, per quel che riguarda, in particolare il nostro
Paese, anche di annunciate, non trascurabili riforme, soprattutto
costituzionali.
E, allora, quali “anticipazioni” vuole dare/è
in grado di dare la nostra Associazione di donne cristiane, nell’espressione
della sua missionarietà nel sociale?
In breve, quale può essere la sua capacità
di “profezia”, sia al suo interno, da parte delle singole associate, che al suo
esterno, in quanto soggetto collettivo, di chiara identità e testimonianza
cristiana, in un mondo sempre più complesso, profondamente ed estesamente in
cambiamento?
ad
Il discorso sociale della Chiesa applica la Parola di Dio alla vita
degli uomini e della società, come anche alle realtà terrene che ad esse si
connettono, offrendo “principi di riflessione”, “criteri di giudizio” e
“direttrici di azione” (enciclica Sollicitudo Rei Socialis di Giovanni Paolo
II, 1987 par.8); il Papa conclude tale osservazione, aggiungendo che “esso (il
discorso sociale) è ordinato alla condotta morale“ delle persone e delle
società. Questa definizione è molto chiara: essa mostra che la dottrina sociale
della Chiesa non si riduce a un insieme di prese di posizione, quali possono
essere definite dagli attori sociali: questi individuano “le scelte e gli
impegni che conviene prendere per operare le trasformazioni sociali, politiche
ed economiche che si palesano urgenti e necessarie”, (Paolo VI, Octogesima
Adveniens, 1971 par.4), in funzione di principi fondamentali sui quali fondare
le proprie decisioni. In altri termini, essi inscrivono il Vangelo nel contesto
socio-culturale del momento. E’ su tale livello che è possibile discernere il
carattere profetico della dottrina sociale della Chiesa.
Conviene qui rifarsi all’allocuzione che
Pio XII rivolse al Patriziato romano, il 14 gennaio 1945. Suo scopo era quello
di convincere una classe sociale, tradizionale e ridotta di numero, che nuove
responsabilità incombevano su di essa, nel contesto della ricostruzione del
dopo-guerra. Si trattava di far scoprire a un gruppo sociale, abituato a dare
preminenza alla tradizione, che la situazione nuova richiedeva, da parte sua,
un nuovo atteggiamento; non si sarebbe infatti più trovato in una società
stabile e gerarchizzata, ma democratica e in costante cambiamento: “La storia
non si arresta” disse loro; “sarebbe un’impresa vana e sterile fare marcia
indietro … e voler ricondurre il mondo a un punto di partenza, (anche se alcuni
lo giudicano) malauguratamente abbandonato” e concludeva “è necessario tener
conto dell’imprescindibile realtà, la realtà in tutta la sua estensione”.
È in tale prospettiva che comincia a
manifestarsi il carattere profetico della dottrina sociale della Chiesa. Le
situazioni in cui tutto sembra possibile, poiché le popolazioni hanno
l’impressione che un mondo nuovo cominci, si riproducono periodicamente nella
storia: così è stato al momento della Rivoluzione americana nel XVIII secolo,
in cui un autore americano, Payne, pensava che tutto fosse divenuto possibile,
come al tempo di Noé dopo il diluvio, poiché il passato era abolito;
altrettanto è accaduto negli anni ’50, in cui si credeva possibile
l’instaurazione di una pace perpetua, fondata sulla Dichiarazione dei diritti
dell’uomo. Il cristiano non rifiuta questa aspirazione, ma non fa affidamento
sui soli sentimenti per condurla a termine; non si lascia portare dal politically
correct del momento: la interpreta alla
luce di Cristo; vede nell’immensa crescita umana alla quale assiste un motivo
di speranza; ma egli sa che tutto non è possibile e che devono essere compiute
delle scelte, nel rispetto delle leggi costitutive che il Creatore ha dato al
mondo. Il suo scopo non è quello di realizzare di colpo, con un programma
ritenuto efficace, la città ideale sulla quale può sognare, ma, tenendo conto
degli arresti della realtà e dell’impossibilità
di negarli, cerca in qual modo anticipare la venuta di Cristo nella realtà
presente.
L’atteggiamento sociale del cristiano
profetizza la sua fede nel mondo a venire. Per lui, il Cristo è la chiave che
permette di comprendere il senso della storia nella quale è impegnato. Affermazione
che ha un doppio significato per il cristiano, poiché riguarda:
Il suo atteggiamento verso il mondo. La
diversità del mondo e lo scontro fra civiltà non spaventano il cristiano perché
per lui la situazione presente, per quanto caotica possa apparire, non è
peggiore di molte altre che l’hanno preceduta
nel corso della lunga storia della umanità; riconosce attraverso tali
crisi una crescita generalizzata verso “un di più” in universalità, in
solidarietà e in esigenza di rispetto della persona umana. Già Paolo VI
dichiarava nel suo messaggio per la giornata della pace nel 1972: “Ogni uomo
oggi sa di essere persona e persona si sente. Cioè di essere inviolabile,
essere agli altri eguale, essere libero e responsabile. Diciamo pure: di essere
sacro”.
Il suo atteggiamento personale. Il
cristiano sa che ogni essere umano ha vocazione a lavorare, là dove si trova,
al divenire dell’umanità. Il suo comportamento e le sue scelte nella vita
quotidiana “anticipano” nel presente la fede che egli ha nella riconciliazione
dell’umanità nel Cristo. Egli è, al suo livello, profeta del mondo a venire. E’ guidato per questa missione dall’insegnamento
della Chiesa in materia sociale, nel quale trova “un corpus dottrinale, che si
articola man mano che la Chiesa ,
nella pienezza della Parola rivelata da Cristo Gesù e con l’assistenza dello
Spirito Santo, va leggendo gli avvenimenti mentre si svolgono nel corso della
storia” (Sollicitudo Rei Socialis,1).
Pdre Joseph Joblin, sj - (Cronache e Opinioni n.6 giugno 2010)
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