etica

"... Non vogliate negar l'esperienza di retro al sol, del mondo sanza gente. Considerate la vostra semenza fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza". (Dante, Inferno canto XXVI, 116-120).


A PROPOSITO DEI DIRITTI DELL’UOMO: DIRITTI A, DIRITTI DI... (JOBLIN) .

A PROPOSITO DEI DIRITTI DELL’UOMO: DIRITTI A, DIRITTI DI ...   (JOBLIN)
24.6.12
Volentieri ci riferiamo ai diritti dell’uomo nelle nostre conversazioni quotidiane. Li invochiamo, fra l’altro, per esprimere il nostro disaccordo su alcune situazioni. Di fronte ai totalitarismi o a regimi,  giudicati troppo autoritari, si parla del diritto alla libertà di pensiero, alla libertà religiosa,o alla libertà sindacale; messi in presenza di condizioni di vita giudicate degradanti si parla del diritto ad una abitazione e al vitto; nel momento in cui ci troviamo a doverci confrontare con un sistema sociale nel quale i lavoratori sono sfruttati, si parla del diritto a condizioni di lavoro “decenti” che rispettino la dignità dell’uomo e il suo diritto alla vita… la lista potrebbe essere lunga. Questo modo di esprimersi significa che per la donna e per l’uomo contemporanei ognuno deve avere il diritto di pensare ciò che vuole e di comunicarlo, di lavorare per procurarsi le risorse necessarie “per provvedere senza difficoltà ai bisogni suoi e a quelli della sua famiglia”, (cfr. Rerum Novarum, 35), di organizzarsi per la difesa dei propri interessi, di veder rispettata da parte di chiunque la propria integrità fisica … Questa prima riflessione permette di vedere che esistono due modi di parlare dei diritti dell’uomo, poiché facilmente si passa dall’espressione diritto a, (all’abitazione, o al lavoro, per esempio), a quella di diritto di, (fra cui, non subire costrizioni in materia di fede). A questa distinzione è sottesa una realtà profonda.

Le diverse civiltà e culture cristiane hanno tutte affermato il carattere unico di ogni essere umano per il fatto che egli prepara durante la sua vita terrena quello che sarà il suo destino dopo la morte; da ciò, ogni uomo ha diritto a disporre di ciò che è richiesto a questo scopo. Questo diritto appartiene a ciascuno e non può essergli tolto; ma i regimi politici che hanno per obiettivo quello di soddisfarlo, lo fanno, ognuno, secondo la loro filosofia dello Stato. In Occidente, essa è stata riformulata in seguito alla Rivoluzione francese. La Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, adottata nel 1789 fu una reazione contro i governi autoritari fino a quel momento in vigore in Europa; gli eserciti napoleonici ne diffusero la filosofia nel continente. Essa aveva assunto, come fondamento, che l’uguaglianza, per natura, di tutti gli uomini doveva riflettersi nelle istituzioni politiche, affinché ciascuno e tutti potessero partecipare secondo modalità da precisare al momento della elaborazione delle leggi, mentre spettava ai governi definirne le condizioni. E’ qui che si trova la distinzione fra diritto a e diritto di.  L’affermazione dei diritti dell’uomo fu dunque una difesa contro la pretesa dei governi dell’epoca di precisarne, essi stessi, i contenuti; ogni individuo, per il fatto che è uguale a ogni altro, deve avere la possibilità di prendere parte alla vita pubblica, (il che significa che questa deve cessare dall’ essere in mano ad una aristocrazia, ma affidata a degli eletti, scelti dal popolo), e perciò esigere dai poteri pubblici la creazione di istituzioni che ne diano gli strumenti.  Gli uomini politici e i popoli del XIX secolo hanno pensato che questo schema convenisse al mondo intero e si sono convinti che fosse compito loro portare la liberazione politica ad ogni popolo, secondo quanto dichiarato dalla Costituzione rivoluzionaria del 1793, all’articolo primo: “il governo è istituito per garantire all’uomo il godimento dei suoi diritti naturali e imprescrittibili”. La novità risiede qui, non nel riconoscimento di diritti fondamentali inerenti a ogni essere umano, ma nell’affermazione che i governanti non sono liberi di agire a loro piacimento, ma che, di tali diritti, devono garantire il godimento. Da ciò è nata l’idea di parlare di diritto a tale o talaltro vantaggio, giudicato indispensabile al riconoscimento della dignità dei membri di una società. Una tappa importante nella maturazione della dottrina dei diritti dell’uomo ha avuto luogo durante la seconda guerra mondiale. Nel 1940, Pio XII, nella sua omelia Il Vangelo, parla “di attribuire a ogni popolo la parte delle risorse di prosperità e di potere che spetta a ciascuno di essi su questa terra”; affermazione che condurrà a giustificare la domanda dei popoli ad avere il dominio delle proprie risorse naturali; allo stesso modo, Roosevelt, nel suo discorso del 6 gennaio 1941 intravedrà un mondo nel quale ciascuno godrà della libertà di pensiero e di espressione e avrà diritto ad un sufficiente livello di vita. Queste idee troveranno una prima formulazione solenne nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 che parlerà del diritto a una nazionalità, alla sicurezza sociale, al lavoro, ad affiliarsi a dei sindacati, all’istruzione, ad un sufficiente livello di vita, a una vita culturale … diritti riaffermati nel Patto sui diritti civili e politici, come nel Patto sui diritti economici, sociali e culturali del 1966. Così, ci troviamo in presenza di una situazione quasi paradossale, poiché da una parte, viene affermata l’universalità del genere umano e l’uguaglianza fondamentale di ciascuno dei suoi membri, mentre, dall’altra parte, l’esperienza ci mostra che i popoli hanno concezioni differenti sul modo di concepire ciò che è essenziale nell’affermazione dei  diritti.  L’incidenza politica della divisione delle società sui propri fondamenti è apparsa dopo la fine della prima guerra mondiale quando i rappresentanti dei diversi Stati discussero sulla creazione della Corte Permanente di Giustizia. Si pose la domanda di sapere se le sue decisioni arbitrali avrebbero potuto essere obbligatorie. Il rappresentante di Lenin, Litvinof, si oppose, perché disse che sarebbe stato impossibile trovare un giudice imparziale, per il fatto che siamo in presenza  di due mondi estranei l’uno all’altro, quello sovietico e quello non sovietico. Lo si vede: se una universalità di posizione esiste oggi sul fatto che ogni essere umano è titolare di diritti, tuttavia i diversi sistemi sociali e le diverse filosofie sociali ne propongono esplicazioni differenti. Chi si ispira all’individualismo liberale avrà sue proprie esigenze che chiederà alla società di soddisfare; gli Stati autoritari e soprattutto totalitari riterranno che spetti allo Stato deciderne il contenuto. La prospettiva cristiana vede nella società la responsabilità di creare le condizioni necessarie per il migliore sviluppo materiale e spirituale dei suoi membri, ma il contenuto da assegnare ad esse sarà il risultato di una decisione partecipata da parte di ognuno dei suoi membri.

In conclusione
L’idea che ogni essere umano abbia un valore in sé, che lo Stato deve rispettare, è divenuta oggi un principio politico che si impone agli Stati; la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo è considerata come un punto di riferimento universale anche se delle discussioni hanno luogo fra Stati sul modo di interpretarla; essa costituisce il fondamento perchè ogni essere umano possa  essere soggetto di diritti in ogni società nazionale.
Le modalità secondo cui inscrivere nella realtà i diritti alla vita, al lavoro, alla libertà … dipende largamente dalle ideologie proprie a ogni civiltà; ma la comunità internazionale si ritiene responsabile di vegliare sull’applicazione del principio per cui ogni essere umano ha dei diritti inalienabili, in particolare il diritto alla pace e a vivere nelle istituzioni cosiddette democratiche; essa si dichiara responsabile ad esaminare se la situazione dei diritti dell’uomo in tale paese, (diritto a formare una famiglia, diritto di beneficiare di un lavoro “decente”, diritto di partecipare alla vita politica …), corrisponda all’idea che ne ha l’insieme delle nazioni. Le istituzioni internazionali giocano qui un ruolo capitale nell’aiutare le diverse civiltà e culture a comprendersi e a dare progressivamente una stessa interpretazione a questi diritti.

Alcuni possono pensare che la Chiesa non abbia un suo spazio in tale contesto; in effetti il suo insegnamento si situa su un altro livello rispetto a quello delle ideologie che sono alla base della vita pubblica; esso indica quali sono i valori che permettono di avvicinarsi alla realizzazione della sua visione religiosa sul divenire dell’umanità; essa non mira alla instaurazione di un sistema sociale; essa indica ciò che le appare, in un momento dato, essere richiesto per inscrivere l’amore di Dio fra gli uomini attraverso un sentimento di benevolenza universale, come il Cristo ce ne ha dato testimonianza; essa invita ciascuno a convertirsi dalle proprie passioni.
Per terminare, si può dunque dire che la sua antropologia permette di approfondire i diritti dell’uomo alla dignità e motiva eticamente la preoccupazione di inscrivere nella realtà le misure che rendono effettivo il diritto di ciascuno a vederli riconosciuti.   


Postilla AD
Essere titolari dei diritti umani fondamentali, nella loro duplice dimensione di diritti a e di diritti di, 
e di poterli effettivamente godere, con responsabilità,  nella situazione storica data, significa poter contribuire a proporre, con l’impegno di una testimonianza vissuta, un  “umanesimo integrale e solidale, capace di animare un nuovo ordine sociale, economico e politico, fondato sulla dignità e sulla libertà di ogni persona umana, da attuare nella pace, nella giustizia e nella solidarietà”, (Compendio della DSC, 18).       

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