etica

"... Non vogliate negar l'esperienza di retro al sol, del mondo sanza gente. Considerate la vostra semenza fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza". (Dante, Inferno canto XXVI, 116-120).


mercoledì 14 gennaio 2015

TERRORISMO, SATIRA, ISLAM E ETICA

Quando poi siano trascorsi i mesi sacri, uccidete questi associatori ovunque li incontriate, catturateli, assediateli e tendete loro agguati. Se poi si pentono, eseguono l'orazione e pagano la decima, lasciateli andare per la loro strada. 
Allah è perdonatore, misericordioso.
CORANO: Sura IX At-Tawba (Il Pentimento o la Disapprovazione, v.5)



I fatti esecrabili di questi giorni ci pongono di fronte ad una realtà che né il sistema politico, né il sistema mediatico riesce ad interpretare. Ciò che noto è la grande confusione che si fa; le considerazioni a ruota libera che si rilasciano e che i giornalisti per esclusivo “amore di scoop” vanno a cercare. Il problema del terrorismo non è un problema che si possa affrontare alla televisione, con le idee dell’On. Santanché o degli appartenenti a comunità islamiche, più o meno moderati,  oppure con le invettive gratuite e violente di un Ferrara.
Si continua a parlare di guerre di religione, di scontri tra culture e di tante altre stupidaggini che servono soltanto a confondere ancora di più le idee sulla posizione effettiva da prendere sia da parte dei cristiani, ed ebrei sia da parte di quelli che vengono chiamati “islamici moderati”.
Questo fa già capire il problema fondamentale rappresentato dalla non conoscenza del concetto di democrazia e soprattutto di libertà di espressione. Infatti già più volte ho sottolineato che la democrazia non è rappresentata dal detto che “la tua libertà finisce dove comincia quella dell’altro” bensi “ la tua libertà comincia dove comincia quella dell’altro”. Ecco i limiti veri. Ecco la radice del  problema: il non saper scegliere determina l’imposizione della propria idea sull’altro, a prescindere da qualsiasi ragione. Ecco quindi il formarsi di gabbie psicologiche ideologicamente strutturate a livello politico e recinti psicologici di fondamentalismo religioso adeguatamente istigato che conducono poi alle diverse forme di terrorismo.

TERRORISMO
No il terrorismo, non è lotta di religione o scontro tra culture, anche se cerca di provocarle, il terrorismo è un problema immenso che ha bisogno di profonda riflessione umana. E’ una forza negativa che ha bisogno di un silenzio assordante di ferma solidarietà capace di arginare le violenze gratuite distruttive dell’umanità suscitando un dialogo inclusivo che però non deve essere avulso da ragioni di rispetto di diritti umani sostanziali.
E’ una forza negativa che si è irrobustita nella seconda metà del secolo scorso ed è scoppiata in tutta la sua gravità agli inizi di questo secolo con l’attentato alle Torri gemelle dell’11 settembre 2001 per continuare fino ai nostri giorni con stragi inconsulte di innocenti o quanto meno come è accaduto in Francia, colpevoli di aver espresso una loro opinione, considerata offensiva.
Il problema che non viene evidenziato abbastanza è che il terrorismo attenta alla libertà degli Stati, attenta allo stato di diritto, restringe gli spazi di libertà dei diritti individuali.
Impone come sta avvenendo ora per i giornali americani una “autocensura” imposta dalla paura anche se per pudore viene malcelata. Quindi una diminuzione della libertà di stampa non dettata dalla propria scelta autonoma, ma dalla paura.
Molti non capiscono come si alimenta il terrorismo, più si interrogano e meno capiscono che il fenomeno in tutte le vicende storiche nasce da una realtà precisa che è quella della strumentalizzazione della incomunicabilità generata dalla necessità di gruppi di potere di fare i propri traffici. Anche se può sembrare un luogo comune il teorema è semplice: per acquisire posizioni di potere si alimentano focolai di incomunicabilità e quindi di dissenso che scatena il conflitto, basate sui tre elementi che dividono gli uomini, vale a dire la lingua, la moneta e la religione.
Tali diversità creano gli spazi adatti per strumentalizzare le coscienze più sensibili e meno autonome fornendo in termini ideologici e fondamentalisti pretesti su cui aizzare la rabbia, istigare l’azione di vendetta, ed in termini materiali soldi, armi, addestramento alla guerriglia, coperture internazionali. E’ il caso di Al Kaheda ed il caso dell’IS. Non si sono autogenerati!
La diversità culturale esasperata, la mancanza di laicità e quindi di accettazione della diversità di religione ed infine la disuguaglianza generata dal diverso valore della moneta e dalla ricchezza che essa comporta sono gli elementi che fomentano gli atti terroristici nella Jihad  e su cui la sociologa marocchina Fatema Mernissi fonda certi accanimenti inconsulti dei mussulmani. Come riportato da Domenico de Masi nel suo Mappa Mundi a pag. 242 “ Secondo la Mernissi, l’esperienza vincente della umma, basata sulla compattezza, ha reso i mussulmani diffidenti  verso qualsiasi diversità, fosse essa la cultura occidentale, o la democrazia, la libertà di pensiero o l’individualismo. 
Ecco dunque che gli eccessi di istigazione contro la diversità generano e spianano la strada al terrorismo che rappresenta una strategia precisa, o, un metodo di aggressione disumano che consiste nel fare o minacciare di fare un atto violento nei confronti di inermi. Uccidere a sangue freddo, sgozzare le persone, tagliare le teste e tutto con “normale ferocia”. Anzi tanto più sono inermi  le vittime e tanto meno è conosciuto il luogo dell’attentato o la maniera di aggressione, tanto più risalto ha la sua attuazione o minaccia. Questo perché tale forza tende ad affermare la potenza della capacità distruttiva dell’uomo che può colpire dovunque, chiunque, in ogni momento, senza preavviso, nei luoghi più impensati e contro le persone meno implicate. Certo anche gli eccidi da rappresaglia in guerra, sono assimilabili al terrorismo. Però sono effettuate in climi diversi e magari da situazioni di abbrutimento prolungato, anche se non giustificabile in nessuna maniera.
Ovviamente non ci sono scusanti, si tratta solo di una diversa collocazione dell’atto terroristico. La forza del terrorismo colpisce perché minaccia la popolazione per indurre l’autorità che la presiede a compiere un atto, a scendere a patti ad arrendersi ad una richiesta. L’influenza è negativa perché provoca un senso di vendetta che difficilmente si placa soprattutto in coloro che la subiscono o direttamente oppure in qualità di parenti o amici delle vittime. Il terrorismo è una forza negativa che influenza la nostra vita perché a volte si maschera con il martirio o dietro la necessità della lotta. Così i “criminali suicidi auto esplodenti” vengono reputati martiri per la causa del proprio paese. Gli attentati contro i bambini di una scuola come azione patriottica. Il raid di Jihadisti contro vignettisti satirici  come una giusta vendetta per chi ha offeso il Profeta. L’influenza negativa sta nell’orientamento di pensiero che si genera: è evidente che l’uso strumentale delle motivazioni suddette si presta, unitamente alla difficoltà di stabilire quali siano i mezzi legittimi da adoperare quando il fine perseguito in un contesto fortemente repressivo è l’autodeterminazione nazionale o la difesa di un concetto religioso, alla creazione di una confusione in termini di giustizia. I tratti caratteristici delle azioni di terrorismo sono: 1) generare terrore, rafforzando la credibilità dell’organizzazione che uccide o che minaccia di farlo; 2) disprezzo ostentato della vita (addirittura della propria nel caso di terroristi suicidi; 3) ricerca della pubblicità quale elemento essenziale per alimentare la paura e veicolare il messaggio. Il terrorismo poi come è accaduto in America, spinge le persone a rinunciare addirittura ai propri diritti civili e a permettere, come è già successo negli USA di Bush figlio, di inventare scuse strumentali come le armi di distruzione di massa, per sostenere la necessità di una guerra, effettuata invece, come ormai appurato per interessi politici ed economici del Paese. Per terminare sottolineerei che tali azioni terroristiche danno il destro specialmente nel caso attuale, sulla scia del risentimento diffuso e crescente, alla prospettiva che se da un lato invoca e accetta di restringere le libertà della zona Schengen, dall’altra struttura in maniera spontanea prima l’auspicio e poi la necessità di una crociata ma non contro i terroristi, bensì contro un generalizzato concetto di Islam di cui non si conosce neanche la configurazione.

SATIRA
Riguardo alla satira, deve essere riconosciuto innanzitutto il suo carattere di espressione che per la sua collocazione conflittuale nei confronti di qualsiasi potere fisico, politico e religioso, rappresenta veramente la manifestazione più concreta della piena libertà di opinione.
L’uomo ha due elementi che caratterizzano la sua natura, il primo si chiama dignità ed il secondo libertà. Nella satira questi due elementi raggiungono il livello più alto possibile. Da un lato, infatti, essa misura la capacità di colui che la pratica di esprimere, per mezzo di elementi artistici di dissenso, la dimensione della sua dignità che risiede proprio nella capacità di comunicare, attraverso un’arte, la propria visione del concetto di umanità. Dall’altro la satira misura il livello di pienezza di libertà che il pensiero dell’artista esprime nella sua sfida al potere.
La satira è fisicamente innocua, ma moralmente e politicamente è invece fortemente incisiva se non a volte addirittura distruttiva. E’ importante però che essa non si svilisca, che non si  abbassi a calunnia, ma che sia vera espressione di dignità artistica, libertà di pensiero ed onestà intellettuale. Certo che la satira quando invece è strumentalizzata e prezzolata allora non ha nulla di apprezzabile e colui che la pratica è deprecabile, ma ciò non toglie che per quanto pungente ed orripilante sia e possa divenire oggetto di querele e azioni giudiziarie, mai e poi mai è giustificabile che possa essere motivo di aggressione o di uccisione per chi si sente offeso.
Ecco questo e’ un altro elemento culturale che non viene insegnato e tanto meno considerato dalla maggior parte di coloro che esprimono il proprio dissenso ed il proprio sdegno nei confronti della satira.
Io vorrei fare una riflessione onesta su questo senso di sdegno o di offesa del proprio senso religioso, della propria dignità, del proprio ruolo ecc. Ciò che vorrei qui evidenziare in maniera razionale e condivisibile è che il problema dello sdegno e dell’offesa è un problema relazionale. Infatti se pensiamo che colui che pratica la satira non ha alcuna intenzione di offendere, ma che vuole attraverso la propria arte dare soltanto una visione diversa, autonoma ed originale del dato di fatto, allora possiamo capire che l’offesa non esiste. Allora possiamo capire l’errore di chi sente offesa la propria dignità: non è la satira che lo offenda bensì è la sua condizione interiore che lo fa sentire offeso. Se fosse intelligente capirebbe ed apprezzerebbe lo sforzo dell’artista, che per quanto blasfemo possa essere ritenuto, non è intenzionalmente rivolto né all’offesa religiosa e né a quella politica ma consapevolmente rivolto ad una sfida con se stesso e con la sua vena artistica di riuscire a rappresentare nella maniera più ironica, sarcastica, tagliente e graffiante il concetto che il dato di fatto gli suscita nella fantasia.
La cosa più bella della satira, per quanto offensiva possa esser ritenuta, è la sua rispondenza alla realtà, è il suo uso eccellente del “pluralismo concettuale” nascosto in una immagine, in una frase, in un episodio, in una ideologia politica o in un fondamentalismo religioso. Ecco perché la satira è ammirevole, perché riesce a trovare la maniera di colpire nel nostro vissuto quotidiano anche laddove non ci sia nulla di rilevante oppure sembri inattaccabile o non punibile. Come scriveva lo scrittore russo A.S. Puskin: “Dove non arriva la spada della legge, là giunge la frusta della satira.” La satira non è né linguaggio volgare, né offensivo, ma è genuina espressione di libertà che contiene una critica onesta anche se dai contorni smisurati e urticanti, che non si pone limiti, né formali e né sostanziali, trascendendo perciò  in maniera innocente tutte quelle categorie di diffamazione e oltraggio, che invece vengono strumentalmente considerate come trasgressioni di limiti invalicabili e quindi inaccettabili e offensive. L’esagerazione esasperata ed esasperante della satira trova nella derisione e nella spavalderia dell'oltremisura il grimaldello per scalzare il potere, per frustare la società, per cambiare i costumi. Solo gli sciocchi non se ne avvedono!
  
ISLAM
Il problema dell’Islam invece è rappresentato proprio dalla distanza culturale tra l’aspetto religioso e la modernità. Il fatto che non possano essere interpretati i 6.236 versetti delle 114 sure, comporta la staticità del pensiero fideistico il cui modello resta legato tutt’ora a tre aspetti di rilevanza notevole: la condizione della donna, il sistema economico finanziario e il terrorismo.
L’Islam è una religione di pace nella sua espressione teologica; in realtà mancando di una mediazione ermeneutica temporalmente aggiornata, non riesce a reggere il confronto con la prassi per cui certe situazioni restano ancorate alle condizioni esistenti 1400 anni fa, sicché ancora oggi, nonostante la cultura cerchi di adeguarsi ai dettami della globalizzazione, la realtà della Umma impone alcuni vincoli che vedono la donna in condizioni di inferiorità e persino passibile di lapidazione in caso di adulterio. Secondo la Sharia la donna non può prendere parte alla vita economico-produttiva, non ha libertà di iniziativa, e, in alcuni casi, non ha neanche libertà di movimento, impedendole persino di guidare l’automobile. Poi con l’imposizione del velo che arriva a diventare un burqa nelle imposizioni talebane che segregano la personalità e l’espressione  estetica  della donna, tale libertà diviene schiavitù.
Riguardo all’economia sempre De Masi riporta nello stesso capitolo del libro citato, che “sono vietate le attività assicurative, la produzione e la vendita di bevande alcoliche, di carne suina, di armi e tabacco, i casinò, la pornografia i night club. Vietatissima qualunque attività che comporti pagamento di interessi e, a maggior ragione l’usura.” Legando così le prassi socioeconomiche a schemi religiosi costringenti, con il risultato di azzerare la libertà di scelta e pertanto la responsabilità connessa.
Il terrorismo infine è una piaga che resta come dato di fatto. Capace di esplodere in ogni momento perché la perentorietà del versetto non è suscettibile di interpretazione, ma deve essere accettata così com’è stata comunicata al Profeta. Ciò comporta che il modello mussulmano è difficilmente comprensibile da chi non lo pratica, perché la commistione tra fede ed esistenza individuale e collettiva è talmente inestricabile e totalizzante che non è possibile distinguere la posizione religiosa dalla vita pratica. Infatti prosegue ancora De Masi “Se un islamico praticante deve fidanzarsi, sposarsi, educare i figli, o fare testamento, se deve comprare o vendere una casa, se deve accendere un mutuo o investire una somma, se deve individuare il partner o scegliere un abito, se deve pagare un debito o fare una donazione, se deve acquistare un’automobile o prendere la patente, prima di agire ha l’obbligo di chiedersi quale sua scelta sarebbe approvata e quale disapprovata da Allah [….] Ma come si fa a sapere cosa ne pensa Allah?...[…]..occorre ricostruirlo attraverso 4 fonti: il Corano, libro sacro composto di 6236 versetti raggruppati in 114 capitoli (sure), che contiene le enunciazioni generali; la sunna, raccolta di aneddoti in cui …..[..]si racconta ciò che Maometto disse..[..]; il consenso dei dottori della legge (ijmà) su questioni di diritto positivo e il consenso unanime dell’intera comunità in caso di questioni morali e di culto; l’analogia (qiyas) con casi affini già regolati in passato.
Se vogliamo fare uno sforzo contro il problema del fondamentalismo che sfocia poi nel terrorismo. Non dobbiamo fare l’errore di confondere tra la religione e la cultura islamica. La religione è qualcosa di spirituale ed individuale che però la cultura filtra con le sue categorie di giudizio inappellabile derivante dall’acquisizione del dettato religioso nella vita pratica. La cultura quindi, alla prima levata di scudi, sfocia naturalmente in un fondamentalismo religioso che altro non è se non staticità culturale, incapacità di vedere il mondo con occhi diversi supportati dai moderni strumenti di indagine, di giudizio e di azione. Nel nostro Paese e in Europa occorre fare una netta distinzione tra  il significato di giustizia ed il significato di misericordia. La misericordia è divina mentre la giustizia è squisitamente umana e quando parliamo di giustizia, parliamo di reciprocità, di trasparenza, di relazioni equilibrate fondate su un tessuto di fiducia. Pertanto se vogliamo lottare contro il terrorismo e le reazioni che esso comporta dovremmo cominciare a chiedere innanzitutto una presa di posizione da parte delle comunità islamiche che si dicono moderate contro i “terroristi islamici”, dobbiamo pretendere che quando una comunità islamica chiede nel nostro Paese di creare una Moschea, si impegni nel proprio Paese a permettere la creazione di una chiesa; inoltre va richiesto in maniera pressante che nelle moschee il sermone venga fatto in italiano oppure nella lingua del Paese e non in arabo. Ed infine che l’Imam della comunità si faccia garante della “pacificità” della sua comunità sotto pena della sua espulsione. Anche se queste condizioni possono sembrare rigide, in realtà esse non sono altro che il presupposto per raggiungere un livello di democrazia in cui la laicità anche degli islamici permetta la convivenza di tutte le religioni senza l’applicazione del versetto 5 della sura IX sopra citata.

ETICA
Riguardo all’etica credo che oramai ci sia poco da dire se non che il bene comune si raggiunge soltanto con il rispetto della dignità dell’uomo in tutte le sue espressioni e guarda caso anche in quelle satiriche!
Se anche le persone di fede islamica prendessero come riferimento il punto 26 della Gaudium et Spes che fa dell’interdipendenza motivo fondamentale del bene comune: “Dall'interdipendenza sempre più stretta e piano piano estesa al mondo intero deriva che il bene comune - cioè l'insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono tanto ai gruppi quanto ai singoli membri di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più speditamente - oggi vieppiù diventa universale, investendo diritti e doveri che riguardano l'intero genere umano.

L’interdipendenza è comunque anche il fondamento su cui si basa la solidarietà che a sua volta è la responsabilità verso il bene comune come recita la Sollicitudo Rei Socialis al punto 38: “Si tratta, innanzitutto, dell'interdipendenza, sentita come sistema determinante ¨di relazioni nel mondo contemporaneo, nelle sue componenti economica, culturale, politica e religiosa, e assunta come categoria morale.¨ Quando l'interdipendenza viene cosi riconosciuta, la correlativa risposta, come atteggiamento morale e sociale, come «virtù», è la solidarietà.¨ Questa, dunque, non è un sentimento di vaga compassione o di superficiale intenerimento per i mali di tante persone, vicine o lontane. Al contrario, è la determinazione ferma e perseverante ¨di impegnarsi per il bene comune:¨ ossia per il bene di tutti e di ciascuno, perché tutti ¨siamo veramente responsabili di tutti.¨ Tale determinazione è fondata sulla salda convinzione che le cause che frenano il pieno sviluppo siano quella brama del profitto e quella sete del potere, di cui si è parlato. Questi atteggiamenti e «strutture di peccato» si vincono solo - presupposto l'aiuto della grazia divina - con un atteggiamento diametralmente opposto: l'impegno per il bene del prossimo con la disponibilità, in senso evangelico, a «perdersi» a favore dell'altro invece di sfruttarlo, e a «servirlo» invece di opprimerlo per il proprio tornaconto (cf Mt ¨10,40-42; 20,25; Mc ¨10,42-45; Lc ¨22,25-27).