“…La prontezza del
pubblico ad accrescere le proprie scorte di moneta in risposta ad uno stimolo
relativamente debole è dovuta al fatto che i vantaggi della liquidità (reali o
supposti) non sono ostacolati da nessun fattore contrario, come potrebbe essere
quello di un rapido aumento dei costi di mantenimento al passare del tempo. Nel
caso di una merce diversa dalla moneta, una scorta modesta può offrire una
certa comodità a coloro che usano la merce. Ma anche se una scorta maggiore
avesse una certa attrattiva rappresentando uno stock di ricchezza di valore
stabile, ciò sarebbe compensato dai suoi costi di mantenimento nella forma di
magazzinaggio, deperimento, ecc. Quindi, oltre un certo punto, si incorre
necessariamente in una perdita detenendo una scorta maggiore. Invece nel caso
della moneta, come abbiamo visto, ciò non si verifica; e questo per svariate
ragioni, e appunto per quelle ragioni che fanno si che la moneta, nella stima
del pubblico, sia “liquida” per eccellenza. Quindi sono sulla via giusta quei
riformatori i quali cercano un rimedio creando costi artificiali di
mantenimento per la moneta, mediante l’espediente di richiedere che la moneta
legale, perché conservi tale qualità, debba essere periodicamente stampigliata
ad un costo determinato o sottoposta a analoghe decurtazioni; e il valore
pratico delle loro proposta merita considerazione….” J.M. Keynes Teoria
generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta. (Ed. Utet Torino
2006 pag. 424).
Mi scuso con i miei lettori che aspettano da qualche tempo
questa riflessione sul terzo scenario possibile in termini di disintegrazione
dell’Euro. Finalmente sono giunto a definire i contorni e parlarne in maniera
comprensibile da tutti. Ovviamente il tempo che ho impiegato non è dovuto
soltanto alla difficoltà di chiarire il mio pensiero e ricercare i dati per
dare una visione attendibile, ma è stato determinato anche dal fatto che sono
stato assalito da problemi di coscienza: la descrizione di questo scenario in
termini tecnici infatti, poteva dare l’appiglio a politici “secessionisti” o
“grillini” per dire ”ecco, abbiamo
finalmente trovato la maniera giusta per
uscire dall’euro”. Mi preme ricordare a tutti, in proposito, che pur se il
trattato UE non prevede procedure di uscita dalla moneta unica, ciò non toglie
che un popolo in regime di democrazia resta sempre sovrano e responsabile delle
proprie decisioni e pertanto se si indicesse un referendum il cui risultato
stabilisse per volontà popolare l’uscita dalla moneta unica ciò avrebbe forza
cogente per la separazione. Ecco allora che ho dovuto fare e rifare i conti e
soprattutto trovare le parole giuste e una maniera sfumata, evitando
tecnicismi, per dipingere lo scenario che non fosse immediatamente percepibile,
come invece per motivi di correttezza scientifica avrei fatto.
La cosa mi costa molto, forse qualcuno di voi mi capirà, come
dicevo in apertura infatti, non vorrei dare involontariamente un input a
qualcuno che vuole cavalcare la tigre dell’uscita dell’euro. Chiedo scusa di
ripeterlo ma vorrei che fosse chiaro: ho tardato a scrivere queste cose, non
solo per la difficoltà di mantenere un rigore scientifico di carattere etico,
ma anche perché è tanta la paura che queste mie parole possano venire
strumentalizzate. Ciò che farò pertanto è delineare appena lo scenario, senza
scendere nei particolari del come si fa. Vi prego di non volermene, ma per me
che credo ”nei corsi e ricorsi storici” di vichiana memoria è molto
problematico dare in mano a qualcuno un’idea che pur nella sua finalità etica,
rappresenta nei miei discorsi un’ultima spiaggia e non certo una soluzione da
utilizzare.
Vediamo se riesco a configurare un quadro concettuale
comprensibile a tutti anche se un po’ sfumato e per scelta non nitidamente
delineato. Certo non è facile per chi
non ha mai sentito parlare di parità aurea ubicarsi nell’argomento. Però se ci
diamo punti di riferimento obiettivi possiamo costruire con facilità il
ragionamento. Il punto di partenza è che il 15 agosto del 1971 il trattato di
Bretton Woods che sanciva la parità Dollaro-Oro a 35 dollari l’oncia è saltato.
L’effetto fu l’inizio della flessibilità dei cambi e con questa l’entrata in
campo generalizzata del cosiddetto corso forzoso. Vale a dire che una moneta
non valeva più per il suo contenuto aureo, ma semplicemente per la credibilità
del suo emittente.
Giusto per fare un po’ di storia in analogia con la vecchia
lira italiana possiamo dire che questa dopo varie vicissitudini nel secolo
scorso raggiunse la stabilizzazione monetaria decretata nel 1927 con l'abolizione
del corso forzoso. Si tornò così alla convertibilità in oro (in lingotti) o in
divise convertibili. Il contenuto aureo della lira a quel periodo fu stabilito
in 0,07919113 g
di oro fino, vale a dire che se si possedeva una lira era la stessa cosa che
possedere 0,079 grammi
di oro. Tale contenuto portava ad una revisione della parità con il dollaro Usa
a 19 lire e con la sterlina a 92,46. Questa parità aurea durò fino al 1936
quando la lira fu svalutata di oltre il 40% (1 lira=0,04677 g di oro fino.) La seconda
guerra mondiale ridusse ulteriormente il potere d'acquisto della lira, il cui
tasso di cambio con il dollaro raggiunse nel 1946 le 225 lire, nel 1947 le 350
per stabilizzarsi intorno alle 625
a partire dal 1949. Quest'ultima parità della lira
(dotata solo di “convertibilità esterna”) con il dollaro fu in effetti quella
dichiarata dall'Italia al Fondo Monetario Internazionale il 30 marzo 1960 tale nuova parità aurea era pari a 0,00142187 g di oro
fino. Dopo gli accordi di Washington (dicembre 1971)
con cui si decretava il totale distacco della parità del dollaro dall’oro, (15 agosto del 1971) il rapporto era di 581,50 lire per 1 dollaro
Usa (parità aurea ufficiosa 0,0014077
g di fino).
Chiariti questi termini allora possiamo capire come si possa
prospettare un nuovo valore dell’euro rapportato alla lira come riferimento al
cambio fisso di 1936,27. Senza scendere in particolari, per i motivi più sopra
spiegati, il ragionamento da fare è questo: ponendo il valore delle banconote
Euro in circolazione in Italia pari a 153,6 miliardi (dato Bankit giu 2012) ed
il relativo cambio in lire pari a 1936,27, dividendo le riserve auree pari 95,9
miliardi di euro (dato Bankit giu 2012) per un totale di 2.451,8 tonnellate
d’oro vale a dire che il valore di ogni
grammo di oro è pari a euro 39,114 (attuale prezzo commerciale dell’oro 24K è
Eur 40,3 al grammo) si otterrebbe che il contenuto aureo relativo a ciascun
euro sarebbe pari a gr. 0,00468733839. La catenaria sarebbe la seguente: X gr.=
1 Euro; Euro 39,114 = Lire 75.735; Lire 581,50 = gr. 0,0014077. Quindi mantenendo
inalterata la parità ufficiosa corrispondente a quella del 1971 abbiamo che i
grammi contenuti in un euro secondo i parametri utilizzati sono 0,00468733839
che moltiplicati per 153,6 miliardi in circolazione darebbero 719,98 tonnellate
che rientrerebbero pienamente nel totale delle riserve auree attualmente
dichiarato (Ton. 2.451,8) ed esistente presso la Banca d’Italia. (Certamente la
cifra può essere approssimativa, ma al
di là dell’esattezza dei calcoli a cui si deve dare il beneficio
dell’inventario a causa della enormità degli importi utilizzati ciò che conta è
il concetto di restituzione di un rapporto reale tra valore monetario e
contenuto aureo). A tale impostazione, per salvaguardare la parità dichiarata
in termini di contenuto aureo, dovrebbe corrispondere poi in termini valutari
il monopolio delle divise e la salvaguardia del cambio dichiarato, un ritorno al regime dei divieti, con una
doppia quotazione dell’euro in commerciale (dotato di convertibilità esterna) e
finanziario (non convertibile) e nel contempo dovrebbe essere abbassata la soglia
dei pagamenti in contanti ad un massimo di euro 500, il che porterebbe la base
monetaria a restringersi ulteriormente in quanto incassi ed esborsi sarebbero
effettuati in euro nazionale (finanziario) tramite moneta scritturale relativa
agli strumenti di pagamento esistenti (bonifici, carte di credito, giroconti
ecc.) evitando la possibilità che le richieste di convertibilità possano
incidere troppo sulle riserve auree del Paese. Va da sé che anche in termini di
politica economica occorrerà tornare ad una “autarchia” territoriale che
incentivi l’esportazione comprimendo il più possibile le importazioni. Di più
non mi sento di dire.
In tale quadro la nascita dell’euro nazionale, protetto
dalle riserve auree e gestito da una propria banca centrale potrebbe essere
imboccata solo a condizione che vi sia una corrispondente manovra di politica
economica tendente attraverso l’aumento della produttività territoriale a
mantenere stabile il contenuto aureo ufficialmente dichiarato in fase di uscita
dall’euro attuale. Chi desiderasse approfondire può chiedermi come ed io sarò
lieto di rispondere a ciascuno singolarmente!
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