L’approfondita riflessione qui proposta sulla nozione di coscienza e sulle
sue radici cristiane - considerata anche
in relazione alla conoscenza - sembra particolarmente pertinente, ricca di
significativi suggerimenti per un dialogo fruttuoso nell’ambito dei contenuti
dell’Incontro-Giovani, quest’anno centrato sul tema Conoscere per crescere.
Alba
Dini Martino
Il linguaggio comune lega la coscienza alla conoscenza: si ha coscienza di
qualcosa.
Dal
punto di vista filosofico, essa consiste in quel potere che l’uomo ha di
conoscersi in quanto soggetto pensante distinto dagli oggetti che conosce. Tale facoltà permette all’individuo di
formulare dei giudizi di valore morale sui suoi atti, sulla scorta di una gerarchia di valori che egli ritiene veri. Dal punto di
vista dell’antropologia religiosa, la coscienza consiste in quella “legge
scritta da Dio dentro il cuore
dell’uomo” e “che lo chiama sempre ad
amare e a fare il bene e a fuggire il male”, (Gaudium et Spes, 16). Essa
permette a ciascuno di giudicare sul valore dei suoi atti o di una situazione,
in rapporto alla rappresentazione che egli ha del Vero, del Bello, del Bene e
del Giusto; egli ne porta la responsabilità davanti agli uomini e davanti a
Dio; la coscienza è, dice S. Girolamo, una “scintilla” che mai si estingue e
che fa “sentire” un’azione come buona o cattiva: essa dà fondamento alla
dignità della persona umana.
L’esercizio
del giudizio da parte della coscienza è
sottoposto a numerose influenze; queste non sono soltanto esterne come può
essere la propaganda o ciò che è stato chiamato la “rieducazione”; esse sono
anche interne e i lavori di Freud e dei suoi successori hanno messo in evidenza
il potere dell’inconscio sulla coscienza. Secondo la dottrina cattolica, tale
potere non arriva a sopprimere la responsabilità individuale. Scopo
dell’educazione è infatti quello di affrancare da tali dipendenze insegnando
all’individuo a diventare padrone dei suoi istinti e delle sue emozioni; si
parla allora di una coscienza formata, più o meno; del resto, il giudizio della
coscienza non è necessariamente infallibile; essa può ingannarsi per ignoranza,
in questo caso è erronea e può esserlo invincibilmente, oppure, poiché esita
nella formulazione del suo giudizio è dubbiosa.
Esistono anche altre qualificazioni della coscienza: si dirà che è retta,
quando sa discernere abitualmente sul valore morale di un atto; essa è detta permissiva
quando percepisce soltanto i “grossi” divari fra bene e male; in questo caso è
priva di finezza; la si dirà scrupolosa se, al contrario, vede il male anche
dove non c’è. Su un altro registro, si parla di coscienza sociale quando è
sensibile ai problemi della società e, più particolarmente, alle ingiustizie
che esistono in una data società.
Problemi
legati al rispetto della dignità
della
coscienza
La
nozione di coscienza del Cristianesimo non è condivisa da tutte le civiltà.
Sebbene la nozione di coscienza sia comune a tutte le civiltà, ognuna di esse
definisce i rispettivi diritti e doveri in funzione della sua antropologia: è
così che il termine “coscienza”, è stato incluso nell’articolo 1 della Dichiarazione
Universale dei Diritti dell’Uomo del 19481 per soddisfare la richiesta del
delegato cinese, secondo il quale l’essere umano “è dotato di ragione”, prima
di tutto per sviluppare il senso del “dovere di benevolenza” nei confronti
degli altri esseri umani e non in vista del suo proprio divenire personale.
La
nozione di coscienza del Cristianesimo non è condivisa da tutti i membri delle
società democratiche. Se tutte le società democratiche mettono la coscienza a
fondamento della dignità umana e fanno del
suo rispetto un principio essenziale dell’ordine pubblico, esse differiscono
sulle conseguenze che ne traggono nell’organizzazione della società. Con il
pretesto di non voler intervenire nel dominio della coscienza, alcune società
occidentali ritengono di essere rispettose del principio di
non-discriminazione, ponendo sullo stesso piano religione e libero pensiero;
ma, in questo modo, riducono la religione a nient’altro che un’opinione fra le
altre; non riconoscendo la specificità di tale fenomeno, visto che si schierano
per il libero pensiero, sostengono precisamente che le credenze religiose
devono essere trattate come opinioni soggettive. Ma se ogni manifestazione esterna della coscienza religiosa, la cui legittimità
è riconosciuta dall’art. 18 della Dichiarazione del 19482, viene rifiutata dai pubblici poteri ogni qual
volta qualcuno se ne dichiari leso, il libero
pensiero nella vita pubblica diventerà la regola di quella società. Ugualmente,
quando gli insegnanti e i manuali del
sistema della pubblica istruzione si vedono impedito di fare riferimento al
fatto religioso per spiegare il meccanismo della coscienza, si manifesta il
rischio reale di vedere diffondere la non credenza. La difficoltà che viene a
sollevarsi è gravida di gravi rischi di
conflitto fra credenti e istituzioni politiche dell’Occidente.
L’interpretazione dei principi democratici che sono alla base delle società
moderne deve dunque essere ripensata per risolvere questo conflitto potenziale
e tener conto del
fatto che il credere appartiene ad un ordine proprio che non può essere ridotto
a semplice opinione; esso affonda su una relazione con l’Assoluto che ha
incidenza su tutti gli aspetti della vita.
1
“Tutti gli esseri umani nascono liberi ed uguali in dignità e diritti. Essi
sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in
spirito di fratellanza.”
2 “Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di
religione; tale diritto include la libertà di cambiare di religione o di credo,
e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, e sia in pubblico che in
privato, la propria religione o il proprio credo nell’insegnamento, nelle
pratiche, nel culto e nell’osservanza dei riti.”
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