….Il fondamento delle nostre leggi mirava
a questo, a che i cittadini siano quanto più possibile felici ed in
sommo grado reciprocamente concordi; ma dei cittadini non potrebbero mai essere
concordi, laddove tra di loro vi fossero [d]
molte liti giudiziarie e molte ingiustizie, ma laddove esse fossero quantomeno
grandi e meno numerose possibile. Diciamo dunque che nella città non deve
esserci né oro né argento, e neppure grande possibilità di arricchirsi con un
turpe mestiere e con l’usura né con turpi guadagni legati alla vendita del
bestiame, ma solo ciò che l’agricoltura dà e produce e di questo quanto non
costringerà chi lo raccoglie a trascurare il fine che hanno per natura le
ricchezze; questo è l’anima e il corpo, che senza la ginnastica e [e] il resto dell’educazione non
sarebbero mai degni di considerazione. Perciò dunque più di una volta abbiamo
detto (Cfr. I 631c; III 697b; V 728e sgg.) che la cura delle ricchezze va
stimata come ultima; essendo infatti tre tutti i beni per cui ogni uomo si dà
pensiero, ultimo e terzo viene il pensiero della ricchezza, se è giustamente
orientato, secondo viene quello del corpo, primo quello dell’anima. In
particolare se la costituzione che ora stiamo delineando assegna in questo modo
gli onori, è stata redatta correttamente. Se invece una delle leggi ivi
stabilite [744a] palesemente
tributerà nella città un maggior onore alla salute più che alla saggia
temperanza, o alla ricchezza più che alla salute e alla vita temperata, sarà
evidentemente mal stabilita. Ebbene il legislatore deve spesso chiarire questo
a se stesso. Chiedendosi «che cosa intendo fare?» e «Vado diritto all’obiettivo
o manco lo scopo?». E così forse egli stesso verrà a capo della sua
legislazione e alleggerirà gli altri; ma in nessun altro modo ci
riuscirebbe…..PLATONE “Le Leggi” Ed.
BUR, Libro V 743 d,e; 744a, pp.- 439-441
ETICA
Tutti ci rendiamo conto che le linee più segmentate del
nostro tempo sono rappresentate da macrotendenze economiche e sociali che seppur
legittime risultano politicamente mal concepite. Siamo tutti d’accordo a voler cercare di
contrastare questa situazione di “confusione collettiva” in cui la ricerca di
modi di esistenza e di svago sempre più sofisticati ci impongono di vendere la
nostra coscienza al miglior offerente di chimere. Sentiamo tutti il grido piuttosto lancinante
e diffuso per la rivendicazione di un potere più largamente condiviso per il
diritto a intervenire in maniera più incisiva sui meccanismi della sanità e
della giustizia. Però nessuno sembra volersi realmente muovere. Non tutti siamo
d’accordo sulle forme ormai consolidate di natura pedagogica che assecondino,
strumentalizzandola, la crescita globale della personalità dell’adolescente
senza punti di riferimento assiologici. Però la moda dell’indifferenza e del
relativismo etico è il filo conduttore di tutti i percorsi formativi. Tutti
osserviamo con differente livello di percezione la perniciosità di guardare
all’aspirazione estetica e ad un uso del corpo non tanto perché sia in sintonia
con l’ambiente, quanto più per la ricerca di un estremo consenso estetico e
mediatico: un corpo volutamente “bello” palestrato, siliconato o intriso di
botulino pur di farne risaltare la perfezione estetica voluta, minacciata
dall’adipe, dalle rughe o dalla magrezza dei seni o dalle visione rinsecchita
delle labbra. Non più vecchiaia e saggezza, ma perenne e spensierata gioventù,
manifestata con eccessi di entusiasmo e di esibizionismo, da chi sentendo che
la vita sta passando non sa accettare i propri limiti storici rendendosi
ignaramente ridicolo agli occhi chi lo osserva con curiosità. Comunque chi cerca di porsi contro tali stili di vita viene additato come “moralista”
come colui che inconscio della realtà e del tributo da pagare al progresso
vuole pietrificare lo sviluppo sociale
solo perché ne reclama una misura più umana e ragionevole. In tale contesto ciò
che appare evidente è che la complessità del problema della libertà del volere,
si scontra con la superficialità dell’omologazione globale. L’etica imporrebbe
una riflessione più profonda sul problema della liceità delle nostre azioni,
vale a dire se ci è lecito di fare ciò che noi vogliamo o vorremmo fare, al di
là delle conseguenze soggettivamente percepite. Certo si tratta di una analisi
più profonda del proprio stato di libertà è esattamente assimilabile alla
liceità del fare o non fare, senza rendersi conto che a volte il non fare è
peggiore del primo. Basta pensare alla
cosiddetta omissione, all’omertà, alla mancata rivendicazione o reazione
tendente a definire la propria posizione.
Il concetto etico di libertà
origina dall’ammissione che tutte le nostre azioni siano condizionate o meglio
determinate, sia dal movente dei sensi che dai motivi più complessi della
ragione. Ciò che ci muove in senso etico sono le passioni e le emozioni così
come la coscienza razionale informata dalla dimensione morale delle
responsabilità implicite. Detto questo andiamo ad osservare come questa
dimensione etica sta coinvolgendo la vita legislativa del nostro Paese.
LA COSTITUZIONE
Senza fare la storia della nostra costituzione vorrei solo esprimere
una considerazione importante e cioè che la costituzione essendo una legge
fondamentale dovrebbe tendere al massimo della perfezione in termini di
elaborazione, di aspirazioni nelle relazione umane, da essere considerata quasi
immutabile. Se i principi fondamentali e l’organizzazione conseguente sono
improntate sulla perfezione che deve regolare i rapporti della società, allora
l’impulso al cambiamento è un impulso che va seriamente valutato. Il
cambiamento sappiamo che è necessario come forza operante per il raggiungimento
di un fine al quale si giunge per via dinamica, ma se tale fine si discosta dai
principi che ne hanno determinato la nascita allora il mutamento è da temere
perché rappresenta un processo di degenerazione e di corruzione progressivo che
seppur presentato come migliore necessità esistente al momento, rappresenta una
deriva pericolosa che coinvolge rischiosamente gli uomini e la loro società che
li sospinge verso il baratro della palude anarchica. Le regole e le leggi sono la
base del vivere civile, l’etica come coscienza del rispetto delle regole ne
diviene l’essenza a livello umano. La società che non sa darsi leggi per il
proprio bene comune è una società costretta a subire da inerme le imposizioni e
le avversità della storia. Forse questo tono può sembrare molto perentorio, ma
pensiamo ai problemi veri che scaturiscono dal voler cambiare la nostra
costituzione e al clima di confusione che già stiamo vivendo. Innanzitutto ricordiamo
che la nostra costituzione al momento della sua formulazione, è stata pensata,
elaborata e definita in un concorde consenso di umanità da tutti coloro che
abbiamo chiamato “padri costituenti” e che avevano un progetto sociale da
raggiungere. Oggi il cambiamento della nostra carta si basa su slogan, su
imposizioni di tresche partitiche pilotate da do ut des, da interessi occulti e striscianti che ne hanno già, nelle
modifiche al titolo V della seconda parte della costituzione il 18 ottobre 2001
e quella del pareggio di bilancio introdotto il 20 aprile 2012, deformato i
lineamenti di bene comune propriamente inteso e il suo fine primario. Questi cambiamenti
minano l’unità della nazione e la
dimensione di bene pubblico dello stato. Ora non sappiamo dove si andrà a
parare. Quelli che stanno cambiando la nostra legge fondamentale non possono
certo chiamarsi “padri costituenti” mancando di un retroterra politico serio e
veritiero sostituito da un interesse partitico fazioso ed economicamente mirato
a fini di profitto e a giochi di potere.
Questi parvenu della politica ragionano su bicameralismo perfetto, su
rappresentanti eletti o non eletti, non con finalità politica, ma secondo la
percezione dei loro interessi, mentre il bene del Paese è lasciato a se stesso.
Una legge costituzionale ha bisogno di un popolo che parli la stessa lingua e i
cui rappresentati si sentano impegnati ad esprimere il meglio del meglio
possibile e non a farsi la guerra per mantenere o far saltare delle poltrone. Forse
i padri costituenti nell’ideare il parlamento così come da sempre lo conosciamo
cercavano la maniera migliore di creare un organismo che garantisse la migliore
formazione delle leggi e pertanto le leggi migliori. La struttura democratica
del paese, concepita ed espressa nella nostra costituzione, resta, a dispetto di
chiunque non lo voglia per propri motivi riconoscere, la migliore e la maggior
garanzia di equilibrio di gestione democratica dello stato moderno. Non se ne
abbiano gli statunitensi! Non abbiamo bisogno di guardare al presidenzialismo o
ai sistemi degli altri, non abbiamo bisogno di rifarci ai loro modelli, ma
siamo noi il miglior modello per loro. La nostra è una cultura fatta di etica e
di leggi. La nostra storia forse è la più completa in termini di esperienza di
forme di struttura dello stato. Noi siamo il paese delle XII Tavole che elaborate dai decenveri
legibus scribundis, furono, non solo la prima forma di diritto scritto ed
una garanzia per i plebei, ma divennero patrimonio culturale di tutti i
cittadini romani chiamati a conoscerle comma per comma e del mondo a venire. Siamo il paese di Giustiniano che in un impero
vastissimo rivede un sistema costituzionale e legislativo inquinato dalla
miriade di modifiche introdotte dai diversi governanti per interessi di parte e
crea il Nuovo Codice Giustinianeo, le
Pandette ed il manuale scolastico Istituzioni, ma non solo, perché oltre a
far tradurre in lingua greca le Novellae
costitutiones pensò già allora a fare gli aggiornamenti semestrali del Codex ed eravamo nel 565 d.c.! La magna
Charta di Giovanni Senza Terra e Napoleone con i suoi codici non fecero altro
che proseguire su questa linea. Come possiamo accettare una revisione
costituzionale nella maniera che i mass-media ci riportano?
LA LEGGE ELETTORALE
Riguardo alla legge elettorale non voglio entrare nel merito,
televisione e giornali ci riempiono tutti i giorni di notizie relative ai
compromessi su composizione delle camere, abolizione del senato, preferenze no,
preferenze si e via dicendo. Ciò che vorrei sottolineare in proposito è che
innanzitutto la legge elettorale non è il fine bensì uno strumento. La
proporzionalità è il rispetto della democrazia e le preferenze sono una scelta
necessaria per il suo rispetto. Se poi qualcuno vuole una sola camera in sede
legislativa, un senato di eletti o non eletti, se un altro vuole le preferenze, se uno vuole la lista
uninominale ecc. ciò significa che manca il concetto di ciò che significa il
rispetto della democrazia garantito dalla volontà di fare il bene comune. Qui
si evince sempre più che gli accordi di partito fanno premio sulla linearità
democratica. Non si pensa alle garanzie dei ruoli, si parla di immunità
parlamentare intendendola invece come impunità penale procurata dai voti
ottenuti. Si parla di preferenze scambiandole per voto di scambio, si parla, in
caso di reintroduzione delle preferenze, di difficoltà future espresse da
Angelo Panebianco sul Corriere della Sera di Domenica 3/8, grazie alla nuova
legge anticorruzione della Severino, di mantenere un parlamento scevro da
avvisi di garanzia per connivenze mafiose ecc. Ma allora? di che cosa vogliamo
parlare? Confondiamo l’oggetto con il soggetto, il mezzo con il fine? Alla base
ci deve essere una rinnovata visione etica della politica e gli strumenti per
organizzarne le strutture sono molto semplici, bastano alcune regole condivise,
rappresentati non solo dalla correttezza di coloro che concorrono per dedicarsi
alla vita politica e amministrativa con il coinvolgimento responsabile del
partito nella scelta di questi uomini pena l’esclusione dalla corsa elettorale
ed il pagamento di penali in caso di corruzione o concussione anche non ancora
definitivamente accertata, ma pure dalla necessità di rispettare tutti i
raggruppamenti partitici in termini costituzionali tornando alla
proporzionalità effettiva per il rispetto delle minoranze, con un voto di
preferenza che sia garantito dalla visibilità e pubblicizzazione del programma
del singolo candidato e dal capo lista, sul quale fondare le coalizioni prima della
fase elettiva, con una presa di responsabilità sulla base di un codice etico
che contempli situazione personale, situazione patrimoniale ex ante e ex post,
sulla missione del mandato legata alla singola competenza vagliata nella lista
e soprattutto l’impossibilità di ricandidarsi per lo stesso mandato
parlamentare. In tal modo non solo i partiti dovranno scegliere di preparare i
propri candidati a ricoprire la carica, ma dovranno, essendo garanti, stare
attenti ai loro comportamenti e magari perché no, attuare una metodologia di
certificazione etica che il Comitato da 10 anni, instancabilmente propone anche
alla classe politico amministrativa ed i cui passi sono: 1) competenza
professionale; 2) conoscenza dei limiti etici della professione; 3) trasparenza;
4) censura sociale. Se si attuasse questa metodologia manifestata dalla presa
di coscienza in un codice etico e
controllata da un Comitato etico esterno non autoreferenziale, certo le cose
non cambierebbero subito…ma si potrà ipotizzare, a ragion veduta, seppur lentamente
una vera inversione di tendenza.
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