…..Vennero i carabinieri, il maresciallo nero di barba e di sonno.
L'apparire dei carabinieri squillò come allarme nel letargo dei viaggiatori: e
dietro al bigliettaio, dall'altro sportello che l'autista aveva lasciato
aperto, cominciarono a scendere. In apparente indolenza, voltandosi indietro
come a cercare la distanza giusta per ammirare i campanili, si allontanavano
verso i margini della piazza e, dopo un ultimo sguardo, svicolavano. Di quella
lenta raggera di fuga il maresciallo e i carabinieri non si accorgevano.
Intorno al morto stavano ora una cinquantina di persone, gli operai di un
cantiere-scuola ai quali non pareva vero di aver trovato un argomento cosí
grosso da trascinare nell'ozio delle otto ore. Il maresciallo ordinò ai
carabinieri di fare sgombrare la piazza e di far risalire i viaggiatori
sull'autobus: e i carabinieri cominciarono a spingere i curiosi verso le strade
che intorno alla piazza si aprivano, spingevano e chiedevano ai viaggiatori di
andare a riprendere il loro posto sull'autobus. Quando la piazza fu vuota,
vuoto era anche l'autobus; solo l'autista e il bigliettaio restavano.
- E che - domandò il maresciallo all'autista - non viaggiava nessuno
oggi?
- Qualcuno c'era - rispose l'autista con faccia smemorata.
- Qualcuno - disse il maresciallo - vuol dire quattro cinque sei
persone: io non ho mai visto questo autobus partire, che ci fosse un solo posto
vuoto.
- Non so - disse l'autista, tutto spremuto nello sforzo di ricordare -
non so: qualcuno, dico, cosí per dire; certo non erano cinque o sei, erano di
piú, forse l'autobus era pieno... Io non guardo mai la gente che c'è: mi infilo
al mio posto e via... Solo la strada guardo, mi pagano per guardare la
strada…..
Leonardo Sciascia: Il giorno della Civetta pag.1
Dire
che i fatti di Oppido Mamertina e di San Procopio siano sconvolgenti è come
dire che in estate fa caldo. Infatti ritengo che nessuno si senta veramente
colpito, anche se i mass media hanno messo un po’ più in rilievo del solito
l’accaduto. Anche se il Vescovo Milito ha assunto una posizione che dice
“drastica” promettendo energici provvedimenti, ma solo dopo l’analisi dei
fatti. Anche se il Sindaco di San Procopio afferma al telegiornale che “dopo i
fatti di Oppido Mamertina vi pare che si faceva l’inchino? San Procopio non si
inchina a nessuno!” non ci sono state reazioni veramente immediate ed incisive.
Ma perché? Come si spiega? Queste storie evidenziano nella loro emblematicità
la situazione dell’Italia. Ciò che è successo ad Oppido Mamertina, e a San Procopio,
succede tutti i giorni in qualsiasi posto ed in qualsiasi città o luogo che si
chiami Italia. Perché? Perché da noi esistono i cosiddetti “uomini di
rispetto”, vale a dire quelli a cui si deve qualcosa, ma non solo in termini materiali
come la riconoscenza per una raccomandazione o un sostegno fisico, ma anche per
la sola idea di “protezione” che suscitano: vale a dire che l’inchino si fa per
ricordare all’uomo di rispetto che in caso di bisogno…….può intervenire. Ecco
allora che l’inchino diviene naturale, come segno di rispetto da un lato e come
monito, a chi lo osserva dall’esterno, dall’altro. Quanto dico vale anche per
quelli che come il Comandante Schettino, hanno voluto fare un inchino che è
costato la vita a diverse persone. Non c’è posto per l’etica in siffatta
visione del rispetto. Quest’amara considerazione non deriva da una
generalizzazione, ma da qualcosa che ho vissuto, vivo e viviamo tutti i giorni
nelle nostre realtà anche quelle più piccole. Basta ricordare il detto “non si
muove foglia che dio non voglia” per spiegare la cultura mafiosa dell’inchino e
del “rispetto”, che attanaglia i nostri comportamenti. In fin dei conti anche
nei Promessi sposi, Renzo fa l’inchino davanti all’Azzeccagarbugli recandogli i
due capponi. Ma quello che vorrei qui richiamare non è la condanna della
criminalità mafiosa, che grazie a dio ancora è sentita dalla maggioranza.
Quello che vorrei condannare invece è la cultura mafiosa della necessità di
“protezione” che guida i nostri comportamenti nel momento che abbiamo una
necessità o un preciso interesse da soddisfare. Purtroppo non sempre si riesce
a far capire alle persone la differenza tra comportamento onesto e
comportamento mafioso, ma questo è normale perché non c’è nessuno che lo insegna.
Anche in politica si parla di “clientela” e non si parla di mafia che quando si
ha a che fare con fatti criminosi. In realtà si deve parlare di mafia ogni
qualvolta ciascuno di noi si trova a voler ottenere il proprio obiettivo con le
buone o con le cattive, volendosi far spalleggiare, anche quando ha pienamente
ragione perché non ha certezza del diritto, da….chi può….intervenire! Chissà
perché nel nostro Paese c’è l’idea che tutti abbiamo bisogno di un politico, di
un cardinale, o di un “mmammasantissima”! Alla base esiste sempre la prova
manifesta che c’è qualcuno in grado di manipolare cose, strutture, burocrazia,
se non anche situazioni familiari in tutto ciò che implica un atto di volontà
degli uomini. Io credo di poter dare una giusta interpretazione non solo perché
le mie origini calabresi mi hanno dato la possibilità di osservare e valutare i
diversi comportamenti dei miei conterranei e traslarli poi anche nei
comportamenti di altre persone che pur se appartenenti ad altri territori, manifestavano
i medesimi atteggiamenti; ma anche perché, oltre a presiedere il Comitato di
Promozione etica Onlus, la mia visione è frutto di studio e ricerche a supporto
di un corso che ho tenuto, per alcuni anni, nella Facoltà di Scienze Sociali in
Gregoriana, dal titolo “Lobby e controllo etico dei gruppi di pressione”. In
tale corso mi sono trovato di fronte alla necessità oggettiva di dover spiegare
a chi, provenendo da altri Paesi non capiva, come la criminalità organizzata,
da noi conosciuta sotto i nomi di Mafia,
N’drangheta, Sacra Corona Unita e Camorra, non fosse altro che degenerazione
criminosa di atteggiamenti culturali di gruppi di pressione esistenti in
qualsiasi Paese del mondo ed in qualsiasi insieme d’uomini. Anche se è di
difficile comprensione, deve essere chiaro a tutti che tale atteggiamento
aggregativo sta alla base di ogni democrazia e diviene condannabile solo nel
momento che adotta sistemi prevaricatori dei diritti degli altri. Quando i miei
allievi americani facevano finta di non capire, li mettevo davanti all’esempio
del Far west di casa loro, alla corsa all’oro, alle lotte tra allevatori e
coltivatori, a quella serie televisiva che quando ero bambino mi faceva
impazzire: I fratelli Cartwright che difendevano i propri interessi con le
pistole e…a buon diritto, anche adesso si continua a fare! Quando gli allievi
inglesi trovavano difficoltà a comprendere la maniera di trasformarsi della
cultura aggregativa in pericolosa lotta votata alla difesa di interessi faziosi
li mettevo di fronte alla creazione della massoneria inglese che non può
esimersi da pesanti responsabilità, in difesa dei propri interessi, che potrebbero
essere riscontrate nel colonialismo; nella protervia astensione dal processo di
unificazione europea (1810-12; 1940-41); nella difesa incondizionata del loro nazionalismo esasperato che ad essere
risvegliato in ogni inglese basta la parola d’ordine To save the nation! Per non parlare della repressione del popolo
irlandese; della crudeltà e dei massacri operati a danno di popolazioni
extraeuropee (India, Afghanistan, Kenya...); dell’imperialismo economico e del
sostegno in Europa all’egemonia USA per favorire gli interessi delle
multinazionali. Certo non ci si pensa, ma alla base ci sono sempre state aggregazioni
di interessi di chiaro stampo “mafioso” il cui intento criminoso è sempre stato
più o meno malcelato. La stessa cosa dicasi per gli allievi francesi e spagnoli i cui antenati in qualche modo
possono essere considerati i capostipiti della cultura mafiosa italiana dato
che il Regno delle due Sicilie, dove il fenomeno mafioso si è sviluppato nelle
configurazioni che conosciamo, era sotto il dominio prima dei francesi degli
Angioini (Vespri siciliani) e poi degli spagnoli (Aragonesi e Borboni). Allora?
Come spiegare questo fenomeno? Come risolvere il problema? Al primo quesito la risposta la si trova
nella Sollicitudo Rei Socialis ai punti 36 e 37, che riassumo nelle cosiddette
strutture di peccato legate ai due atteggiamenti: Brama di profitto e Sete di
potere. Questi due atteggiamenti che
sonnecchiano nella parte più profonda della componente animale dell’uomo, si
sprigionano in maniera incontrollabile facendoli risvegliare repentinamente
quando si finalizzano alla creazione di gruppi volti ad ottenere ciò che si
vuole: potere o ricchezze, nella certezza di averne il potere che le posizioni,
politiche, gerarchiche, religiose, finanziarie ecc. di alcuni degli
appartenenti garantiscono. Leggendo i giornali lo si può constatare
scientificamente. Questa certezza quindi si materializza di volta in volta, in
gruppi di pressione che possono essere classificati in tre modi a motivo della
loro finalità: confessionali, funzionali e criminali. Nei primi possiamo
trovare massonerie e gruppi religiosi come Opus Dei, Legionari di Cristo, Comunione
e Liberazione; i secondi sono molto ben rappresentati da partiti politici,
associazioni di categoria e sindacati; in quelli al terzo posto si annoverano
invece le mafie conosciute sotto il nome di Cosa nostra, N’drangheta, Sacra
Corona Unita e Camorra. Ma senza dilungarmi vorrei concludere sul processo che
genera questa realtà di unione, di interessi taciuti e di omertà. Il primo è
rappresentato dall’incapacità di giudicare. Ognuno si ritiene capace e di
esserne dotato a sufficienza, senza rendersi conto che la facoltà di cui la
nostra mente è dotata per discernere tra vero e falso e tra bene e male, ossia
la coscienza morale, non si acquisisce da soli, ma c’è bisogno che qualcuno la
insegni come esercizio e come processo che sin da bambini ciascuno deve fare.
Ecco la risposta al secondo quesito. Non basta soltanto l’apprendimento e la
conoscenza delle cose ci vuole anche l’insegnamento dei principi e delle virtù.
L’etica e non la repressione, l’insegnamento di Maestri e Parroci, veri e non
solo carabinieri e forze dell’ordine. Perché il processo in parola si sviluppa
proprio su questa falsa percezione che fa investire le famiglie per
l’educazione dei propri figli in scuole private, in palestre, piscine, scuole
calcio, corsi di nuoto ed in tutto ciò che serve ad apparire e ad affermarsi e
fare soldi. Accontentandosi per contro di non investire che una parte appena
marginale delle proprie energie e
risorse per una loro educazione, morale, civica, sociale e spirituale. A tale processo se ne aggiunge un altro che è
quello del “farsi gli affari propri” di saper tacere di saper fare silenzio. Un
silenzio maligno e pernicioso che nasce dalla paura, dall’interesse personale
oppure ancor peggio dalla “necessità” del quieto vivere, del non immischiarsi
nei fatti che non ci toccano direttamente coprendo così in maniera subdola e
non dichiaratamente soprusi, ingiustizie e vergogne. Questo processo di
formazione del pensiero si struttura proprio da bambini quando certi script
impongono di rimanere fermi, indecisi, di adattarsi, di non pensare, di essere
incapaci. Si ingenera così la formazione di un pensiero “handicappato”,
anomalo, incapace di formarsi in maniera critica e di uscire dalla propria testa
per confrontarsi con altre idee, altre posizioni. Si comincia a pensare in
maniera omologata, uniforme al pensiero di chi comanda e di chi ha il potere.
Il pensiero infatti si può classificare come: 1) pensiero pensante, in termini
virtuosi, perché rivolto alle tre progettualità essenziali dell’uomo sociale,
politica ed economica nel senso di strutture e aggregazioni di persone, di bene
comune e di giustizia sociale; 2) pensiero calcolante, perché rivolto
esclusivamente all’accaparramento di ricchezze in termini di proprio tornaconto
ed allo sfruttamento degli altri in termini di proprie finalità; 3) pensiero
dominante che può essere anche sinonimo di pensiero unico che sulla base di una
ideologia più o meno materializzata, imposta od accettata, obbliga tutti coloro
che partecipano al gruppo, per propria volontà, propri fini, o soltanto per
necessità, ad adeguarsi allo stesso pensiero
del capo o a quello di chi ha il potere ed agli stessi sistemi: da qui
nasce il muto consenso, che diviene, coesione di gruppo, pressione di
interessi, silenzio strisciante, omertà mafiosa….ecco come si genera la cultura
mafiosa dell’inchino.
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