Da
Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Il pizzo è una forma di estorsione
praticata da cosa nostra che
consiste nel pretendere il versamento di una percentuale o di una parte
dell'incasso, dei guadagni o di una quota fissa dei proventi, da parte di
esercenti di attività commerciali ed imprenditoriali, in cambio di una supposta
"protezione" (termine generale identificativo di tale tipo di estorsione)
dell'attività.
Essa è praticata dalle varie forme di crimine organizzato, identificata però con il termine
più generico di protezione.
Non avrei mai pensato di dover riflettere
su una situazione paradossale come quella che è venuta fuori oggi pubblicata sul Fatto quotidiano, della richiesta
certamente ”irrituale” a detta dell’Amministratore delegato richiedente, di una
retrocessione di proventi a favore della Mondadori, a mio avviso però fuori dalla logica del
mercato, anzi proprio da quella del libero mercato a cui oggi molti fanno
riferimento inneggiando al neoliberismo.
Ebbene cosa dire? Di fronte alla lettera
pubblicata dal Fatto Quotidiano, se non si tratta di una grossa burla, dobbiamo
essere fortemente preoccupati.
Le motivazioni consistono proprio nel fatto
che si sono ribaltati i riferimenti delle relazioni commerciali. Infatti tutti
sappiamo che normalmente vi è una prestazione a fronte di un corrispettivo,
oppure una fatturazione a fronte di un
pagamento dei prodotti ricevuti; qui invece siamo di fronte a che cosa? Come
possiamo classificare non solo nella sostanza ma anche contabilmente questa
“novità” che non può essere classificata come sconto commerciale in quanto è
successivo alla conclusione della transazione oltre che inaspettato. Non si può
classificare come incentivo in quanto è privo di contropartita. Se poi lo
classifichiamo come alcuni ritengono “obolo” esce dal contesto commerciale per
classificarsi come? In che tipo di configurazione economica? A mio avviso da
quanto ho appreso dalla lettera inviata ai propri fornitori, non mi sembra di poter ravvisare contropartite
economiche alla base della richiesta. L’A.D. parla di “grave crisi economica”
di “profonda mutazione dei modelli” come se egli fosse estraneo alla cosa. Un
manager è tale se sa anticipare le realtà del mercato oppure sa gestirle in
maniera strategica ai fini dell’affermazione della propria impresa. Qui appare
evidente che si sta chiudendo la stalla dopo che i buoi sono scappati. Sappiamo
tutti infatti che l’economia ed il
mercato hanno andamenti sinusoidali, ma grazie a Dio ci sono anche numerose e
diverse modalità per riequilibrare le situazioni di difficoltà, in special modo
quando si tratta di una grande impresa come la Mondadori. Una grande azienda
non può chiedere l’elemosina, specialmente se come nella missiva afferma che
“vogliamo nel giro di due anni essere in grado di operare sul mercato con
modalità sostanzialmente diverse rispetto ad oggi”; essa deve manifestare le
proprie intenzioni manageriali, deve avere le idee chiare ed evidenziare anche
la strategia commerciale che intende portare avanti. Invece nulla di tutto
ciò. Anzi il recupero di redditività
proveniente dalla decisione di “generare le risorse necessarie per lo sviluppo
e l’innovazione” non è a carico dell’Azienda bensì dei propri partner a cui si richiede di partecipare al piano di
“sacrifici solidali” non in una prospettiva futura, più o meno incerta che
preveda minori costi o aumenti di produttivi a parità di costi a carico della
Mondadori, al contrario, una prospettiva
pregressa, quantificata “nello sforzo a riconoscerci un rebate alla fine di
quest’anno di un importo pari al 5% del fatturato che realizzerete con il
Gruppo Mondadori nell’esercizio 2013”. Per chiunque legga con attenzione la
lettera, appare evidente che questa
richiesta così formulata contiene da un lato già la quantificazione precisa,
sin da ora, da parte della Società dell’importo necessario per coprire i propri
“buchi” : il calcolo è presto fatto, basta addizionare i diversi fatturati di
partner e fornitori a cui applicare il 5% da retrocedere a fine anno. E’ anche
ovvio che tutto ciò che sarà commissionato dalla fine di agosto alla fine de l
2013, sarà tutto “grasso che cola”.
Dall’altra c’è il problema che il
tono della missiva apparirebbe quasi intimidatorio per coloro che non volessero
aderire. Infatti , nonostante la possibile criticità del momento ciascuno è
chiamato “perentoriamente” a fare la sua parte anche perché in maniera
esplicita nel corpo centrale della lettera viene messo in evidenza che “stiamo
perciò intervenendo sull’organizzazione, sulla struttura dei costi interni ed
esterni e sulla selezione rigorosa dei nostri partner”. Rigorosa in base a che
cosa? Qualcuno potrebbe interpretare tale rigore legato alla risposta. Infatti
tale frase sembra assumere tutta la sua gravità al richiamo indicato nella
chiusura “Nella prossima settimana sarete contattati dal Vostro referente nel
Gruppo Mondadori per raccogliere la Vostra decisione ed eventualmente chiarire
le modalità amministrative”.
La configurazione della realtà, i cui
limiti non appaiono di facile indicazione, fa riflettere… Allora, se non si
tratta di un prestito, non si tratta di una richiesta di sconti, non si tratta
di una azione commerciale…..tale richiesta di obolo “liberamente” effettuata,
richiama alla mente quelle organizzazioni che per permettere di lavorare
impongono la propria protezione a fronte di un “obolo” che nel loro gergo si
chiama “pizzo”….qui si potrebbe configurare un “pizzo relazionale”, vale a dire
che in un momento in cui l’organizzazione più forte lo ritiene opportuno, a
protezione del mantenimento della relazione, impone al più debole in maniera
autonoma ed incondizionata il pagamento di un obolo, non discrezionale, ma
precisamente indicato e rilevabile….il pizzo per l’appunto. Il problema dei
fornitori e partners sarà di trovare la maniera per rilevare contabilmente il
rebate: una insussistenza attiva o una sopravvenienza passiva….oppure un premio
assicurativo?
IL PROBLEMA ETICO
Non avendo altre parole da spendere, credo
che sia utile dire a conclusione che ci sono molti modi di coprire il “buco”
nel pieno rispetto delle consuetudini commerciali e di mercato. Viene spontaneo
domandarsi infatti perché non sia stato richiesto un prestito? Perché tale
importo non preveda restituzione futura? Perché tale 5% di fatturato non possa
tramutarsi in obbligazioni nella loro variegata caratteristica che va dallo
zero-cupon alle convertibili? Perché non si sia richiesto di porre questo 5%
come garanzia fidejussoria, da remunerare in maggiori commesse, di un prestito
bancario invece del rebate tout court? A queste domande se ne aggiungerebbero
altre che è inutile continuare ad elencare, ciò che invece credo sia importante
porre in rilievo è che la mancanza di etica non sta nella richiesta, neanche
nell’importo e nemmeno nella forma, la mancanza di etica si configura in tutta
la sua gravità nella mancanza di “negoziazione”. Nell’imposizione malcelata di
una condizione il cui mancato rispetto lascia presagire “ritorsioni”
commerciali. L’etica è composta di trasparenza e di ricerca del bene comune e
non del proprio interesse a discapito del più debole. Infatti se la Società in
tutta trasparenza avesse anche richiesto un aiuto, ma con contropartita
contrattata in maniera equa, sarebbe stato etico qualora avesse offerto solo
come contropartita che quel 5% sarebbe stato compensato da maggiori ordini per
lo stesso importo non appena raggiunto l’equilibrio finanziario. Il mercato
oltretutto avrebbe ampiamente giustificato la richiesta. Con questa conclusione
vorrei sottolineare ancora una volta l’importanza della Certificazione etica
proposta dal Comitato di Promozione etica onlus con il Progetto di legge n.
2933
http://www.camera.it/_dati/leg16/lavori/schedela/apriTelecomando_wai.asp?codice=16PDL0034850
mai discusso: se tale legge fosse stata discussa ed attuata probabilmente ci
sarebbero stati spazi anche più ampi per una tale richiesta di sostegno, magari
formulata in maniera diversa con il sostegno di un ente in grado si supportare
la credibilità etica del richiedente in quanto impegnato nei quattro punti
manifesti della certificazione 1) competenza professionale; 2) conoscenza dei
limiti etici della professione; 3) trasparenza; 4) censura sociale.
Nessun commento:
Posta un commento