“…Si può capire che una parte immensa d’arte e di tecnica è percorsa dalla politica e incorporata nella politica senza confondere quest’ultima con pura tecnica e così snaturarla. Riman fermo che per sé il campo politico e sociale è un campo non soltanto tecnico, ma prima ed essenzialmente umano, cioè etico e morale. Le opere d’arte, che l’uomo vi compie, sono esse stesse intrinsecamente umane e morali. «Le virtù politiche e sociali hanno un carattere essenzialmente morale…..La vita sociale, per natura, vuol essere tessuta seguendo le stesse leggi di integrità, di giustizia e di amore del prossimo, che regolano l’edificazione morale della nostra personalità. Secondo che si applicano alla persona o alla società, queste leggi comportano sicuramente modalità diverse: la loro sostanza rimane la stessa e il loro rigore egualmente»3. J. Maritain (Umanesimo integrale, ed. Borla pag. 240-241).
Le elezioni regionali siciliane, con tutte le polemiche sorte tra i vari Crocetta, Micciché, Musumeci e Cancelleri ci ricordano che tra le domande più ricorrenti che ci sentiamo sempre più insistentemente porre da amici e conoscenti è: “per chi dobbiamo votare?” O ancora: “c’è tra i partiti attualmente in corsa per le prossime elezioni politiche chirappresenta il tuo pensiero politico?” ed infine: “ma secondo te Grillo esprime un’idea politica?”.
Rispondere non è facile. Vediamo perché. Se superficialmente siamo abituati a fare di tutta l’erba un fascio, ciò non è possibile quando sentiamo viva la gravità della situazione. Tutti sappiamo che la democrazia si fonda sulla scelta politica e responsabile di ciascun elettore finalizzata alla costruzione del bene comune. Tutti sappiamo che la democrazia decide a maggioranza e quindi sappiamo pure che basta anche la differenza di un solo voto per concretizzare situazioni a volte considerate improbabili. Allora? Quali sono gli elementi che dobbiamo considerare in questo scenario italiano così confuso, indeciso e frastagliato? Secondo me occorre fare una riflessione profonda sul tessuto politico, o sedicente politico, che tiene insieme le fila del nostro stato. Non voglio prendere posizione né a favore e né contro nessuno, voglio soltanto sottolineare l’importanza della visione etica che deve informare la politica come espressione più alta e tangibile dell’etica. Ma non solo dal lato di chi viene eletto, ma anche e soprattutto da parte dell’elettore che va a votare. Anzi la responsabilità di quest’ultimo è ancora più grave perché mentre il primo non ha vincolo di mandato imperativo, il secondo nello scegliere chi lo rappresenta gli delega anche il potere di prendere decisioni per suo conto anche contrarie alle proprie. Questa responsabilità perciò è squisitamente personale prima che politica o sociale in quanto misura la propria coscienza unitamente alla conoscenza della realtà contingente configurata in termini di problemi e soluzioni che qualcun altro al suo posto, in virtù del voto ricevuto è chiamato ad esaminare, decidere e applicare. Ecco dunque la sintesi delle responsabilità in seno alle due volontà dell’elettore e dell’eletto che dovrebbero collimare. Ma perché non sempre questo avviene? La risposta va ricercata nella culturasociale che configura i gruppi, prima, e i partiti politici poi. I gruppi perché rappresentano il luogo in cui si apprende ad accettare una leadership, a condividere un’idea anche se antipatica, si apprende ad accettare il volere della maggioranza, si impara il metodo di muoversi in sintonia tra il bisogno di sicurezza e la rinuncia ad una parte della propria libertà. Dai gruppi, in sede socio-operativa, si passa ai partiti politici, dove tale bisogno di sicurezza diventa ancora più concreto perché prende le forme più vicine ai bisogni delle realtà della vita, come quello del lavoro, della soluzione di un problema burocratico, della risoluzione di un problema fiscale, amministrativo o ancora più futile,della partecipazione a determinate manifestazioni o il semplice ottenimento di un biglietto per una gara agonistica di un certo livello. Riguardo alla cessione di libertà questa diviene automatica in quanto si realizza nel momento che si accetta il cosiddetto voto di scambio oppure l’inserimento in un posto di lavoro. Queste sono le direttrici che muovono i meccanismi della corruzione, della concussione e della violenza a volte certamente più morale che fisica, ma sempre e comunque di violenza si tratta. Qualcuno potrebbe domandarsi ma l’etica dov’è? Ecco questa è una domanda che tutti dovremmo porci, anzi ancora meglio, che dovremmo imparare a formulare con coscienza prima a noi stessi e poi agli altri. Dovremmo, specialmente di fronte a certe scelte politiche porci tre domande importanti: 1) è un comportamento legale? 2) come si confronta con la realtà contingente?; 3) come si confronta con la mia coscienza? Ecco allora che la nostra istanza umana, di carattere etico, si scontra con un conflitto di interessi manifesti o nascosti, con il quale certe prassi ci hanno insegnato a convivere. La legalità può essere ostaggio di leggi ad personam; la realtà contingente può indicare anche linee di compromesso generalizzate. La coscienza però non accetta compromessi. No. La coscienza anche se non completamente avvertita sa bene che c’è qualcosa che non va e il rimorso è un tarlo che corrode l’equilibrio interiore dell’uomo nel tempo se non le si vuole dare ascolto e riconoscere il male che si compie. La coscienza sa bene quando e perché a volte non facciamo il nostro dovere di cittadini in termini di fiscalità, in termini di infrazioni nel traffico, di piccoli abusi d’ufficio ecc. Il problema non è di poco conto, perché questa assenza di etica non solo si replica in maniera diffusa nella società, ma anche perché assume una veste di normalità e peggio ancora assume quella veste di sindrome di onnipotenza quando a compiere un’azione non consona è un politico eletto dal popolo. Si costruiscono le cosiddette strutture di peccato che ancora oggi dopo tangentopoli e più di tangentopoli ci fanno gridare allo scandalo.
Come cambiare questo andazzo? Alcuni ritengono che basti cambiare governo, altri ritengono che non cambierà nulla anche votando il partito all’opposizione perché alla fine “sono tutti eguali”. Che fare dunque? Io credo che questo che stiamo passando sia un momento di transizione e anche se piuttosto oscuro, deve passare. E’ un momento in cui si sta realizzando la transizione di un epoca ad un’altra, da un sistema elementare ad un sistema complesso. Chiarito questo contesto possiamo ben comprendere che pur se i partiti ed i politici cercano di differenziarsi tra di loro in realtà hanno una origine comune dalla quale non possono staccarsi ed è la classe di persone che li ha eletti. Coloro che hanno esercitato il voto lo hanno fatto senza ricercare in loro o nel partito una filosofia politica e quelli che sono stati eletti mancano di una filosofia politica. La classe dirigente del paese rappresenta dunque lo spaccato esatto della classe sociale che le ha dato il potere. Ricordiamo quello che dice Maritain: senza filosofia politica non ci può essere politica. Ma che significa filosofia politica e come si distingue? Per chiarire a tutti posso riassumere il concetto dicendo che è la filosofia orientata alla critica ed alla progettualità del bene. Essa si differenzia dalla filosofia della scienza orientata invece a conoscere bene in maniere completa e approfondita il fatto socio-politico-economico nonché dall’etica che si rivolge per contro alla conoscenza del bene nelle sue dimensioni. Ecco la verità che abbiamo davanti. Pur se è difficile ammetterlo, dobbiamo riconoscere che andiamo a votare senza avere una filosofia politica e quindi l’astensionismo è di prassi. I partiti più in vista che dovremmo votare evidenziano che la filosofia politica che li sottende ha un’anima completamente diversa da quello che ci si dovrebbe aspettare almeno dai pretesi schieramentidenominati di destra o di sinistra sempre più mediati dalla parola centro. In questo contesto se andiamo a votare per il PD, qual è la filosofia che ci guida e che ci aspettiamo che venga attuata? Non saprei dire, ma i dati di fatto mi dimostrano che non c’è filosofia politica nel PD semplicemente perché ci sono anime talmente distanti tra loro che non è possibile almeno ora una sintesi progettuale plausibile. La filosofia del PD è la speranza di poter dividere una torta che i suoi dirigenti vedono in prospettiva e per la quale i vari componenti della compagine politica cominciano a litigare per avere il pezzo migliore o più grande cercando di dimostrare, in un ambito di narcisismo politico, chi è il più bravo, il migliore, il più gettonato, dividendosi fino al punto di perdere le elezioni. In Sicilia anche il PDL recrimina di aver fatto questa fine. Altrettanto possiamo dire per il PDL. Non c’è filosofia politica nel PDL perché a differenza del PD i suoi dirigenti vedono la torta da distribuire con un intento egoistico di spartizione e di arricchimento individuale in una sfera di esasperato liberismo, come inconscia maniera di avvicinarsi all’immagine del capo indiscusso del partito, anche se attualmente sfuggente. L’IDV non rappresenta alcuna filosofia politica, se non quella di avere il potere per scagliarsi contro Berlusconi. I suoi programmi non sembrano in grado di soddisfare le esigenze degli elettori perché la filosofia politica è totalmente inesistente e la prassi dei componenti è altamente trasformista, anche a discapito di Antonio Di Pietro la cui filosofia non è certo politica bensì poliziesca, populista e giustizialista. Anche l’UDC, non sembra esprimere alcuna filosofia politica perché l’elemento fondante della sua forza è l’effetto annuncio e la scoperta dell’acqua calda di valori che non trovano molta rispondenza tra i componenti del partito stesso. Il FLI credo che non possa esprimere una filosofia politica proprio perché non esprime a livello di leadership i valori di cui parla, e che poi non riesce ad attuare per inconsistenza di compagine. La filosofia che il FLImanifesta non è politica ma più esattamente dell’eloquio politico o meglio delle buone e accattivanti intenzioni. Terminiamo con Grillo. Il movimento Cinque stelle non può esprimere una filosofia politica perché manca proprio del senso della politica. La filosofia che pratica infatti, a parte l’espressione fortemente distruttiva, è una filosofia di protesta del parvenu, atteggiamento che permette a tutti di sentirsi in grado di sparare a zero sulle istituzioni e nello stesso tempo di candidarsi senza avere le competenze per potersi prendere le pretese responsabilità politiche rivenienti dal grande consenso elettorale come è avvenuto in Sicilia. Anche se dobbiamo riconoscere che Grillo dopo le elezioni siciliane, abbassando i toni ha espresso un’aperta richiesta d’aiuto in termini di competenza politica che ovviamente manca a lui come Comico, ma anche al Movimento che non prevede una formazione politica. Infine anche il partito dell’antipolitica degli astensionisti manca di filosofia politica. La filosofia che esprime è quella dell’astensione dalle urne e quindi diciamo che è la filosofia dello struzzo. La filosofia orientata non alla critica ed alla progettualità, bensì rivolta alla fuga dalle proprie responsabilità ed alla negazione della realtà storica in cui si vive, una filosofia orientata alla manipolazione del nulla, fatto solo di parole, lamentele e pseudo indignazione. Con questi personaggi e questi scenari come formare una coscienza del voto?
Io ancora me lo sto domandando. E non ho una risposta. L’unica cosa che mi viene in mente è che dobbiamo credere alla capacità di ciascuno di noi di incidere sulla vita politica, con il proprio voto e con i propri comportamenti. Disperare non ha senso; non andare a votare non ha senso; continuare a lamentarsi non ha senso. Che possiamo fare allora? Dobbiamo fare in modo che si cambi la classe politica attraverso l’entrata di volti nuovi: ciascun segretario di partito deve presentare non solo il proprio programma, ma anche la sua squadra formata da persone giovani e competenti. Devono dimostrare di aver frequentato una scuola politica a prescindere dal partito. Di aver una coscienza ed un profilo etico profondamente acquisiti. La politica non è più una cosa alla portata di tutti, è un sistema molto complesso all’interno del quale se ci si vuole muovere in funzione del bene comune deve essere richiesta una classe competente e giovane formata nell’etica dei comportamenti. I segretari devono presentare la loro squadra di giovani, di nuove leve, e volti nuovi, che siano in grado di dimostrare che. un a volta messi nella stanza dei bottoni sappiano condurre la macchina politica e amministrativa del Paese nella prospettiva di una rinascita vera anche in termini europei. Che sia vettore di una filosofia politica rivolta al bene comune. Questa coscienza etica ci porterà ad esprimere un voto responsabile, per l’elezione di un uomo politico altrettanto responsabile nei confronti delle aspettative di chi in buona fede lo ha eletto. Allora non demonizziamo Grillo, ma mettiamolo davanti alle sue responsabilità. A Renzi chiediamogli con il Poeta “chi furo li par tui?” e imponiamogli di non presentare programmi sulla carta, ma volti nuovi ed eticamente formati, che si impegnino ad attuarli con competenza. A Bersani chiediamo di fare un passo indietro proponendo lui una rosa di giovani come descritto da cui trarre nuovo segretario che si presenti alle primarie con una idea rinnovata di fare politica. Il paradigma è semplice: competenza, conoscenza dei limiti etici della politica, trasparenza e censura sociale. Insomma mancano ancora sei mesi circa alle elezioni e quindi diamoci da fare perché le idee camminano sulle gambe degli uomini e se gli uomini sanno promuoverle le idee cambiano il mondo, altrimenti rimangono in un cassetto e gli uomini continuano a compiangersi e lamentarsi.
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