“La presente
trattazione sulle “Operazioni in cambi” si basa sulla convinzione che il
principio informatore della materia deve essere la conoscenza della medesima per il migliore espletamento
delle pratiche commerciali e finanziarie da parte di cambisti ed operatori economici, e non deve essere
invece, come purtroppo largamente acquisito, l’intento di mera
speculazione! Quindi la raccomandazione
primaria che si fa a coloro che si accostano per la prima volta alla materia è
che il mercato dei cambi va considerato come un’attività inquadrata in un vasto
intreccio di norme valutarie nazionali ed internazionali, dove nulla è lasciato
al caso e la cui operatività, oltre ad essere inserita in tali norme, è anche
salvaguardata da etiche comportamentali di tutti coloro che vi partecipano…..”
dalla Prefazione di: Romeo Ciminello, “Le operazioni in cambi” Buffetti
editore, Roma Febbraio, 1984.
Quando
scrivevo questa frase della prefazione, sul manuale su cui si sono preparate
per un quindicennio almeno due generazioni di cambisti italiani e cioè dal 1983
fino al 1998 che sono sicuro, se non hanno nella propria biblioteca una
versione originale, ne hanno almeno una copia fotostatica affettuosamente
conservata, non immaginavo minimamente che, dopo trent’anni, saremmo giunti a
questa situazione di eurocaos. Già
allora sottolineavo due necessità, la prima concernente la conoscenza della
materia e la seconda, rafforzativa della prima, rappresentata dalle etiche
comportamentali dei partecipanti. La materia dei cambi e la disciplina bancaria
e monetaria mi hanno sempre appassionato perché amando cimentarmi con la
complessità dei sistemi, i cambi rappresentavano un universo sistematico
all’interno del quale era sfidante, per me, penetrarvi per capire e svelarne i meccanismi. Non per
niente mi specializzai poi in Discipline bancarie con una tesi sul Sistema
monetario internazionale. Oggi dopo tanto tempo, riflettendo sulle
considerazioni che vorrei proporvi in questo post, ho scorso sommariamente il
mio libro e ho rivisto come in una carrellata cinematografica, in quello che
vorrei dirvi, le stesse motivazioni che mi spinsero a scrivere quel manuale: la
necessità di conoscenza vera dei cambi e del mondo monetario. Si allora come
oggi, vedo che la maggior parte delle persone che si occupano di economia,
politica economica, di realtà bancaria e monetaria, come d’altronde succede in
molte altre discipline, conoscono e affrontano i problemi solo in minima parte
e pertanto non sono in grado di creare intorno a sé quel supporto di conoscenza necessario su cui
far generare o prendere le decisioni più adeguate, che nel nostro caso, sono la
salvaguardia di quel bene d’ordine che chiamiamo Euro o meglio Unione Europea. Questa
ovviamente, è una mia convinzione che deriva dall’osservazione di una realtà in
cui vedo coinvolti economisti, studiosi, giornalisti, politici, professionisti,
bancari ecc. e non solo italiani, ma anche operanti a diversi livelli in Stati,
Enti ed Organizzazioni internazionali. La situazione pertanto possiamo dire che
è generalizzata, anzi globalizzata e purtroppo, la testimonianza che ciò che
dico è vero, si riscontra nel fatto che siamo in una fase della nostra storia
in cui, voluta o no, regna una grande confusione derivante proprio dalla
mancanza di conoscenza dei fatti. Come diceva B.J. Lonergan in una sua lezione:
“..la conoscenza dei fatti è una cosa e la comprensione dei fatti conosciuti è
un’altra” (Comprendere e essere, ed. Città Nuova, Roma 1993) ed è il
presupposto che mi ha spinto e mi spinge tuttora alla ricerca di quella verità
che pur se giudicata soggettivamente scaturisce però dalla comprensione
effettiva dei fatti conosciuti. Allora senza andare oltre perché credo che
chiunque legga i miei post abbia ben capito che la finalità etica dei miei
discorsi sta proprio nella promozione della conoscenza, anzi della conoscenza
del bene nelle sue tre categorie di bene d’appetito, bene d’ordine e bene valore. Vado subito al nocciolo della questione: quali potrebbero essere i
probabili scenari futuri, conseguenza logica delle decisioni europee dei politici…..professori….giudici….funzionari…..e…professionisti di turno su cui
i mercati tesseranno le loro aspettative speculative?
Prima di rispondere però, vorrei che tutti
prendessimo atto che Mario Draghi sta
rivelandosi come il più lungimirante dei banchieri europei finora in azione,
non soltanto per le sue capacità tecniche quanto più per le sue doti di
intellezione nei meandri della politica monetaria di una Europa senza moneta.
Si dico bene: senza moneta, perché l’euro non è la moneta europea, ma più
verosimilmente una unità di conto, di cui si serve l’UE, la cui natura
monetaria è ancora imperfetta, così com’è imperfetto il suo valore intrinseco.
Infatti tutti sanno che la moneta deriva
o da un legame ad “un contenuto aureo” oppure , in regime di corso forzoso, da
un Governo che la crea secondo i propri
bisogni interni ed internazionali. Niente di tutto ciò per l’Euro. Tornando a
Mario Draghi dobbiamo sottolineare che persino Angela Merkel ne ha riconosciuto
la grande professionalità al punto di porsi contro manifeste prese di posizione
di suoi connazionali, uno dei quali è proprio Jens Weidmann, presidente della
Bundesbank, suo ex consulente, che continua a sparare a zero contro Draghi riportato
anche come “disturbatore delle quiete” e “fondamentalista” mentre lo Spiegel
vede la Bundesbank come unica posizionata contro il resto del mondo e Alexander
Dobrintdt definisce Mario Draghi “un
falsario di monete” (cfr. Corriere della Sera del 28/8/2012 pag. 8 “L’affondo
di Weidmann contro Draghi”. A Mario
Draghi va tutto il mio plauso e di tutti quelli che, a mio avviso hanno chiari
i termini in cui si muove la politica monetaria ai fini del bene comune. Le sue
mosse infatti, come ho più volte sottolineato sono state di una finezza tecnica
e di un tempismo dosatissimo, degne di un intelligente ed astuto stratega che
al di là delle prese di posizione dei suoi generali, sa qual è il fine della
propria battaglia e il punto di arrivo della propria azione. Ciò che più mi preoccupa
invece è l’incompetenza nonché la mancanza di visione politica manifestata dai politici euroscettici tedeschi, unitamente
alla posizione quasi ai limiti della competenza professionale, presa dal
Presidente della Bundesbank, che a mio avviso potrebbe essere tacciato di
“falso ideologico”. Infatti se ai politici è permesso dire ciò che vogliono in
base agli obiettivi politici che possono anche “non avere senso” o essere
“strumentali” a finalità elettive, ciò che non è ammissibile è la posizione di
un banchiere centrale che come presidente della Bundesbank non può
assolutamente considerarsi “incompetente” quindi la sua posizione deve essere
giudicata, da chiunque “mastichi” di politica monetaria, come asservita a uno scopo.
Ma andiamo per gradi affinché tutti possano comprendere. La BCE
ha il mandato di mantenere la stabilità dei prezzi e pertanto Draghi è
abilitato ad andare sul mercato, in maniera autonoma e senza bisogno di
“permessi” attraverso il sistema bancario per mantenere detto equilibrio: anche
i titoli del debito sovrano si esprimono con un prezzo. Ben sa Herr Jens
Weidmann che tale prezzo non è frutto espresso da un valore reale, bensì dal
gioco della domanda e dell’offerta e pertanto per tenerlo in equilibrio c’è
bisogno di un intervento calmieratore della speculazione da parte dell’Ente
preposto a tale servizio: la BCE. Inoltre sfatiamo subito il problema dei costi
che devono sopportare i tedeschi per causa nostra. Non diciamo stupidaggini.
Essi contribuiscono come tutti i proporzione e poi pur se è vero che le
rispettive banche centrali dovranno fornire moneta e questa viene accumulata
con manovre impositive, ciò non significa però che la sottoscrizione di debito
sovrano sia senza remunerazione, anzi la BCE andando sul mercato secondario in
maniera diretta farebbe anche dei buoni profitti comprando a prezzi stracciati,
con uno sconto del 15-20% ciò che ha un valore facciale di 100. E il Presidente
della Buba sa bene che l’Euro è irreversibile e quindi non capisco a che gioco
stia giocando, se non a far si che la volatilità dei mercati provocata dalle
sue parole, permetta a qualcuna delle sue banche di guadagnare in termini
speculativi. Mi piacerebbe far notare a questo solerte Presidente che invece di
occuparsi di ciò che dovrebbe fare la BCE, dovrebbe forse dedicarsi ad una
maggiore vigilanza sul proprio sistema bancario dato che è su tutti i giornali
che la Deutsche bank e altre banche tedesche sono quelle che, in Europa, hanno
“in pancia” la maggior quantità di titoli tossici nonché il maggior livello di
“leva” tra le banche europee. Non si riesce a capire inoltre, il motivo per cui
la Bundesbank sia contraria ad una vigilanza centralizzata, dell’intero sistema
bancario europeo, in capo alla BCE. La storia ce ne saprà dare conto.
Il primo scenario che chiamerei oltre che etico anche il più sensato vede la
BCE che viene fatta operare, attraverso la riforma dei trattati, come banca
centrale effettiva senza bisogno di dare licenze bancarie a fondi vari.
Comunque a prescindere dalle tecnicalità, scelte, MES, EFSF, e varie modalità
di Fondi Salva stati, c’è una linearità operativa per cui l’euro comincerà a stabilizzarsi sulla
base di una presa di posizione non “antispread” come impropriamente
stigmatizzato dai giornali, bensì “antispeculazione” con il sistema che ho
indicato nel precedente post, che è ben altra cosa. Tale posizione che
assumerebbe la BCE sarebbe supportata dai diversi Governi con la riforma e stipula
di accordi “comunitari” per la stabilizzazione e lo sviluppo dell’UE e non
mirati alla “debacle” “alla fuoriuscita” od al “default” di uno o più stati
dell’UE. Sicché oltre a dare i tempi giusti di rientro agli stati che
devono riequilibrare i propri conti, ci
saranno ulteriori riforme dei trattati, sia quelli politici, che monetari e
soprattutto fiscali. In questo scenario avendo una Banca centrale che si
occupa, in maniera manifestamente legittimata da tutti i partners, della
propria moneta ed implicitamente della credibilità del proprio governo,
l’Unione può mettere mano finalmente in maniera concreta all’unione politica,
economica e fiscale dell’Europa. Vale a dire che l’armonizzazione fiscale terrà
conto delle necessità di sviluppo dell’intera Unione basata sul confronto
politico determinato dalla rappresentatività dei popoli e dei territori. Si
calcolerà un comune euro-debito garantito da Titoli UE; si giungerà ad un
sistema bancario europeo con una vigilanza comune della BCE; ci sarà una comune
politica dei redditi, nonché una politica estera unificata. La gabbia del voto all’unanimità dovrà essere riservata
soltanto alle impostazioni o variazioni di un impianto costituzionale europeo
unanimemente condiviso anche se non ancora definito. Tutte le altre decisioni
dovranno avere un carattere di maggioranza qualificata in base a coalizioni che
tengano conto di tre elementi precisi: a) la consistenza dei popoli; b)
l’estensione territoriale; c) il contributo di ciascun Paese al PIL dell’UE.
Tale base permetterà intanto di cominciare a stabilire il profilo ed i poteri
di chi deve operare in Europa e pertanto si potrà cominciare a fare una netta
distinzione tra i Paesi UE la cui moneta è l’Euro e la cui politica economica
finanziaria, dei redditi e fiscale è unificata e Paesi come il Regno Unito, la
Svezia, la Danimarca e la Norvegia che non appartenendo all’UE si
trasformerebbero in partners privilegiati, ma senza avere le stesse prerogative
dei Paesi dell’Unione. Lo step successivo sarebbe quello della creazione di uno
stato democratico in cui vige la divisione dei poteri: legislativo, esecutivo e
giurisdizionale. Si disegnerebbe con ciò una realtà di natura pienamente
politica i cui territori sarebbero suddivisi in regioni amministrative, enti
autarchici territoriali con pieni poteri
di governo locale. Questo è lo
scenario che ritengo etico, in cui la salvaguardia dell’Euro prelude alla
costruzione di una vera Unione Europea che non sia più basata sulla libera
concorrenza, bensì sulla visione politica di popoli che unendosi in visioni di
sviluppo comune si autodeterminano in maniera democratica.
Il secondo scenario, auspicato da alcuni, ma, pur se ne parlo, per me
improbabile è quello che vede la
Bce sprovvista dei propri poteri e quindi nell’impossibilità
di presiedere e governare la politica
monetaria a causa dei cosiddetti Falchi: Tedeschi, Olandesi e Finlandesi. In
tale scenario poiché la rigidità delle posizioni non permette un miglioramento
della situazione, si arriverebbe ad un accordo per un male minore: dividere
l’Unione Monetaria in due velocità. A
euro at two speeds (Cfr. www.oecdobserver.org)
A mio giudizio l’autore dell’articolo citato, affronta l’argomento in maniera
molto superficiale, parla del fenomeno come se fosse una soluzione semplice. Comunque non è il solo
perché anche altre persone come l’economista americano Allan Meltzer,
ex membro – per due volte – del consiglio economico della Casa Bianca che ha
dichiarato: “La moneta unica potrà sopravvivere solo se si divide la zona
euro”, ed altre che ho avuto modo di
sentire ne parlano alla stessa maniera basta andare su internet. Ciò che mi stupisce
è che anche eminenti professori, di cui non cito il nome per rispetto, sono
andati a Ballarò per parlarne e se non erro di “Euro Plus” dandolo quasi per
scontato. Lo scenario sarebbe il seguente: innanzitutto si creerebbero due
monete euro correlate tra loro da un rapporto di cambio e gestite dalla
medesima BCE. L’euro debole che chiamiamo “D” varrebbe il 70% dell’euro forte
che chiameremo “F”. Ciò significa che improvvisamente in una sola notte ci
sarebbe una svalutazione per i Paesi PIIGS del 30% rispetto a Germania,
Francia, Olanda, Finlandia, Benelux e Austria. I debiti dei Paesi dell’euro “D”
sarebbero ripagati con valuta svalutata del 30%, ma tali titoli non verrebbero
più accettati dai Paesi ad euro “F” e quindi occorreranno nuove emissioni di titoli indicizzati denominati in euro “D”.
Tuttavia l’indicizzazione non avrebbe senso in quanto l’euro debole “D” avrebbe
già subito una svalutazione talmente elevata che nuove emissioni si
collocherebbero soltanto sul mercato interno dei PIIGS dovuto al netto rifiuto
dell’estero rappresentato dai Paesi dell’euro “F” che nel frattempo si
disferebbero anche con notevoli perdite del residuo debito sovrano dei PIIGS
rimasto nei loro portafogli. L’afflusso di valuta però genererebbe inflazione
anche nei Paesi virtuosi dell’euro “F”. Questo quadro a prima vista, potrebbe sembrare
veritiero e plausibile, ma credetemi non lo è. Chi lo propone infatti pare non tenga
conto del fatto che il rapporto di cambio tra i due euro ancorché fisso non
potrebbe reggere nel tempo perché la speculazione continuerebbe a vendere allo
scoperto euro “D” facendo swap in cambi con euro “F”, vale a dire che lo
speculatore si indebiterebbe in euro forte pagando un interesse minimo e lo
scambierebbe in euro debole investendolo in titoli di debito il cui
differenziale di tasso di interesse sarebbe almeno pari all’inflazione attesa
più una percentuale di premio al rischio che lo renda appetibile in termini
reali. Nel frattempo si genererebbe una corrente di vendite di euro “D” che la BCE non potrebbe contenere
data la differenza di peso. Un’altra mancata considerazione dei fautori
dell’euro a due velocità è il fatto che mentre quando si è passati dalle
“vecchie monete” all’euro, queste erano ben individuabili ed il passaggio è
stato graduale, attualmente come si potrebbe individuare la differenza tra
l’euro “F” e l’euro “D”. Chi potrà definirne la categoria di appartenenza nel
tempo? Inoltre come si determinerebbe il valore dell’Euro “D” per ciascun
singolo Paese? A partire da quale criterio? Si dovrebbero stampare nuove
banconote di E e di D? Non dimentichiamo che il PIL dell’Unione è circa 10 mila
miliardi di Euro (USD. 12.228) su cui il
rapporto di indebitamento medio dei Paesi virtuosi è pari al 72,8% mentre
quello dei Paesi PIIGS è pari ad una media del 111,32% quindi ogni punto percentuale di interesse per
questi ultimi equivale a 100 miliardi di euro. Quanto incide ciò in termini di
inflazione sul valore reale? Il rapporto potrebbe essere D/F= 1,30 e F/D= 0,7692. Però se questo
rapporto può essere accettato come fisso in prima battuta, come evolverebbe in
termini di svalutazione competitiva nei confronti dei Paesi virtuosi? La Germania non potrebbe più
contare sulla propria competitività ottenuta in termini di minor costo
dell’indebitamento in termini di CCUP (Costo del Capitale per Unità di
Prodotto) e pertanto maggior incentivazione delle proprie aziende verso
l’export. Anche per il calcolo del tasso di interesse compatibile con la
situazione vi saranno problemi in quanto postolo al 2% per il recupero
dell’inflazione come da criteri di Maastricht, quanto dovrebbe essere richiesto
in aggiunta in termini di premio al rischio? Non dimentichiamo che la
“ristrutturazione” del debito greco attraverso lo swap volontario, è costato agli
investitori circa il 74% del valore in portafoglio. Allora come si collocherebbe? Cosa farebbero le Agenzie di rating dato che
il raggiungimento del 7% significa il default del Paese? Occorrerà allora che
la banca centrale dell’euro “D” stampi moneta, jacendo daltare il rapporto
fisso e paghi con moneta sempre più svalutata. Ma chi è disponibile ad
accettarla in cambio e a quale parità? La BCE pertanto non potrà avere una conduzione
schizofrenica per l’euro F e l’Euro D e quindi questa soluzione implicherà
necessariamente l’emissione dell’Euro
“D” da parte di un’altra banca centrale e con ciò mi sembra ovvio sottolineare
quanto questo “nonsense” dell’euro a due velocità, sia non solo impossibile
così come è stata prospettata, ma che porti anche in maniera non graduale bensì
immediata alla disintegrazione dell’Eurozona per cui è semplicemente, a mio
parere da non considerare…..
Gli altri due scenari li vediamo nel prossimo post!
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