La natura dell'amore coniugale esige
la stabilità del rapporto matrimoniale e la sua indissolubilità. La mancanza di questi requisiti
pregiudica il rapporto di amore esclusivo e totale proprio del vincolo
matrimoniale, con gravi sofferenze per i figli e con risvolti dannosi anche nel
tessuto sociale.
La stabilità e l'indissolubilità
dell'unione matrimoniale non devono essere affidate esclusivamente
all'intenzione e all'impegno delle singole persone coinvolte: la responsabilità
della tutela e della promozione della famiglia come fondamentale istituzione
naturale, proprio in considerazione dei suoi vitali e irrinunciabili aspetti,
compete piuttosto all'intera società. La necessità di conferire un carattere
istituzionale al matrimonio, fondandolo su un atto pubblico, socialmente e
giuridicamente riconosciuto, deriva da basilari esigenze di natura sociale.
L'introduzione del divorzio nelle
legislazioni civili ha alimentato una visione relativistica del legame
coniugale e si è
ampiamente manifestata come una « vera piaga sociale ».497 Le coppie
che conservano e sviluppano i beni della stabilità e dell'indissolubilità «
assolvono ... in modo umile e coraggioso, il compito loro affidato di essere
nel mondo un “segno” — un piccolo e prezioso segno, talvolta sottoposto anche a
tentazione, ma sempre rinnovato — dell'instancabile fedeltà con cui Dio e Gesù
Cristo amano tutti gli uomini e ogni uomo ».498
Dal COMPENDIO DELLA DSC punto 225 pag.
126 Ed. LEV 2005.
Tra le diverse notizie che affollano gli spazi mediatici tra
storie di corruzione (leggi Anas e mafia capitale) tra storie di malversazioni
(leggi Volkswagen e mercato automobilistico tedesco) una
fuori dal normale che appare importante approfondire è l’argomento Sinodo sulla
Famiglia. Non è certo un argomento semplice da trattare, però a livello etico
credo che la coscienza di tutti e non solo dei cattolici venga coinvolta nelle
decisioni che scaturiranno dalle 94 proposizioni presentate a papa Francesco e
che rispecchiano le situazioni di incertezza su cui ci si attende una risposta
di verità in quanto il relativismo etico che viviamo in questi tempi di
transizione non distingue più la verità da quello che è l’opinione delle
singole persone. Purtroppo dobbiamo riscontrare sempre più la colpa strumentale
dei mass media e della cultura del consensosoggettivo ed indiscriminato
rispetto all’obiettività delle situazioni. Detto ciò, so che forse sarà
difficile il mio ragionamento, ma cercherò di renderlo quanto più semplice e
snello possibile in modo da poterci confrontare con una realtà che fondi su
principi veri a cui ancorarsi e non soltanto su opinioni comuni dettate dalla
libertà di ciascuno di scegliere sulla base dei propri gusti e delle proprie
preferenze. Tanto per capirci basta fare l’esempio della teoria del gender laddove
si rifiuta la legge naturale per scegliere di definire un impulso soggettivo
che potrebbe essere anche dettato da un’anomalia naturale, ma che è comunque
un’anomalia. E’ come non voler fare differenze tra normodotati e diversamente
abili. Purtroppo la differenza c’è ed è evidente. Pertanto se si nasce con gli
attributi maschili si è maschi se si nasce con quelli femminili si è femmine.
La natura non lascia spazi alla preferenza soggettiva.La disabilità come la
deviazione sessuale (non in senso spregiativo, ma come dato di fatto) devono
essere riconosciute e pertanto trattate come tali. Quindi così come non si può pretendere che un
disabile abbia le funzionalità del normodotato, pur rispettando per lui tutti i
diritti umani e civili attribuibili, così per quanto riguarda un omosessuale,
pur rispettando tutti i suoi diritti non si può, per ragione naturale,paragonarlo
ad un eterosessuale in termini funzionali. Allora si capisce che il rispetto
dei diritti è una cosa e l’esercizio delle funzioni è altro. Detto questo
possiamo penetrare nei problemi che sono stati o no affrontati dal sinodo,
innanzitutto per ciò che concerne il concetto di famiglia legato al matrimonio;
il concetto di matrimonio come realtà possibile tra esseri eterosessuali; il
matrimonio come realtà sacramentale indissolubile; il matrimonio come diritto ad usufruire dei
beni sacramentali derivanti dall’appartenenza alla chiesa cattolica;
inserendoci poi anche il problema del
matrimonio dei sacerdoti in opposizione al celibato; in secondo luogo per
quanto riguarda questi ultimi anche la condizione omosessuale esistente, ormai
possiamo dirlo, in diversi di loro. Procedendo per gradi onde ritrovarci nei
confini dell’etica che caratterizza queste situazioni, io direi di portare il
nostro ragionamento in maniera equilibrata su qualcuno dei diversi fronti
evidenziati cercando pacatamente di vedere al di là di ciò che una lettura
affrettata dei giornali o le parole sciorinate da un talk show possano farci
comprendere.
SINODO
Non vorrei parlare di sinodo come ne hanno parlato tutti, vale
a dire del suo significato di relazione dialettica tra i gruppi, alla ricerca
di un punto di incontro tramite un dialogo aperto sincero e finanche acceso e conflittuale.
Il lato dell’attività sinodale che vorrei invece affrontare è quello del
livello di riflessione. Come abbiamo potuto ascoltare dai diversi padri
sinodali intervenuti, tutti gli argomenti riguardanti le unioni matrimoniali
hanno preso certamente in considerazione la coppia ed i suoi problemi, ma sempre rapportati ad un livello teologico di
relazione sacramentale e di integrazione a livello religioso. Ovviamente il
Sinodo essendo formato da persone esperte soprattutto di concetti legati al
matrimonio, senz’altro anche a livello pastorale, ma pur sempre a livello
teologico, non potevano che concentrarsi sugli elementi sacramentali di questo,
senza considerare a fondo che il matrimonio è una realtà essenzialmente umana rappresentata da una unione naturale e
pertanto di fatto o da una unione sacramentale e pertanto religioso. Ovviamente
quando parlo di matrimonio di fatto estendo il concetto pure a coloro che si
sposano anche con il solo rito civile, per distinguerli da quelli che lo fanno
con il rito religioso. Ma si badi bene dobbiamo considerare unione matrimoniale
anche le cosiddette coppie di fatto che decidono di formare una famiglia ancorché
non legalizzata. Tutto questo perché quando parliamo di matrimonio come
espressione della volontà di un uomo ed una donna di unirsi per un progetto di
vita insieme il cui obiettivo è quello naturale di ricercare il frutto della
propria unione che si concretizza nella nascita dei figli, parliamo
intrinsecamente di famiglia. Dunque la famiglia esiste a prescindere che
ci si sposi con rito religioso, civile oppure che non ci si sposi affatto: la
famiglia esiste perché è sancita dalla libera e cosciente volontà dell’unione
tra un uomo ed una donna il cui frutto naturale saranno i figli che verranno. La famiglia pertanto non è altro che il
risultato di una progettualità umana e come tale anche necessariamente sociale.
Eccoci dunque a discutere di ciò che forse il Sinodo avrebbe dovuto mettere in
evidenza: la famiglia per essere tale deve avere la possibilità di esistere e
la sua esistenza non può essere considerata solo a livello teologico. I
rapporti tra un uomo ed una donna, tra marito e moglie, tra coniugi e figli,
tra famiglia e società, sono possibili solo nella misura in cui vengono
sostenuti i bisogni primari, che pur se i teologi pongono in secondo piano,
sono alla base del progetto unitivo finalizzato alla formazione di una
famiglia. Tali bisogni fisici non consistono solo in pulsioni, repressioni, o meccanismi
comunicazionali o psicologici della coppia, essi sono rappresentati da
situazioni tangibili che si originano quasi sempre al di fuori della coppia e
della famiglia che inconsapevolmente leintroitaa volte anche prim’ancora che si
formi, per poi palesarsi in maniera drastica ed incisiva nella relazione di
coppia e nelle relazioni familiari. Ma quali sono queste cause esterne? Per
capirlo basta chiederlo a chiunque abbia le responsabilità di una famiglia.Però
responsabilità effettive, intendo diree non come semplice appartenenza, vale a
dire che un padre e una madre sono implicati in maniera tale, che un figlio, pur
se appartenente alla stessa famiglia, non è neanche in grado di immaginare.Pertanto
se la famiglia è un progetto, chi la forma deve innanzitutto avere l’idea del
progetto, del contesto in cui sviluppare questo progetto; deve avere la capacità
economica e finanziaria per dare vita e sostenere il progetto;deve poter
contare su delle regole certe che facciano da guide-lines al progetto;deve
poter usufruire di strutture ed infrastrutture che possano sostenere il
processo di sviluppo del progetto. Il Sinodo a mio avviso avrebbe dovuto
centrare prima di tutto questi obiettivi per poi discutere della relazione di
coppia a livello sacramentale. Avrebbe dovuto semplicemente porsi gli
interrogativi di come analizzare un “businnessplan” d’ordine familiare ai
diversi livelli e nelle diverse localizzazioni, per poter capire e trovare modi
di intervento per quelli che restano i fondamenti reali su cui la famiglia
poggia: il lavoro, la capacità economico-reddituale, la possibilità
finanziaria, l’inserimento nella previdenza sociale ecc. e questi elementi si
derivano da una semplice analisi sequenziale, vale a dire che una coppia può
fare un progetto di vita familiare se almeno un componente ha un lavoro; se si
percepisce un reddito adeguato; se si può ottenere una casa sia in affitto che
in acquisto; se si possono ottenere mutui a tassi non di strozzinaggio; se si
può accedere ai servizi pubblici di istruzione e di solidarietà sociale ecc.
Tutti elementi che nascono da una visione politica di bene comune. Inoltre a tutto
ciò deve aggiungersi il problema della
visibilità, vale a dire che sposarsi costa! Ecco perché molte unioni preferiscono
restare coppie di fatto. Anche i figli, per quanta grazia possano essere,
costano! La nascita di un figlio a volte impedisce di lavorare; i figli hanno
bisogno di tempo da dedicare loro; la gravidanza, tranne che in qualche Paese,
non gode di sostegni sociali adeguati, pur se le rivendicazioni sindacali erano
riuscite ad avere un piccolo supporto in termini di diritti della lavoratrice.
Inoltre la famiglia deve farsi carico del sistema educativo dei figli, del
sistema assistenziale dei propri membri, della solidarietà familiare tra generazioni.
Allora alla luce di questa riflessione
appare condivisibile pensare che solo dopo aver trattato tali argomenti in chiave socio-politico-economica,
richiamandola necessità di una presa di coscienza effettiva da parte dei
responsabili, di una loro implicazione manifesta, il Sinodo sarebbe potuto passare
ad analizzare i problemi di coppia, della loro realtà sacramentale e del loro
sviluppo a livello familiare.
MATRIMONIO
Dopo questa prima osservazione andiamo anche a scomporre in
maniera più rispondente il concetto di matrimonio. Quando si parla di
matrimonio si intendono soprattutto tre cose: la fedeltà, l’indissolubilità e la
cura della prole. Queste cose pur se comuni ad ogni tipo di unione, divengono
condizione esistenziale per il matrimonio cristiano. La fedeltà è qualcosa che deriva
dall’unione di due esseri che hanno scelto liberamente di donarsi in maniera
esclusiva l’uno all’altro per un patto d’amore. Nel sacramento la fedeltà
rappresenta il fondamento dell’amore verso l’altro concepito come esclusivo
dono di Dio. L’indissolubilità deriva dall’unione naturale sancita dalla
coscienza morale di chi esprime umanamente una promessa di amore esclusivo ed unico
per l’intera vita. Tale carattere viene rafforzato ancor più dalla potenza
sacramentale che sancisce questa promessa e che trascendendo la coscienza umana
si configura come espressione di un volere divino che l’uomo non ha più il
potere di scindere per l’eternità. Da ultimo mettiamo la cura della prole che
rappresenta l’obiettivo fondamentale del progetto familiare è infatti un
diritto/dovere della famiglia di crescere i propri figli trasmettendo loro
tutti gli elementi fisici, metafisici e teologici di natura culturale,
religiosa e tradizionale in piena libertà e senza alcuna interferenza
dall’esterno. Nella realtà sacramentale questo diventa l’obiettivo dell’unione,
vista come obiettivo di procreazione di altri esseri fatti ad immagine e
somiglianza di Dio,che scaturisce dall’amore e che quindi va curata con il
medesimo amore. Se queste
caratteristiche sacramentali, appaiono chiare allora si comprende anche il
motivo per cui è stata finora negata la possibilità di dare la comunione ai
divorziati. Se il matrimonio cristiano ha queste caratteristiche, chi le
rifiuta, rifiuta automaticamente di essere nella Chiesa e pertanto appare un controsenso
che un sacramento lo si rifiuti ed uno lo si ricerchi. Poiché la fede non può
frammentarsi, ma deve ricondursi unicamente ad un carattere essenziale di
unitarietà, va da sé che o i sacramenti si accettano tutti, senza riserve
oppure non si accettano e quindi ci si autoesclude dai medesimi. Non è la Chiesa
quindi che esclude, ma è colui il quale avendo infranto il patto di unitarietà sacramentale si tira fuori
da essa e quindi,per chi ha chiari questi termini di riferimento, appare
difficile capire per quale motivo colui che ha rifiutato il sacramento del
matrimonio dovrebbe poi poter accedere al sacramento dell’Eucarestia. Questo vale tanto per coloro che provocano la
rottura del vincolo matrimoniale, quanto per coloro che avendolo subito decidono,
senza ricorrere all’annullamento sacramentale di ricostituire un’altra unione
non sacramentale. Questi due atteggiamenti pongono coloro che li perseguono,
fuori dalla matrice ecclesiale. Ma allora diremmo che non c’è soluzione! A mio
avviso la soluzione andrebbe ricercata
sotto due profili, il primo concernente la presa di coscienza effettiva dei
coniugi sul significato di un’unione
matrimoniale che nella sua normalità e come d’abitudine,si concepisce come
legalizzata grazie alla sola lettura di alcuni articoli di legge, a volte anche
a prescindere dal grado di comprensione profondo, espresso dalla coppia e
l’apposizione di una firma. Il problema della formazione consapevole della
coppia per un matrimonio libero e non contrattuale, resta in capo alle
strutture istituzionali che però non se ne fanno carico e la Chiesa non può,
anche se è lodevole, continuare a farsi carico di una preparazione che non appare
adeguata alle necessità richieste dall’Istituto del matrimonio. Il secondo profilo
invece riguarda la necessità di adeguamento dei caratteri sacramentali del
Matrimonio al tempo attuale in cui, una più vasta conoscenza della realtà e una libertà
di scelta caratterizzata da bisogni indotti, unite alla manifestazione di
caratteristiche di violenza e disumanità quotidianamente veicolate dai mass
media,renderebbero necessaria la revisione di alcuni principi concernenti le
tre cose in precedenza accennate: fedeltà, indissolubilità e cura della prole. In virtù di tale complesso contesto, la Chiesa
dovrebbe sentirsi chiamata a studiare nuovi principi di annullamento e di
nullità intervenuta dell’unione sacramentale, a causa di elementi non
riscontrati al momento della celebrazione del matrimonio, oppure sopravvenuti
per cambiamento della personalità di uno dei coniugi. La discussione sinodale
dunque avrebbe dovuto valutare a livello teologico, quanto le manifestazioni di
violenza sopravvenuta, le manifestazioni di infedeltà oggettivamente prolungata
e non episodica, la schizofrenia comportamentale possano essere, se
manifestamente provate, causa di nullità sopravvenuta motivata da una manifesta
variazione dei caratteri della personalità di cui l’altro coniuge non aveva
piena conoscenza, o non si erano completamente manifestati al momento del
matrimonio. Questa presa d’atto dovrebbe
essere procedurizzata sulla base di elementi effettivi e di episodi ricorrenti e
consuetudinariamente riscontrati che permettano a chi ha contratto un
matrimonio religioso di invocare l’estinzione della personalità pregressa del
coniuge, in cui aveva creduto e riposto
fiducia, veicolatrice invece di una falsità ideologica riscontrata nei fatti
successivi, che permetta di decretare in maniera chiara che l’assenza
contestuale dei tre elementi suddetti vale a dire fedeltà, indissolubilità e cura
della prole comportano un automatico scioglimento del vincolo sacramentale
contratto, da decretare in maniera chiara da parte dell’autorità ecclesiastica,
dando alla vittima dell’abbandono o della violenza o della prevaricazione, la libertà di ricostituire un successivo vincolo
familiare, con altra persona anche se non a livello religioso, non in contrasto
però con la realtà sacramentale. In tal modo si determina per chi ha subito
l’abbandono la possibilità di recuperare un equilibrio di vita anche spirituale
attualmente non ammesso e quindi la riammissione ai sacramenti. Se ciò non
avviene si ha un risultato di doppia penalizzazione per chi è vittima, mentre
il colpevole può restare placidamente incolume.Si richiede pertanto una
riflessione più puntuale che possa sanare questa disparità di trattamento.
I CONFINI DELL’ETICA
NELL’UNIONE FAMILIARE
Per terminare l’argomento vale la pena capire quali siano i
confini etici dell’unione familiare, da non confondere con quelli della realtà
sacramentale del matrimonio. Tanto per essere chiari dobbiamo sottolineare che l’unione
matrimoniale è il luogo in cui si esprime la vera dimensione del bene comune
che si misura sulla persona meno dotata della famiglia. Il bene comune infatti essendo il bene di
tutti e di ciascuno può svilupparsi soltanto in un ambiente dove esista un
tessuto d’amore reale che si alimenta nella fedeltà che trasmette fiducia e
sicurezza, si concretizza nella solidità di un vincolo che non teme oscillazioni
emotive perché è un legame d’amore che l’essere umano non riesce a sciogliere
ed infine si manifesta nella premura reciproca non solo tra i coniugi, ma anche
verso tutti i componenti della famiglia, specialmente quelli più deboli e
bisognosi di cure. I confini dell’etica
in cui si sviluppa l’unione familiare sono perciò quelli del coraggio,
dell’abnegazione, del dono di sé, della mutualità, della solidarietà personale
e della sussidiarietà familiare orizzontale che fanno dei membri una successione
di anelli che concatenandosi nei loro sentimenti più profondi, alternandosi ed
integrandosi tra generazioni, testimoniano con la loro vita e con il loro
atteggiamento solidale la realtà di un amore umano che, al di là di qualsiasi
aspetto religioso, riesce a perpetuarsi e a trasmettersi autenticamente tra gli
esseri umani, soltanto se viene percepito nella sua piena essenza teologale.
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