Quando poi siano
trascorsi i mesi sacri, uccidete questi associatori ovunque li incontriate,
catturateli, assediateli e tendete loro agguati. Se poi si pentono, eseguono
l'orazione e pagano la decima, lasciateli andare per la loro strada.
Allah è
perdonatore, misericordioso.
CORANO: Sura IX At-Tawba (Il Pentimento o la
Disapprovazione, v.5)
I
fatti esecrabili di questi giorni ci pongono di fronte ad una realtà che né il
sistema politico, né il sistema mediatico riesce ad interpretare. Ciò che noto
è la grande confusione che si fa; le considerazioni a ruota libera che si
rilasciano e che i giornalisti per esclusivo “amore di scoop” vanno a cercare.
Il problema del terrorismo non è un problema che si possa affrontare alla
televisione, con le idee dell’On. Santanché o degli appartenenti a comunità
islamiche, più o meno moderati, oppure
con le invettive gratuite e violente di un Ferrara.
Si
continua a parlare di guerre di religione, di scontri tra culture e di tante
altre stupidaggini che servono soltanto a confondere ancora di più le idee
sulla posizione effettiva da prendere sia da parte dei cristiani, ed ebrei sia
da parte di quelli che vengono chiamati “islamici moderati”.
Questo
fa già capire il problema fondamentale rappresentato dalla non conoscenza del
concetto di democrazia e soprattutto di libertà di espressione. Infatti già più
volte ho sottolineato che la democrazia non è rappresentata dal detto che “la
tua libertà finisce dove comincia quella dell’altro” bensi “ la tua libertà
comincia dove comincia quella dell’altro”. Ecco i limiti veri. Ecco la radice
del problema: il non saper scegliere
determina l’imposizione della propria idea sull’altro, a prescindere da
qualsiasi ragione. Ecco quindi il formarsi di gabbie psicologiche
ideologicamente strutturate a livello politico e recinti psicologici di
fondamentalismo religioso adeguatamente istigato che conducono poi alle diverse
forme di terrorismo.
TERRORISMO
No il
terrorismo, non è lotta di religione o scontro tra culture, anche se cerca di
provocarle, il terrorismo è un problema immenso che ha bisogno di profonda
riflessione umana. E’ una forza negativa che ha bisogno di un silenzio
assordante di ferma solidarietà capace di arginare le violenze gratuite
distruttive dell’umanità suscitando un dialogo inclusivo che però non deve
essere avulso da ragioni di rispetto di diritti umani sostanziali.
E’
una forza negativa che si è irrobustita nella seconda metà del secolo scorso ed
è scoppiata in tutta la sua gravità agli inizi di questo secolo con l’attentato
alle Torri gemelle dell’11 settembre 2001 per continuare fino ai nostri giorni
con stragi inconsulte di innocenti o quanto meno come è accaduto in Francia,
colpevoli di aver espresso una loro opinione, considerata offensiva.
Il
problema che non viene evidenziato abbastanza è che il terrorismo attenta alla
libertà degli Stati, attenta allo stato di diritto, restringe gli spazi di
libertà dei diritti individuali.
Impone
come sta avvenendo ora per i giornali americani una “autocensura” imposta dalla
paura anche se per pudore viene malcelata. Quindi una diminuzione della libertà
di stampa non dettata dalla propria scelta autonoma, ma dalla paura.
Molti
non capiscono come si alimenta il terrorismo, più si interrogano e meno
capiscono che il fenomeno in tutte le vicende storiche nasce da una realtà
precisa che è quella della strumentalizzazione della incomunicabilità generata
dalla necessità di gruppi di potere di fare i propri traffici. Anche se può
sembrare un luogo comune il teorema è semplice: per acquisire posizioni di
potere si alimentano focolai di incomunicabilità e quindi di dissenso che
scatena il conflitto, basate sui tre elementi che dividono gli uomini, vale a
dire la lingua, la moneta e la religione.
Tali
diversità creano gli spazi adatti per strumentalizzare le coscienze più
sensibili e meno autonome fornendo in termini ideologici e fondamentalisti
pretesti su cui aizzare la rabbia, istigare l’azione di vendetta, ed in termini
materiali soldi, armi, addestramento alla guerriglia, coperture internazionali.
E’ il caso di Al Kaheda ed il caso dell’IS. Non si sono autogenerati!
La
diversità culturale esasperata, la mancanza di laicità e quindi di accettazione
della diversità di religione ed infine la disuguaglianza generata dal diverso
valore della moneta e dalla ricchezza che essa comporta sono gli elementi che
fomentano gli atti terroristici nella Jihad e su cui la sociologa marocchina Fatema
Mernissi fonda certi accanimenti inconsulti dei mussulmani. Come riportato da
Domenico de Masi nel suo Mappa Mundi a pag. 242 “ Secondo la Mernissi,
l’esperienza vincente della umma,
basata sulla compattezza, ha reso i mussulmani diffidenti verso qualsiasi diversità, fosse essa la
cultura occidentale, o la democrazia, la libertà di pensiero o
l’individualismo.
Ecco
dunque che gli eccessi di istigazione contro la diversità generano e spianano
la strada al terrorismo che rappresenta una strategia precisa, o, un metodo di
aggressione disumano che consiste nel fare o minacciare di fare un atto
violento nei confronti di inermi. Uccidere a sangue freddo, sgozzare le
persone, tagliare le teste e tutto con “normale ferocia”. Anzi tanto più sono
inermi le vittime e tanto meno è
conosciuto il luogo dell’attentato o la maniera di aggressione, tanto più
risalto ha la sua attuazione o minaccia. Questo perché tale forza tende ad
affermare la potenza della capacità distruttiva dell’uomo che può colpire
dovunque, chiunque, in ogni momento, senza preavviso, nei luoghi più impensati
e contro le persone meno implicate. Certo anche gli eccidi da rappresaglia in
guerra, sono assimilabili al terrorismo. Però sono effettuate in climi diversi
e magari da situazioni di abbrutimento prolungato, anche se non giustificabile
in nessuna maniera.
Ovviamente
non ci sono scusanti, si tratta solo di una diversa collocazione dell’atto
terroristico. La forza del terrorismo colpisce perché minaccia la popolazione
per indurre l’autorità che la presiede a compiere un atto, a scendere a patti
ad arrendersi ad una richiesta. L’influenza è negativa perché provoca un senso
di vendetta che difficilmente si placa soprattutto in coloro che la subiscono o
direttamente oppure in qualità di parenti o amici delle vittime. Il terrorismo
è una forza negativa che influenza la nostra vita perché a volte si maschera
con il martirio o dietro la necessità della lotta. Così i “criminali suicidi
auto esplodenti” vengono reputati martiri per la causa del proprio paese. Gli
attentati contro i bambini di una scuola come azione patriottica. Il raid di Jihadisti contro vignettisti
satirici come una giusta vendetta per
chi ha offeso il Profeta. L’influenza negativa sta nell’orientamento di
pensiero che si genera: è evidente che l’uso strumentale delle motivazioni
suddette si presta, unitamente alla difficoltà di stabilire quali siano i mezzi
legittimi da adoperare quando il fine perseguito in un contesto fortemente
repressivo è l’autodeterminazione nazionale o la difesa di un concetto
religioso, alla creazione di una confusione in termini di giustizia. I tratti
caratteristici delle azioni di terrorismo sono: 1) generare terrore,
rafforzando la credibilità dell’organizzazione che uccide o che minaccia di
farlo; 2) disprezzo ostentato della vita (addirittura della propria nel caso di
terroristi suicidi; 3) ricerca della pubblicità quale elemento essenziale per
alimentare la paura e veicolare il messaggio. Il terrorismo poi come è accaduto
in America, spinge le persone a rinunciare addirittura ai propri diritti civili
e a permettere, come è già successo negli USA di Bush figlio, di inventare
scuse strumentali come le armi di distruzione di massa, per sostenere la
necessità di una guerra, effettuata invece, come ormai appurato per interessi
politici ed economici del Paese. Per terminare sottolineerei che tali azioni
terroristiche danno il destro specialmente nel caso attuale, sulla scia del
risentimento diffuso e crescente, alla prospettiva che se da un lato invoca e
accetta di restringere le libertà della zona Schengen, dall’altra struttura in
maniera spontanea prima l’auspicio e poi la necessità di una crociata ma non
contro i terroristi, bensì contro un generalizzato concetto di Islam di cui non
si conosce neanche la configurazione.
SATIRA
Riguardo
alla satira, deve essere riconosciuto innanzitutto il suo carattere di
espressione che per la sua collocazione conflittuale nei confronti di qualsiasi
potere fisico, politico e religioso, rappresenta veramente la manifestazione
più concreta della piena libertà di opinione.
L’uomo
ha due elementi che caratterizzano la sua natura, il primo si chiama dignità ed
il secondo libertà. Nella satira questi due elementi raggiungono il livello più
alto possibile. Da un lato, infatti, essa misura la capacità di colui che la
pratica di esprimere, per mezzo di elementi artistici di dissenso, la
dimensione della sua dignità che risiede proprio nella capacità di comunicare,
attraverso un’arte, la propria visione del concetto di umanità. Dall’altro la
satira misura il livello di pienezza di libertà che il pensiero dell’artista
esprime nella sua sfida al potere.
La
satira è fisicamente innocua, ma moralmente e politicamente è invece fortemente
incisiva se non a volte addirittura distruttiva. E’ importante però che essa
non si svilisca, che non si abbassi a
calunnia, ma che sia vera espressione di dignità artistica, libertà di pensiero
ed onestà intellettuale. Certo che la satira quando invece è strumentalizzata e
prezzolata allora non ha nulla di apprezzabile e colui che la pratica è
deprecabile, ma ciò non toglie che per quanto pungente ed orripilante sia e
possa divenire oggetto di querele e azioni giudiziarie, mai e poi mai è
giustificabile che possa essere motivo di aggressione o di uccisione per chi si
sente offeso.
Ecco
questo e’ un altro elemento culturale che non viene insegnato e tanto meno
considerato dalla maggior parte di coloro che esprimono il proprio dissenso ed
il proprio sdegno nei confronti della satira.
Io
vorrei fare una riflessione onesta su questo senso di sdegno o di offesa del
proprio senso religioso, della propria dignità, del proprio ruolo ecc. Ciò che
vorrei qui evidenziare in maniera razionale e condivisibile è che il problema
dello sdegno e dell’offesa è un problema relazionale. Infatti se pensiamo che
colui che pratica la satira non ha alcuna intenzione di offendere, ma che vuole
attraverso la propria arte dare soltanto una visione diversa, autonoma ed
originale del dato di fatto, allora possiamo capire che l’offesa non esiste.
Allora possiamo capire l’errore di chi sente offesa la propria dignità: non è
la satira che lo offenda bensì è la sua condizione interiore che lo fa sentire
offeso. Se fosse intelligente capirebbe ed apprezzerebbe lo sforzo
dell’artista, che per quanto blasfemo possa essere ritenuto, non è
intenzionalmente rivolto né all’offesa religiosa e né a quella politica ma
consapevolmente rivolto ad una sfida con se stesso e con la sua vena artistica
di riuscire a rappresentare nella maniera più ironica, sarcastica, tagliente e
graffiante il concetto che il dato di fatto gli suscita nella fantasia.
La
cosa più bella della satira, per quanto offensiva possa esser ritenuta, è la
sua rispondenza alla realtà, è il suo uso eccellente del “pluralismo
concettuale” nascosto in una immagine, in una frase, in un episodio, in una
ideologia politica o in un fondamentalismo religioso. Ecco perché la satira è
ammirevole, perché riesce a trovare la maniera di colpire nel nostro vissuto
quotidiano anche laddove non ci sia nulla di rilevante oppure sembri
inattaccabile o non punibile. Come scriveva lo scrittore russo A.S. Puskin:
“Dove non arriva la spada della legge, là giunge la frusta della satira.” La
satira non è né linguaggio volgare, né offensivo, ma è genuina espressione di
libertà che contiene una critica onesta anche se dai contorni smisurati e
urticanti, che non si pone limiti, né formali e né sostanziali, trascendendo
perciò in maniera innocente tutte quelle
categorie di diffamazione e oltraggio, che invece vengono strumentalmente
considerate come trasgressioni di limiti invalicabili e quindi inaccettabili e
offensive. L’esagerazione esasperata ed esasperante della satira trova nella
derisione e nella spavalderia dell'oltremisura il grimaldello per scalzare il
potere, per frustare la società, per cambiare i costumi. Solo gli sciocchi non
se ne avvedono!
ISLAM
Il
problema dell’Islam invece è rappresentato proprio dalla distanza culturale tra
l’aspetto religioso e la modernità. Il fatto che non possano essere
interpretati i 6.236 versetti delle 114 sure,
comporta la staticità del pensiero fideistico il cui modello resta legato tutt’ora
a tre aspetti di rilevanza notevole: la condizione della donna, il sistema
economico finanziario e il terrorismo.
L’Islam
è una religione di pace nella sua espressione teologica; in realtà mancando di
una mediazione ermeneutica temporalmente aggiornata, non riesce a reggere il
confronto con la prassi per cui certe situazioni restano ancorate alle
condizioni esistenti 1400 anni fa, sicché ancora oggi, nonostante la cultura
cerchi di adeguarsi ai dettami della globalizzazione, la realtà della Umma impone alcuni vincoli che vedono la
donna in condizioni di inferiorità e persino passibile di lapidazione in caso
di adulterio. Secondo la Sharia la donna non può prendere parte alla vita
economico-produttiva, non ha libertà di iniziativa, e, in alcuni casi, non ha
neanche libertà di movimento, impedendole persino di guidare l’automobile. Poi
con l’imposizione del velo che arriva a diventare un burqa nelle imposizioni talebane che segregano la personalità e
l’espressione estetica della donna, tale libertà diviene schiavitù.
Riguardo
all’economia sempre De Masi riporta nello stesso capitolo del libro citato, che
“sono vietate le attività assicurative, la produzione e la vendita di bevande
alcoliche, di carne suina, di armi e tabacco, i casinò, la pornografia i night
club. Vietatissima qualunque attività che comporti pagamento di interessi e, a
maggior ragione l’usura.” Legando così le prassi socioeconomiche a schemi
religiosi costringenti, con il risultato di azzerare la libertà di scelta e
pertanto la responsabilità connessa.
Il
terrorismo infine è una piaga che resta come dato di fatto. Capace di esplodere
in ogni momento perché la perentorietà del versetto non è suscettibile di
interpretazione, ma deve essere accettata così com’è stata comunicata al
Profeta. Ciò comporta che il modello mussulmano è difficilmente comprensibile
da chi non lo pratica, perché la commistione tra fede ed esistenza individuale
e collettiva è talmente inestricabile e totalizzante che non è possibile
distinguere la posizione religiosa dalla vita pratica. Infatti prosegue ancora
De Masi “Se un islamico praticante deve fidanzarsi, sposarsi, educare i figli,
o fare testamento, se deve comprare o vendere una casa, se deve accendere un
mutuo o investire una somma, se deve individuare il partner o scegliere un
abito, se deve pagare un debito o fare una donazione, se deve acquistare
un’automobile o prendere la patente, prima di agire ha l’obbligo di chiedersi
quale sua scelta sarebbe approvata e quale disapprovata da Allah [….] Ma come
si fa a sapere cosa ne pensa Allah?...[…]..occorre ricostruirlo attraverso 4
fonti: il Corano, libro sacro composto di 6236 versetti raggruppati in 114
capitoli (sure), che contiene le
enunciazioni generali; la sunna,
raccolta di aneddoti in cui …..[..]si racconta ciò che Maometto disse..[..]; il
consenso dei dottori della legge (ijmà)
su questioni di diritto positivo e il consenso unanime dell’intera comunità in
caso di questioni morali e di culto; l’analogia (qiyas) con casi affini già regolati in passato.
Se
vogliamo fare uno sforzo contro il problema del fondamentalismo che sfocia poi
nel terrorismo. Non dobbiamo fare l’errore di confondere tra la religione e la
cultura islamica. La religione è qualcosa di spirituale ed individuale che però
la cultura filtra con le sue categorie di giudizio inappellabile derivante
dall’acquisizione del dettato religioso nella vita pratica. La cultura quindi,
alla prima levata di scudi, sfocia naturalmente in un fondamentalismo religioso
che altro non è se non staticità culturale, incapacità di vedere il mondo con
occhi diversi supportati dai moderni strumenti di indagine, di giudizio e di
azione. Nel nostro Paese e in Europa occorre fare una netta distinzione
tra il significato di giustizia ed il
significato di misericordia. La misericordia è divina mentre la giustizia è
squisitamente umana e quando parliamo di giustizia, parliamo di reciprocità, di
trasparenza, di relazioni equilibrate fondate su un tessuto di fiducia.
Pertanto se vogliamo lottare contro il terrorismo e le reazioni che esso
comporta dovremmo cominciare a chiedere innanzitutto una presa di posizione da
parte delle comunità islamiche che si dicono moderate contro i “terroristi
islamici”, dobbiamo pretendere che quando una comunità islamica chiede nel
nostro Paese di creare una Moschea, si impegni nel proprio Paese a permettere
la creazione di una chiesa; inoltre va richiesto in maniera pressante che nelle
moschee il sermone venga fatto in italiano oppure nella lingua del Paese e non
in arabo. Ed infine che l’Imam della comunità si faccia garante della
“pacificità” della sua comunità sotto pena della sua espulsione. Anche se
queste condizioni possono sembrare rigide, in realtà esse non sono altro che il
presupposto per raggiungere un livello di democrazia in cui la laicità anche
degli islamici permetta la convivenza di tutte le religioni senza
l’applicazione del versetto 5 della sura IX sopra citata.
ETICA
Riguardo
all’etica credo che oramai ci sia poco da dire se non che il bene comune si
raggiunge soltanto con il rispetto della dignità dell’uomo in tutte le sue
espressioni e guarda caso anche in quelle satiriche!
Se
anche le persone di fede islamica prendessero come riferimento il punto 26
della Gaudium et Spes che fa dell’interdipendenza motivo fondamentale del bene
comune: “Dall'interdipendenza sempre più stretta e piano piano estesa al mondo
intero deriva che il bene comune - cioè l'insieme di quelle condizioni della
vita sociale che permettono tanto ai gruppi quanto ai singoli membri di
raggiungere la propria perfezione più pienamente e più speditamente - oggi
vieppiù diventa universale, investendo diritti e doveri che riguardano l'intero
genere umano.
L’interdipendenza è comunque anche
il fondamento su cui si basa la solidarietà che a sua volta è la responsabilità
verso il bene comune come recita la Sollicitudo Rei Socialis al punto 38: “Si
tratta, innanzitutto, dell'interdipendenza, sentita come sistema determinante
¨di relazioni nel mondo contemporaneo, nelle sue componenti economica,
culturale, politica e religiosa, e assunta come categoria morale.¨ Quando
l'interdipendenza viene cosi riconosciuta, la correlativa risposta, come
atteggiamento morale e sociale, come «virtù», è la solidarietà.¨ Questa,
dunque, non è un sentimento di vaga compassione o di superficiale intenerimento
per i mali di tante persone, vicine o lontane. Al contrario, è la
determinazione ferma e perseverante ¨di impegnarsi per il bene comune:¨ ossia
per il bene di tutti e di ciascuno, perché tutti ¨siamo veramente responsabili
di tutti.¨ Tale determinazione è fondata sulla salda convinzione che le cause
che frenano il pieno sviluppo siano quella brama del profitto e quella sete del
potere, di cui si è parlato. Questi atteggiamenti e «strutture di peccato» si
vincono solo - presupposto l'aiuto della grazia divina - con un atteggiamento
diametralmente opposto: l'impegno per il bene del prossimo con la
disponibilità, in senso evangelico, a «perdersi» a favore dell'altro invece di
sfruttarlo, e a «servirlo» invece di opprimerlo per il proprio tornaconto (cf
Mt ¨10,40-42; 20,25; Mc ¨10,42-45; Lc ¨22,25-27).
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