Una politica ideologica, sia essa
giacobina o clericale, non conosce che le pure essenze(debitamente
semplificate) e si può avere ferma fiducia che il suo platonismo la condurrà
sempre, con una precisione infallibile, alla inesistenza. Nella storia, lo ricordavamo
or ora, non si hanno tesi che si affrontano come in un libro o in una
discussione accademica, ove tutto si conclude nell’intima e meritoria
soddisfazione di colui che ha ragione e ha saputo farla valere: si hanno forze
concrete cariche di umanità, gravate da fatalità e contingenze, che sono nate
dall’avvenimento, e delle quali il politico deve misurare il significato
esistenziale. J. Maritain Umanesimo Integrale,Ed. Borla, pag. 244.
In questo nuovo post non parlerò della festa
della donna, del riconoscimento e del rispetto di genere, della legge
elettorale e delle quote rosa richieste da alcune parlamentari... la mia riflessione riguarda il fatto che se non la finiamo di effettuare una
festa, laddove festa non è, se continuiamo ad invocare un riconoscimento per
legge e non per coscienza naturale, e soprattutto, non per consapevolezza
culturale, tutto ciò che facciamo è posticcio.
QUOTE
ROSA E PARITA’ DI GENERE
Ritengo
infatti che tutte le donne di buon senso quando oggi si vedono regalare una
mimosa debbano sospettare a ragione, che l’istinto maschile (maschilismo)
continui a strumentalizzare questa differenza di sesso che poi, finita la festa
si concretizza in nuove violenze, soprusi e prevaricazioni. Io non farei una
festa della donna trionfante di mimosa, ma piuttosto, come giustamente è
avvenuto, con l’accensione della luce rossa sulla fontana dei dioscuri del
Quirinale, creerei un simbolo di riflessione e di rispetto, come ogni tanto la
nostra comunità, dimentica dei valori, riesce tuttavia a creare. Esempio concreto sono l’accensione delle
luminarie al Colosseo ogni volta che si esegue una condanna a morte, oppure il
corteo di luci silenziose il 16 ottobre in memoria della deportazione degli
ebrei romani o del 9 novembre per la notte dei cristalli. Quindi invece della
mimosa, delle feste e della ricorrenza consumistica, cerchiamo di proporre in
termini di genere una nuova impostazione: creiamo un percorso nelle scuole,
nelle istituzioni, senza fare feste, ma indicando un lavoro da fare, una
ricerca, un simbolo che non venga venduto ai crocicchi delle strade dagli
extracomunitari, ma un simbolo che interiorizzi nei comportamenti il rispetto per
l’altro, che se poi è donna, questo non deve
significare nulla di diverso. Finché infatti avremo la necessità di invocare
una legge per rispettare una donna, significa che abbiamo fallito il nostro
obiettivo di umanità. Le differenze devono essere rispettate per consapevolezza
del diritto e non certo per paura della sanzione. Ma questo è un discorso etico
che la nostra società sembra non considerare.
IL
CONFLITTO SECESSIONISTA
Quello di cui vorrei
parlare oggi invece è la necessità di fare chiarezza sulla situazione che si
sta delineando in Ucraina con la volontà espressamente velata della Russia di
annessione della Crimea. Perché? la risposta è che si rende necessario per
fugare le prese di posizione superficiali come l’ultima postata dal Comico Grillo
sul suo blog. Prendendo evidentemente spunto dalla situazione in atto in quella
zona del mondo e forse anche supportato da alcuni venti separatisti provenienti
dalla Scozia. Il Comico del M5S non trova argomento più interessante, dopo le
espulsioni, di indicare la soluzione della possibile divisione dell’Italia,
come ultima novità a supporto delle sue “boutades”. Certo se le persone di buon
senso dovessero veramente seguire quanto suggerito nel suddetto post, la
situazione italiana sarebbe preoccupante, ma non tanto per la paventata idea di
divisione, quanto più per l’ignoranza che si sta impossessando vieppiù di tutti
coloro che ritengono serie le “ idee buffe” di un Comico e dei suoi seguaci. La gravità della situazione è data dal fatto
che in una pagina di post, si distruggono ideali e storia che hanno fatto dell’Italia
una nazione di livello non solo europeo, ma anche internazionale. Si gettano
con sfregio nel cestino, atti di eroismo e visioni politiche creatrici di
cittadinanza vera, per ergersi al di là del detto dantesco “Ahi serva Italia di
dolore ostello…” Dare un calcio a 153
anni di storia per mettersi in tasca il “prezzo del biglietto” è veramente avvilente.
Se in Italia abbiamo siffatti uomini dobbiamo essere ancor più preoccupati che
di avere criminali e mafiosi: questi almeno si sa che esistono e che devono
essere combattuti perché sono cattivi. I primi invece lasciano lo sconcerto
perché non si sa dove mirino né la ragione che li spinge ad agire e tanto meno che
cosa vogliano distruggere. Ciò che poi risulta preoccupante è che tal sorta di
uomini è entrata nelle istituzioni e che come una malattia sta cercando di
infettare tutte le altre cellule con cui viene a contatto pur di raggiungere il
proprio intento distruttivo. Una cosa è certa fortunatamente, che ogni disegno
sovversivo delle istituzioni in una realtà democratica tende ad implodere e a
restare isolato. In democrazia ci si batte per rinnovare le istituzioni, non
già per distruggerle e se non ci sono riusciti gli anni di piombo ritengo che
anche questo Movimento è destinato ad implodere grazie alla serietà ed alla
capacità di discernimento di tutti coloro che sentendosi orgogliosamente
italiani, non hanno bisogno di sproloqui, di urla e di “Vaffaday” per far
sentire le proprie ragioni.
CONFLITTI
INTERNAZIONALI
Quasi tutti ritengo abbiano sentito la notizia che il
rapporto annuale presentato dall’Istituto di Heidelberg per l’Indagine dei
Conflitti Internazionali (Hiik), dice che l’anno 2013 passerà alla storia come l’anno
con il maggior numero di conflitti mondiali. Da questo studio emerge che i
conflitti rilevati nel mondo intero sono 414, aumentati cioè di 9 rispetto al
2012. Tanto per ricordarlo l’istituto Hiik ha un cosiddetto “Conflict
Barometer”, nel quale sono classificati cinque livelli di intensità bellicosa:
il primo è “War” (“guerra”) che statuisce il grado più elevato. Il rapporto
evidenzia inoltre che dei conflitti registrati 20 sono classificati come
“guerra” - due in più rispetto al 2012 – altri 25 come “guerra limitata”;
mentre altri 45 sono ritenuti “altamente violenti”. Il rapporto evidenzia
ancora che ai conflitti già esistenti in Afghanistan e in Iraq, si sono aggiunti
nel corso del 2013 quelli in Siria, Mali e Repubblica Centrafricana. Per non
parlare anche gli scontri tra le forze del nuovo governo egiziano e i Fratelli
Musulmani la cui violenza è reputata alta. L’Africa tende a rimanere comunque
un territorio di conflitto generalizzato se pensiamo che solo nell’Africa
Subsahariana hanno avuto luogo 11 guerre, pari a più della la metà di quelle descritte
dal rapporto.
IL CONTRATTO SOCIALE E I PATTI
Dopo
questo cappello possiamo sottolineare che nel 2012 i ricercatori Wilkenfeld e
Gurr, insieme a Joseph Hewitt, hanno pubblicato i risultati del loro studio nel
rapporto «Peace and Conflict», redatto per il Centro per lo sviluppo
internazionale e la gestione dei conflitti (Center for International
Development and Conflict Management) dell’Università del Maryland mettendo in
evidenza che i conflitti hanno di solito due scopi 1) prendere il controllo
dello stato, 2) finalità separatiste. Come è stato messo in evidenza dal rapporto dopo la fine della guerra fredda
circa la metà dei conflitti interni tendenti ad ottenere il controllo dello
stato si sono conclusi con negoziati e spartizione di poteri mentre nella
maggior parte hanno vinto i regimi al potere. Un terzo delle guerre civili di
separazione sono finiti in accordi che riconoscevano le autonomie regionali, un
altro terzo furono sedate e l’ultimo terzo è rimasto ad un punto morto
indefinito. Gli autori inoltre hanno rilevato che prosperità economica, libere
elezioni, governi centrali stabili, comunicazioni migliori, un maggior numero
di «istituzioni di pace» e un maggior impegno internazionale spingono a
diminuire sostanzialmente i conflitti. Ma che cosa determina la coesione di uno
stato? Perché non è possibile accettare che una popolazione facente parte di un
territorio, anche se autonomo non possa decidere di distaccarsi dalla propria
nazione? Credo che sia importante sottolinearlo: il rispetto degli accordi. Se
così non fosse avremmo una infinità di staterelli, secessioni continue e
divisioni incredibili dei territori. La storia però ci ha insegnato che anche
quando le divisioni avvengono a causa di guerre di espansione o di invasione,
l’annessione finisce con un trattato. Laddove non finisce con un trattato od un
patto, tale divisione, benché attuata con la forza delle armi resta stabile
fino a che non avviene una insurrezione per tornare alla precedente libertà.
Ciò che rende stabile il territorio e la comunità che lo abita all’interno
della comunità internazionale è il patto sociale o contratto sociale. L’uomo infatti è, per natura, indotto a intrecciare
rapporti con i propri simili, anche se poi gli egoismi e gli interessi
individuali causano conflitti. Gli esseri umani devono quindi creare un quadro
normativo, le cosiddette leggi, all’interno del quale poter vivere insieme
stabilendo quindi tra loro un patto in cui si manifesta la rinuncia esplicita ad
una parte dei poteri che ciascuno ha in quanto essere libero in natura. Perché?
Per creare insieme un benessere diffuso tra tutti gli uomini che vi partecipano.
Ecco come si arriva alla definizione di ciò che è lo Stato: "un insieme
perfetto di persone libere che si sono volontariamente unite, su un determinato
territorio, per fruire in pace dei loro diritti all’interno del bene comune".
Ed è proprio in virtù di questo fine che
il popolo trasferisce ad un organismo,
di governo ed alle sue istituzioni, non solo l’esercizio, ma la sostanza stessa
della sovranità. Questo organo deve governare i cittadini guidato dalla retta
ragione, dare leggi fondate sulla ragione umana e avere come scopo il bene dei
cittadini. Questo contratto è l’unico che possa mantenere l’equilibrio tra
stato e cittadini evitando pratiche di disobbedienza. Uno dei padri del
giusnaturalismo come Grozio consapevole dell’importanza della stabilità del
potere politico sosteneva che i cittadini quando sono in disaccordo con il
governo, possono al massimo attuare una resistenza passiva e che solo nel caso
in cui l’istituzione detentrice del potere sovrano si manifesta espressamente come
un nemico dell’intero popolo, e sottolineo intero, operando manifestamente per rovinarlo, sia legittimo ribellarsi. Ecco
perché il contratto non può rescindersi per una causa qualsiasi ed il diritto
internazionale, visto da Grozio in un’epoca in cui la guerra faceva venire meno
la validità del diritto gli imponeva di teorizzare una soluzione in merito al
problema della validità dei princìpi che regolano i rapporti tra gli stati in
caso di guerra. La sua posizione infatti era chiaramente fondata sulla validità
di questo contratto per cui il diritto naturale in quanto universale non può
mai venire meno in caso di guerra. Tale diritto permane dunque l’unica autorità
affermata a cui fare riferimento nei
rapporti tra gli stati. Quindi per Grozio "Pacta sunt servanda": c’è
dunque un obbligo universale ed imprescindibile di mantenere fede ai patti
perché tale obbligo deriva dal diritto naturale unico sostanziale fondamento su
cui si deve edificare la civile convivenza tra i popoli. Non è che Grozio
dicesse che la guerra è contraria alla natura umana, anzi il contrario, essa
appartiene per natura di cose alla natura umana. L’insegnamento che vogliamo
trarne perciò è che pur se la guerra non si può abolire e necessario tuttavia regolamentarla
e con essa anche i rapporti tra le nazioni perché il rispetto dei patti
possiede un contenuto etico in termini di umanità a cui nessuno può sottrarsi.
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