“11. Speciali responsabilità morali circa il retto uso degli
strumenti di comunicazione sociale
incombono sui giornalisti, gli scrittori,
gli attori,
i registi, gli editori e i produttori, i programmisti,
i
distributori, gli esercenti e i venditori,
i critici e quanti altri in
qualsiasi modo
partecipano alla preparazione e trasmissione
delle
comunicazioni.
È evidente, infatti, quali e quanto grandi
responsabilità pesino
su di loro
nell'evolversi della società odierna, avendo
essi la possibilità di
indirizzare al bene
o al male l'umanità con le loro informazioni e pressioni.
Dovranno pertanto conciliare i propri
interessi economici,
politici ed artistici
in modo da evitare ogni opposizione
al bene comune.
Per
raggiungere più facilmente questo intento,
faranno bene a dare la loro adesione
a quelle
associazioni professionali capaci di imporre ai loro membri -
se
necessario anche impegnandosi all'osservanza di un «codice morale» -
il
rispetto dell'onestà nelle loro attività e doveri professionali…..”.
Atti del Cocilio vaticano
“II
- DECRETO SUGLI STRUMENTI DI
COMUNICAZIONE SOCIALE - INTER MIRIFICA”
In questo post vorrei mettere in evidenza giusto un paio di
concetti che forse in questa vicenda Sallusti, non sono tenuti nella debita
considerazione: il primo è la responsabilità morale di chiunque rediga,
comunichi o rilasci una dichiarazione o una notizia non vera o manipolata; il
secondo è il piano della giustizia che attiene al settore delle comunicazioni
sociali. Ho volutamente lasciato trascorrere qualche giorno dalla notizia
dell’arresto, evasione, fuga e rientro agli arresti domiciliari di Alessandro Sallusti, per avere una maggior
lucidità di riflessione.
E’ inutile ricordare i fatti che lo hanno portato alla
condanna di un anno e due mesi di detenzione. Come tutti sappiamo la condanna
definitiva è avvenuta al termine del terzo grado di giudizio. Ciò significa che
l’imputato ha avuto tutto il tempo e tutti i modi per difendersi e far valere
le proprie ragioni. Senza entrare nel merito del giudizio, metterei subito in
evidenza che ogni cittadino è sottoposto alla legge ed al proprio giudice
naturale. Una cosa che non riesco a capire è perché tale prassi non deve essere
rispettata anche per i giornalisti. Chi fa il giornalista o sceglie di fare il
direttore responsabile, non lo fa certo per coercizione, bensì per libera
scelta. Allora perché persone come Sallusti si sentono discriminate per il solo
fatto che non un giudice, bensì tre gradi di giudizio lo hanno trovato
colpevole ed hanno comminato la pena prevista dal codice penale. Vorrei capire
per quale motivo le normali persone devono accettare le decisioni della
magistratura ed invece questo “personaggio” si permette di contrattare con la
giustizia. Non solo non ha rispettato la prescrizione degli arresti
domiciliari, ma è andato anche al “Giornale” e come pubblicato da Repubblica “A
nulla è valso l'appello di Alessandro Sallusti, che di prima mattina aveva
pregato le forze dell'ordine di non "violare" il Giornale e aveva proposto ai magistrati
uno "scambio": "Io mi consegno a San Vittore se la polizia non
viene in redazione", aveva scritto su Twitter. Ma invece a mezzogiorno la
polizia è arrivata in via Negri 4, alla sede del quotidiano, per notificargli
l'arresto ai domiciliari, ripreso in diretta dalle telecamere di Tgcom24. Due
uomini della Digos lo hanno portato via tra gli applausi dei colleghi. Prima di
lasciare la redazione per andare a casa con gli agenti, Sallusti ha rilasciato
qualche dichiarazione: "Non sono entrati al Giornale, sono
entrati nei giornali. Peccato che sia finita così". "E' una ferita -
ha proseguito - per tutti noi. Non si esegue l'arresto di un giornalista
all'interno di un giornale. La nostra categoria.. Beh dovrebbe avere un
sussulto, no?". E ha annunciato: "Evaderò dai domiciliari e andrò in
carcere. Tornerò qui a lavorare, mi arresteranno e andrò definitivamente a San
Vittore". Proposito messo in pratica alle 12.45, quando il direttore ha
abbandonato l'abitazione dove gli agenti lo avevano appena lasciato.”
A leggere queste righe c’è da rimanere allibiti. Verrebbe da
dire che si avverte una tracotanza da “quarto potere” con cui si propone
addirittura uno scambio…ma con quale diritto…. e poi finisce anche……con gli
applausi dei colleghi. Per non parlare
delle successive dichiarazioni…… Allora è ben comprensibile perché in Italia
abbiamo poca credibilità: siamo il Paese dei due pesi e delle due
misure…..siamo il Paese dove le caste hanno il potere di opporsi anche alla
giustizia. Ma questo ovviamente non attiene solo al Direttore del Giornale, ma
anche a politici, a mafiosi, a corrotti e corruttori….ciascuno si avoca un
proprio diritto di replica nei confronti della giustizia. Eppure sappiamo bene
che le responsabilità sono enormi, soprattutto per quanto concerne il reato di
diffamazione. Alcuni giornalisti del nostro Paese non ne percepiscono la
gravità. A cominciare dal direttore del Tg di La7che ha detto "Arrivare
a una misura coercitiva è davvero assurdo" la Repubblica riporta ancora "Purtroppo
questa - ha continuato - è la inevitabile conclusione di una vicenda insensata.
E' insensato che un giornalista venga arrestato per omesso controllo per
diffamazione. I reati a mezzo stampa o cagionano gravissime conseguenze alla
persona diffamata o non ha senso parlare di misure di questo tipo". Tale
affermazione potrebbe essere parafrasata dicendo che “è semplicemente assurdo
condannare una persona per un tentato omicidio che però non ha avuto le gravi
conseguenze attese”. Senza riportare le
considerazioni dello stesso tenore effettuate da altri giornalisti, direi che
occorre ripensare il metodo di giudizio adottato da questa casta: se la legge
deve essere eguale per tutti questa va applicata anche al Direttore del
Giornale. Se poi invece a latere si vuole discutere dell’inerzia della
politica questo nessuno lo impedisce. Ma
una sentenza di un potere istituzionale, per giunta con un giudizio espletato
nella massima correttezza della procedura, non deve essere discussa, tanto meno
dal diretto interessato. Però quello che
si evince dal suo comportamento è la cosiddetta “sindrome di onnipotenza” che
viene dimostrata dal condannato e che è emblematica perché rappresenta lo
spaccato di ogni casta che anche in Parlamento, guada caso, come presentato da
Ballarò, ha elaborato sì, una legge sull’incandidabilità, ma che permette a
tutti i condannati del parlamento, (tranne a uno solo sembrerebbe) di essere
rieletti senza problemi ed è stata talmente ben congegnata da permettere
perfino Marcello Dell’Utri, nonostante la severa condanna di ripresentarsi in
parlamento, poiché patteggiata in un periodo pregresso. Non si capisce però perché
per partecipare ad un concorso per bidello nella scuola o usciere in un
ministero, una qualsiasi pendenza è ostativa per la partecipazione. Tornando al
reato di diffamazione a mezzo stampa, a livello etico c’è da rilevare che
l’informazione e quindi la trasmissione della notizia, avviene attraverso i
mass media che rappresentano un bene d’ordine che deve essere severamente tutelato
per la salvaguardia della correttezza dell’informazione stessa e del corretto
impatto sull’opinione o nell’immaginario di chi legge o viene informato. La
severità della sanzione a mio avviso, data la mancanza di coscienza, si rende
necessaria e importante sia per quanto riguarda la persona che non può essere
calunniata impunemente, sia perché se non vi sono sanzioni severe le notizie
possono essere strumentalizzate a fini politici, a fini speculativi o semplicemente
a fini di raggiro. Che sicurezza potrebbe avere il cittadino sulla veridicità
di una notizia pubblicata, se non sapesse che l’estensore della stessa o il
responsabile che non controlla adeguatamente sono puniti in maniera esemplare?
La responsabilità dei giornalisti e di tutti coloro che si occupano ci
comunicazioni sociali deve essere chiara ed inequivocabile e soprattutto non
discutibile. La corretta informazione
infatti è un presupposto di democrazia e di equilibrio relazionale a livello
sociale. La dignità della persona umana anche se soltanto sfiorata da falsa
comunicazione riceve un impatto negativo di indescrivibile portata e pertanto deve
essere strenuamente difesa perché altrimenti si svilisce un diritto
fondamentale dell’uomo. Detto questo concluderei con il secondo concetto che
concerne il piano della giustizia delle comunicazioni sociali, questo deve
essere di chiara trasparenza a livello organizzativo e di netta correttezza e
onestà sotto il profilo etico. La giustizia che si invoca infatti è quella di
carattere commutativo che rende evidente in termini di nocumento, ciò che si
determina, con false notizie, nei confronti della persona diffamata o
calunniata. Sul piano della giustizia deve essere chiaro che le parole, le
scritte, gli scoop dei mass media, sono esattamente come “colpi di pistola” una
volta sparati non si possono più fermare. Allora devono essere valutati i due
momenti, quello della diffusione che è molto forte ed incisivo, e quello della
rettifica che di solito viene fatta valere solo dall’interessato nella completa
indifferenza della maggior parte dei lettori. Il peso del momento della
diffusione è quindi cento volte maggiore rispetto a quello della rettifica.
Essendo così differenti i pesi sul piano della giustizia va quindi esattamente
valutato l’impatto e pertanto va anche valutato il fine perseguito, oltre al
danno causato. L’unica circostanza che possa essere invocata è l’errore anche
se resta molto arduo separarlo dall’eventuale dolo o dalla mira economica che
ha fatto scattare la decisione volontaria di pubblicare la falsa notizia. Sotto il profilo etico dunque la salvaguardia
della dignità di ciascun uomo deve essere e permanere la discriminante
oggettiva della liceità di pubblicazione di una qualsiasi notizia, dunque il
giornalista o chi si occupa di comunicazione sociale deve ponderare bene
l’entità del danno, che la propria decisione produce e soprattutto prima di
pensare alle conseguenze giuridiche sarebbe opportuno che consideri le
conseguenze a livello morale che questa comporta.
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