Però, signor Simplicio, venite pure con le ragioni
e con le dimostrazioni
vostre o di Aristotele,
e non con testi e nude autorità, perché i discorsi
nostri hanno
a essere intorno al mondo sensibile,
e non sopra un mondo di
carta.
Galileo
Galilei “Dialogo sui massimi sistemi del mondo” II
In questi giorni
stiamo vivendo una polemica che a dir poco è vergognosa. Ciò che lascia
perplessi è la mancanza di sdegno! Il nostro Paese si è dimenticato della propria
cultura e della propria coscienza critica tanto da lasciarsi prendere in giro
anche su qualcosa così importante e vitale come il lavoro. Certo che le paludi
delle sabbie mobili non avvertono chi incauto vi passeggia spavaldo ed è quello
che sta accadendo purtroppo a molti di noi: non si accorgono che pian piano la
terra che ci stanno scavando in fondo creerà una voragine che ci inghiottirà
senza neanche darci il tempo di pensare. Queste affermazioni non vogliono
essere un monito, non aspiro a tanto, vorrei solo che fossero d’aiuto per una
riflessione che le allinei correttamente
inquadrate nella loro giusta luce. Appare evidente come non tutti
infatti comprendano l’importanza che l’esattezza dei dati riveste nella nostra
realtà, non capiscano la manipolazione dell’ “angloffagine” di Renziana
invenzione Jobs Act (tra l’altro anche linguisticamente errato) ed infine non
pretendano che di etica non se ne parli soltanto, ma che si faccia qualcosa di
concreto in merito.
I DATI
Senza approfondire
il ragionamento sull’importanza dei dati, vorrei sottolineare che nell’attuale società la conoscenza dei dati è divenuto un
elemento fondamentale per prendere le decisioni quotidiane. Abbiamo bisogno
dell’ora esatta, delle indicazioni meteo, delle indicazioni stradali del
Tom-Tom, dei dati di borsa, dei prezzi
di mercato, delle tariffe delle utenze, di bilancio, dell’andamento del Pil,
del livello dello spread, degli scioperi, della disoccupazione ecc. ma questi
dati non sono soltanto numerici, nominali, reali o di proiezione, sono anche
iconografici, audiometrici, psicografici, socio-economici, politici. Sono dati
che divengono audiovisivi, mostrati, teletrasmessi, strillati, assertivi,
prospettici ecc. Ciò che vorrei sottolineare in questa breve riflessione è
l’importanza dei dati che così come presentati attraverso l’uso dei mass media
impiegati, possono divenire veri pur se non lo sono.
Allora il problema
su cui non sempre ci soffermiamo è capire qual è la qualità dei dati, la loro
fonte, il sistema di rilevazione, il sistema di valutazione nonché il sistema
di proiezione e di diffusione. Sappiamo bene che i numeri e le statistiche sono
in grado di rappresentare tutto e il contrario di tutto. Pensiamo al “Pollo di
Trilussa” pensiamo ai vari sistemi di valutazione percentuale basati su medie
aritmetiche, medie ponderate, medie geometriche ecc. Pensiamo alle campionature
effettuate dagli esperti statistici, all’errore insito nella rilevazione,
all’equivocabilità del dato. Questo per quanto concerne la fonte e la
rilevazione, ma pensiamo anche alla valutazione, alla discriminazione dei dati
e questo è facilmente comprensibile se prendiamo due fenomeni del nostro tempo
e del nostro Paese come l’evasione e la disoccupazione. Per l’evasione non
esiste una valutazione della qualità del dato: se non si pagano le tasse e le
imposte si è immediatamente classificati evasori e perseguitati dall’Agenzia
delle Entrate attraverso quella “ghigliottina esattiva” che conosciamo come
Equitalia, anche se le tasse non si sono pagate per puro incidente. Per la
disoccupazione invece la qualità del dato non esiste più da qualche anno a
questa parte: essendo cambiata l’origine del dato ormai la disoccupazione non è
più un dato di fatto bensì un criterio soggettivo http://www.istat.it/it/archivio/8263 . Infatti
mentre fino al 2005 la posizione di occupato si faceva corrispondere più
o meno alle Posizioni di Lavoro (PL) a
tempo parziale o saltuario,
rapportandole al cosiddetto Lavoro a Tempo Pieno (ULA) per cui in
corrispondenza dei differenti settori gli occupati venivano valutati in base
alle ore lavorate rapportate al tempo pieno. Attualmente gli Occupati sono individuati, a prescindere dal lavoro
a tempo pieno, tra coloro che con
oltre 15 anni di età hanno lavorato nella settimana dell’indagine dell’ISTAT,
almeno 1 ora retribuita (anche non retribuita se in azienda familiare). Quindi
capite bene che se una persona lavora un’ora a settimana viene statisticamente
calcolata come occupato pur in realtà lavorando soltanto 52 ore all’anno (1 ora
X 52 settimane) quindi non è un occupato
bensì è un disoccupato vero e a tempo
pieno. Se consideriamo infatti che per un lavoro a tempo pieno e indeterminato
si calcolano circa 36 ore alla settimana per cui per un anno intero, tolte le 4
settimane di ferie, si possono calcolare 36 ore x 48 settimane equivalenti ad un totale di ore
lavorate, considerando l’ULA, pari a 1.728. Perciò se si sottraggono le 52 ore
lavorate dalle 1.728, del lavoro a tempo pieno, si hanno 1.676 ore che divise per 36 danno circa 46,5
settimane per un equivalente periodo pari a 11,64 mesi di disoccupazione. Ecco qui che ragionando in termini monetari
possiamo definire anche il problema della povertà crescente: una persona anche
guadagnando nella migliore delle ipotesi 100 euro l’ora e quindi a settimana
dovrebbe poter vivere con euro 14,30
euro al giorno!
Il discorso della
manipolazione dei dati riveniente dalla nuova legislazione introdotta e
sbandierata come soluzione ottimale della disoccupazione non ha bisogno di
molte dimostrazioni per capire la manipolazione dei dati effettuata per mezzo
della nuova normativa. Il Premier dice che con questo provvedimento ci saranno
le “tutele crescenti” vale a dire più lavoro a tempo indeterminato; che le
imprese potranno assumere con più facilità; che i nuovi occupati finalmente
potranno andare in banca ed ottenere un mutuo per acquistare la casa; che l’occupazione crescerà consistentemente
grazie alla nuova legge! Io non vorrei sembrare pedante però basta che ciascuno
di noi si interroghi sulle suddette “castronerie” riportate in maniera
“scoopistica” dalla maggior parte dei mass media, senza che, tranne rare
eccezioni come Stefano Folli, fosse fatta
un’analisi critica delle parole del premier. I giornali ormai riportano “dati
non veritieri”, non perché i numeri siano errati, ma solo perché
strumentalmente manipolati, facendoli passare per “veritieri” attraverso la
loro maniera di diffonderli, attraverso “l’ignoranza diffusa” di chi fa
giornalismo riguardo alla natura delle affermazioni riportate. E l’errore di
questo tipo di “stampa” da cui invito tutti i cittadini di “buona volontà” a
dissociarsi manifestamente, non fa altro che alimentare il “decisionismo
renziano” facendo riprecipitare, il nostro Paese, in maniera inimmaginabile nei primi anni ’20
del secolo scorso, quando un certo decisionismo del genere, supportato da un
informazione “ignorante e strumentale” in presenza di una opposizione frammentata
ed inconcludente, ha creato i presupposti che hanno condotto al fatidico
“Ventennio”. Per tornare alla
manipolazione del Jobs Act, pochi infatti si soffermano sulla differenza tra
contratti trasformati e nuovi contratti che si riferiscono al Dlgs 23/15:
accettano supinamente di credere che l’occupazione è aumentata perché lo dice
il Premier! Ma una cosa sono nuovi occupati e altro è la trasformazione del
rapporto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato a tutele
crescenti. La sostanza è una sola: la precarietà resta, anzi è destinata ad
aumentare. La giustificazione è nei dati, nella loro rilevazione: ottenuti dal
Ministero del Lavoro rispetto a quelli Istat. Ma la realtà è che la
disoccupazione continua ad aumentare e che aumenterà ancora di più nei prossimi
anni dato che il comma tre dell’art. 1 di questo decreto recita: “Nel caso in cui il datore di lavoro, in
conseguenza di assunzioni a tempo indeterminato avvenute successivamente
all'entrata in vigore del presente decreto, integri il requisito occupazionale
di cui all'articolo 18, ottavo e nono comma, della legge 20 maggio 1970, n.
300, e successive modificazioni, il licenziamento dei lavoratori, anche se
assunti precedentemente a tale data, è disciplinato dalle disposizioni del presente
decreto.” ciò sta a significare che non ci sarà più limite alla possibilità
di licenziare. Basta infatti che anche le imprese che abbiano meno di 15
dipendenti, ne assumano con la presente normativa uno più dei 15 prescritti per
poter licenziare senza problemi anche quelli che assunti in precedenza godevano
di un contratto a tempo indeterminato. Ecco perché l’informazione che il
Premier veicola attraverso la stampa è strumentale. Così come lo è quella
relativa alla cosiddetta “fuga dei cervelli” che il Premier, dalla visita negli
USA spaccia come “diritto di chiunque di andare a coronare i propri sogni
all’estero!” Come si fa a non capire che questa è una “Matteata”!! I cervelli
in fuga non sono altro che la nuova categoria degli “emigranti italiani del
nostro tempo”. Non vanno all’estero per libera scelta, ma semplicemente perché
qui non c’è lavoro per loro! I nostri emigranti contadini sono stati sostituiti
dopo un secolo da emigranti laureati a pieni voti, ma pur sempre emigranti! E
il Premier invece di prendersi le responsabilità per la propria incapacità di
creare spazi occupazionali di eccellenza per questi cervelli, “ciurla nel
manico” respingendo responsabilità che sono solo sue. Chi vuole governare non
può dirsi fuori semplicemente perché ne è incapace. Si badi bene però, non
incapace perché “diversamente abile” altrimenti mi guarderei bene da tale
affermazione, ma incapace, perché “politicamente ignorante” vale a dire senza
retroterra politico, senza capacità organizzative a livello di cultura politica,
senza una squadra capace di esprimere le soluzioni giuste per il Paese. Tutti i
problemi derivanti dagli appalti e corruzioni varie lui asserisce di risolverli
a) maledicendo i Gufi; b) mettendo più seri controlli; c) decidendo secondo la
sua testa! Questa non è politica, però è una situazione molto pericolosa perché
l’inconcludenza politica dell’opposizione sposandosi con il decisionismo mirato
di chi pensa di poter governare “decidendo a prescindere”, se non ci si rende
conto in fretta, porterà attraverso l’Italicum alla creazione di una sola
Camera legislativa, asservita, grazie alla maggioranza ottenuta con un premio,
al Premier, che farà le leggi non più “ad personam” bensì più pericolosamente
potremmo dire maccheronicamente “ad
Partitum” generando quella impositività normativa non più mediata da un senato,
come nell’attuale “bicameralismo
perfetto” ma senza possibilità di replica! E il dato è che i mass media
riporteranno le parole del Premier diffondendo supinamente che “le decisioni
servono alle riforme e che sono funzionali al cambiamento!”
L’ETICA
Per concludere vorrei
che ci domandassimo: dov’è l’etica pubblica? Dove sono i presupposti di
un’economia dello sviluppo? Dove sono coloro che potrebbero declinare l’etica
anche in politica e che sappiano distinguere la veridicità dei dati? Perché
l’attuale Premier ed i suoi ministri non sono in grado di creare posti di
lavoro e continuano a fare “partite di giro”? Sappiamo che il Premier ha dato
80 euro in busta paga a qualcuno, ma
sappiamo anche che altri si son visti defalcare le pensioni nei mesi di
gennaio, febbraio, marzo e aprile di un importo complessivo pari a circa 1200
euro. Come mai? Come mai sta facendo così anche l’attuale presidente dell’INPS
e che forte della sua Lobby sta inventando, senza ricordarsi che le leggi dello
stato sono quelle che creano i comportamenti e che i cittadini che le hanno
subite non devono essere vessati, pur se hanno ottenuto dei privilegi. I
diritti acquisiti ed imposti per legge non possono essere cancellati perché
coloro che vengono dopo non sanno risolvere i problemi. La solidarietà non
passa per il taglio alle pensioni, bensì per la creazione di ricchezza da parte
di chi ha la capacità di farlo in termini di governo e dirigenza. Il diritto è tale perché vi sia certezza. Le
leggi non possono cambiare gli status delle persone, semplicemente perché vi
sono degli “incapaci” chiamati a dirigere il Paese. In Italia abbiamo visto che
i professori, molto bravi quando sono in Facoltà di Università rinomate, poi all’atto
pratico messi di fronte alla realtà si rivelano
incapaci di gestirla e tanto per non fare nomi basta tornare ai danni
creati dal Governo Monti che ora ci troviamo a fronteggiare non solo sotto il
profilo economico, ma anche politico con l’avvento di questa squadra di governo
e sociale determinato da una dilagante corruzione unita a disoccupazione e
disinteresse per lo sviluppo del Paese.
Così, tornando al prof. Boeri, come può tale alto dirigente INPS
inventarsi un taglio delle pensioni
prendendo a riferimento la differenza tra retributivo e contributivo,
quando ad imporre il retributivo ed il sistema pensionistico era una legge?
Come poteva un lavoratore fare i versamenti con un sistema contributivo che,
anche se lo avesse voluto, era impossibile perché legalmente inesistente? Ed
ora come può tale Presidente, anche docente del lavoro suggerire tale soluzione
ben sapendo che le pensioni che darebbero un senso al taglio che egli
suggerisce non sono certo quelle della fascia dei 5 mila euro mensili in su,
ma sono quelle della fascia media che
anche se nominalmente hanno un valore di 3.000 euro in realtà come potere
d’acquisto ne hanno solo 1.800 se basta?
Se le persone sono andate in pensione con un certo importo ed hanno preso
impegni contando su quell’importo, stabilito per legge, ora come può qualcuno
pensare di fare tabula rasa di quei diritti e di quelle obbligazioni? Ma il
prof. Tito Boeri, che una volta scriveva su www.lavoce.info , registrando con serietà le distorsioni del sistema,
perché ora invece di fare demagogia non fa uno studio sui dati oggettivi a sua
disposizione per chiedere al governo di creare posti di lavoro per permettere
il pagamento delle pensioni invece di dare al Premier, non voglio credere per
dovere di riconoscenza per la carica ricevuta con i relativi benefici,
indicazioni su come creare posti di lavoro come il sottoscritto ha fatto sulle
pagine di questo Blog? La sua proposta è semplicemente immorale e fondata
probabilmente su una “sindrome di onnipotenza”. Per fortuna che è intervenuto
il ministro Poletti a mitigare quanto suggerito dal suddetto “luminare” http://www.avvenire.it/Economia/Pagine/Pensioni-nessun-taglio-Poletti-corregge-Boeri-.aspx con la sua proposta per il ricalcolo delle pensioni
con una sforbiciata ai trattamenti più alti quantificati con il sistema
retributivo e superiore ai contributi che effettivamente sono stati versati,
altrimenti si rischierebbe di abbassare ancora di più il livello di povertà in
cui versano i pensionati italiani appartenenti al ceto medio. Di fronte a
questa realtà come si può ritenere che le mire e gli intenti di questa proposta
siano etici e non strumentali? La domanda sorge spontanea proprio perché chi
propone le soluzioni è un tecnico ed un tecnico sa bene che le partite di giro
servono solo a quadrare la contabilità e non a creare sviluppo e allora? Quali
sono i dati? Quali sono le leggi? E soprattutto qual è l’etica che sottende
queste idee? Credo che pian pianino dopo “l’etica personale” delle mazzette e
degli appalti se ne stia affermando una ancora più perniciosa “l’etica di
facciata a salvaguardia della poltrona ottenuta” e questo può essere letto bene
nelle parole dell’attuale Presidente INPS: “Una
proposta organica per la riforma
pensioni, che prevede sì più flessibilità in uscita per la
pensione anticipata, ma anche il ricalcolo delle pensioni con una sforbiciata
ai trattamenti più alti quantificati con il sistema retributivo e superiore ai
contributi che effettivamente sono stati versati perché si ritiene necessario
ricostituire il patto intergenerazionale magari attraverso un prelievo sulle
pensioni più alte". Vi sembra
Etica questa?
Nessun commento:
Posta un commento