“..In questo modo la famiglia,
nella quale le diverse generazioni si incontrano e si aiutano vicendevolmente a
raggiungere una saggezza umana più completa e ad armonizzare i diritti della
persona con le altre esigenze della vita sociale, è veramente il fondamento
della società. Tutti coloro che hanno influenza sulla società e sulle sue
diverse categorie, quindi, devono collaborare efficacemente alla promozione del
matrimonio e della famiglia; e le autorità civili dovranno considerare come un
sacro dovere conoscere la loro vera natura, proteggerli e farli progredire,
difendere la moralità pubblica e favorire la prosperità domestica. In
particolare dovrà essere difeso il diritto dei genitori di generare la prole e
di educarla in seno alla famiglia. Una provvida legislazione ed iniziative
varie dovranno pure proteggere ed aiutare opportunamente coloro che sono
purtroppo privi di una propria famiglia…” Gaudium et Spes" n. 52
Nell’attuale clima mediatico,
sviluppatosi soprattutto dopo la sentenza 601, depositata dalla
Cassazione, di affidamento del figlio alla madre convivente con una compagna
omosessuale, appare difficile ubicarsi nei concetti che vorrei esprimere.
Soprattutto perché non aspirerei a passare come promotore di ideologie
politiche o fondamentalismi religiosi. Cercherò perciò di esprimere il mio
pensiero in maniera lineare e comprensibile a tutti, anche perché ritengo
assolutamente necessario fare chiarezza su un argomento che non sembra trovare
pace in nessuna delle strutture sociali in cui
si manifesta. Comincerei perciò partendo da un tentativo di
chiarificazione dei piani e dei concetti che interessano il nostro discorso al
fine di permettere a ciascuno di formulare un proprio autonomo giudizio. A tal fine occorre fare una netta distinzione
tra ciò che nella realtà delle decisioni umane è discrezionale e ciò che non lo
è, cosi come discernere tra ciò che
attiene al piano organizzativo e ciò che attiene al piano esistenziale. Ma
andiamo per gradi. L’uomo come abbiamo sempre detto è creatura, vale a dire che
non ha il potere di autodeterminarsi fisicamente, ma è il prodotto di una
volontà che esula dalla propria. Infatti l’uomo nasce anche quando non lo si
crederebbe e può non morire anche quando lo vorrebbe, inoltre nasce in un
giorno che non è lui a stabilire e muore certamente in un momento che non è lui
a scegliere. Detto ciò, si capisce immediatamente che il principio di
creaturalità enunciato ci riporta alla realtà oggettiva della natura umana imposta
dalla legge naturale. Per legge naturale si intende quell’insieme di regole che
non è l’uomo a darsi, ma che deve accettare come dato di fatto perché non ha il
potere di cambiarle. Per spiegarmi meglio posso fare l’esempio di ciò che
ritengo soggetto alla legge naturale e cioè: per ottenere un figlio c’è bisogno di una
interazione tra i due sessi; se uno nasce di sesso maschile non lo si può
classificare femminile; se c’è sterilità non ci può essere nascita, se uno
nasce bianco non può essere nero e viceversa. Ci sarebbero poi molti altri esempi, ma penso
che quelli citati possano bastare. Ma l’uomo soggetto alla legge naturale non
potendo far altro per affrancarsene, aggiunge a complemento o in alternativa
anche la cosiddetta antropologia culturale, vale a dire l’uso intenso di
pratiche miranti ad un cambiamento che possono indurre; un cambiamento, non
certo nei caratteri fisici, ma senz’altro in quelli psicologici, antropologici
e sociologici dell’individuo. Ecco allora che per comprendere a fondo la gravità
dell’influenza culturale corre l’obbligo di sottoporsi ad una riflessione più
approfondita concernente l’evoluzione dell’essere umano in quanto essere
politico e sociale. Con un po’ di onestà intellettuale capiremo quindi che
anche se questo influsso culturale risulta poderoso, non per questo ci si può permettere
di derogare dal primo assunto riguardante la legge naturale.
Se questo discorso è chiaro si capirà
anche che esistono due piani distinti e cioè il piano organizzativo di ordine
giuridico, necessario al buon funzionamento della società ed il piano
esistenziale d’ordine etico, necessario al raggiungimento del bene comune.
Fatta questa distinzione possiamo allora procedere sicuri nel ragionamento,
vale a dire cioè, che mentre tutto ciò che attiene al piano esistenziale
risponde ad un principio etico che non può essere manipolato, ciò che invece
attiene al piano organizzativo normato giuridicamente può essere
soggettivamente o collettivamente strutturato. Se questa mia interpretazione è stata chiara allora
appare evidente che l’essere umano potrà agire discrezionalmente soltanto in
quei punti in cui non va ad incidere o confliggere con la legge naturale, in
quanto questa non è discrezionalmente gestibile e soprattutto crea situazioni
di rigetto, a livello umano e psicologico, la cui gravità è impossibile da
riconoscere prima che detto fenomeno si verifichi. Così andando ad esaminare la
posizione sull’argomento delle coppie gay e sulla loro possibilità di unione
più o meno lecita più o meno riconosciuta o riconoscibile, io ragionerei in
questa maniera: sul piano organizzativo e del diritto nessuno può vivere in una
società se la fattispecie delle azioni che compie non rientrano nel quadro
della legalità, per contro quindi occorre che qualsiasi atto o situazione che
deroghi dalla “normalità”
consuetudinaria, sia oggetto di una precisa normativa che salvaguardi sia i
diritti soggettivi che gli interessi legittimi di chi pone in atto tale azione
o situazione. Per le unioni gay sul piano organizzativo quindi ci si
aspetta che vengano normate fornendo a
questi patti di solidarietà omosessuale, la salvaguardia di tutti i diritti
propri dell’essere umano che ha scelto di vivere in maniera “diversa” il
proprio status sociale. L’errore, politico, mediatico e culturale, voluto o no in
senso strumentale, è il voler continuare
a parlare impropriamente di “matrimonio”, questo infatti può esserci soltanto
tra persone di sesso diverso che si uniscono in base ad una legge naturale,
sancita da una norma religiosa, o civile, per cui il matrimonio rende manifesto
e pubblico il vincolo del nucleo familiare dandogli una connotazione
consuetudinaria riconosciuta e protrattasi nella storia. Le unioni di fatto,
non sono un matrimonio in quanto il vincolo è discrezionale e non manifesto. Le
coppie di fatto quindi benché originate da una legge naturale mancano del
vincolo manifesto, riconosciuto dalle diverse comunità degli uomini, in termini
sociali. Allora occorre che, come per i matrimoni civili e religiosi, si
elabori una norma che salvaguardi i diritti soggettivi, ma in maniera diversa
da quelli sanciti dal vincolo pubblico e manifesto, non certo per volontà della
società, ma per rispettare la libera scelta della singola coppia di fatto. Se
poi qualcuno reclami alle unioni di fatto la stessa valenza di diritti delle unioni
di diritto va chiaramente dimostrato che è una pretesa incomprensibile che
qualora venisse accolta creerebbe una confusione enorme nella struttura sociale
in quanto di fatto si annullerebbe il concetto di matrimonio, orientando al
libero arbitrio qualsiasi unione, mancando in sostanza la necessità di
impegnarsi in un legame manifesto e pubblico. Infatti che senso avrebbe
contrarre matrimonio quando di fatto per avere gli stessi diritti non ce n’è
bisogno essendo le coppie di fatto equiparate nei diritti? E per quali motivi
si rimarrebbe coppie di fatto se ci fossero vincoli mirati alla salvaguardia
dei diritti? Se è già tanto difficile oggi discernere tra diritti e doveri dei
coniugi, quanto più lo sarà tra i compagni di una coppia di fatto? Sappiamo
infatti che questa non vuole regole e pertanto si tiene fuori dai canoni
dell’ordinamento. La società però ha bisogno di darsi un ordine organizzativo e
quindi un ordinamento giuridico per la salvaguardia dei più deboli, ma sempre
ricercando un ambito di chiarezza. La famiglia infatti ha bisogno di
classificare componenti precisi che abbiano vincoli di sangue, ma anche vincoli
normativi che li rendano consapevoli dell’importanza dell’unione. E questo, sia
per quanto riguarda i coniugi che i figli, come gli ascendenti ed i
discendenti. Certo anche nella coppia di fatto deve essere salvaguardato il
diritto del minore, ma questo non può essere fatto senza incidere sulla realtà
di “deroga volontaria” dei genitori. A questo punto, ampliando il discorso,
ritengo sia chiaro il fatto che anche per le unioni gay debba esserci una norma
che ne sancisca diritti e doveri, ma senza chiamarla “unione”, perché non di
unione si tratta, ma di semplice accordo di convivenza solidale ancorché
affettivo. Quindi anche per questo tipo di accordo, pur se basato su un affetto
naturalmente umano che però non origina una unione in termini di legge
naturale, deve essere individuato un impianto normativo che ne sanzioni i
comportamenti sotto il profilo giuridico. Va da sé che il piano etico non può
essere invocato, semplicemente perché inesistente, mancandone i presupposti.
L’etica infatti è la conoscenza del bene e dell’azione possibile per
riprodurlo. Ma sul piano giuridico nulla vieta pertanto che vengano
salvaguardati alcuni importanti diritti che potremmo chiamare di
“sopravvivenza” in maniera analoga a quelli sanciti da una unione coniugale per
tutto ciò che concerne il reciproco sostentamento ed aiuto. Quindi io parlerei
di accordi di solidarietà senza per questo indicarli come matrimonio o ancor
peggio come unione familiare. Pertanto non è possibile, proprio per legge
naturale che non contempla la generazione di prole, dare in adozione figli di
altri, che oltre ad essere disastrati dovrebbero vivere in una realtà anomala:
mentre tutti gli altri hanno un padre ed una madre, pur se adottivi, questi si
trovano ad avere due padri o due madri in termini di senso comune e pertanto
subire una forzata anomalia evolutiva. In tale contesto comunque non va confuso
il fatto che uno dei due “compagni”, possa essere legittimo padre o legittima
madre di un minore e di averne l’affidamento. La sentenza sopra citata a mio
avviso non sosteneva quello che i giornali hanno “strillato”, ma più
semplicemente hanno affidato alla madre il legittimo figlio. Che poi la madre
avesse una relazione gay questo è un altro fatto. Per concludere direi che
mentre sono da accettare ed incentivare gli “accordi di solidarietà” questi in
futuro credo che saranno oggetto di sviluppo ulteriore proprio a causa
dell’impossibilità di molti anziani di vivere da soli. Pertanto non ci saranno
soltanto le convivenze gay, ma si creeranno convivenze plurime e solidali anche
tra più persone di cui non si conoscono le tendenze e che quindi vanno normate
nei diritti e nei doveri. Infine credo che sia inequivocabile e razionalmente
condivisibile il no al “matrimonio gay” ed alla “famiglia gay” che una presa di
coscienza da parte della nostra società deve saper pronunciare. Se così non
fosse si rischierebbe di scadere in una promiscuità strutturale in cui se già
adesso non si capisce, grazie al prestito d’utero, se tua madre è tua nonna o
se tua zia è tua madre, come spiegheremo ad un bambino che quella donna è tuo padre e che tua madre è
quell’uomo? E quindi quale uguaglianza c’è tra lui ed un altro che vive in una
famiglia in cui quella donna è tua madre e qull’uomo è tuo padre? Quale sarebbe
la vera connotazione di famiglia? Quella naturale o quella culturale? E
soprattutto quali turbe psicologiche solleverebbe nel bambino il sentirsi
discriminato nella realtà naturale? Con ciò, va da sé che sia d’obbligo
pertanto, anche il no alle adozioni quale conseguenza logica di tutto il
discorso.
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