“In realtà, se lo stato è una comunità ed è una comunità
di cittadini partecipi d’una costituzione, quando la costituzione
diventa specificamente diversa e dissimile, par che di
necessità anche lo stato non sia più lo stesso,
proprio come diciamo che è diverso un coro che talora è comico,
talora tragico, pur se spesso i componenti sono gli stessi, e
egualmente che è diversa ogni altra società e associazione,
se diversa è la forma dell’unione: così pure, nonostante
l’eguaglianza dei suoni, parliamo di diversità di modi musicali,
se anche talora si tratti del modo dorico, talora di quello frigio.
Ora se le cose stanno in questi termini, è evidente che bisogna
soprattutto affermare che uno stato è lo stesso guardando alla
costituzione e si può chiamarlo con lo stesso nome o con
uno diverso, sia quando gli abitanti sono gli stessi,
sia quando dono del tutto diversi……….”
Aristotele: POLITICA, III (I), 3-4, 1276 b Laterza Ed. pag. 76
Aristotele: POLITICA, III (I), 3-4, 1276 b Laterza Ed. pag. 76
Le
presidenziali francesi a mio avviso sono il fenomeno attualmente da monitorare.
Perché? Innanzitutto va chiarito il quadro di riferimento in cui porre questa
mia affermazione. Un quadro dai fondamenti etici. Etica qui intesa come
conoscenza del bene e dell’azione atta a riprodurlo. Quindi il primo elemento è
il concetto di bene, il secondo la politica come strumento con cui si raggiunge.
Il bene è il bene comune. Molti non ci credono, però se vogliamo parlare di
sviluppo, di evoluzione del concetto di umanità e di diritti umani finalizzati
al riconoscimento della dignità di ciascun uomo e di tutti gli uomini, non
possiamo non scindere tale concetto moltiplicativo esistenziale di bene, dal
concetto addizionale e più economico di benessere.
Ma
che c’entra il bene comune con il secondo turno francese? Certo il concetto non
è immediatamente trasparente. Occorre una riflessione sulla perniciosità delle
ideologie. In questo momento, infatti, mentre tutti i candidati dovrebbero sentire l’urgenza
di individuare una via elettorale che porti alla scelta di una presidenza sulla
base di seri obiettivi a sostegno del bene comune, tali concorrenti, per
contro, invece di capire il segno dei tempi, si schierano ideologicamente su
posizioni che si rivelano sempre più partitiche e meno politiche. Ma chi sono
questi concorrenti? Quale la loro autorevolezza in termini politici e quindi
etici? Sentono le loro responsabilità sapendo che il risultato porterà
comunque, a prescindere dal vincitore, nel bene o nel male, un cambiamento che
inciderà sul futuro non solo della popolazione francese, ma di tutta l’Europa e
finanche del mondo intero, in termini di possibili derive.
Una contesa
elettorale è sempre una questione di potere, l’ambizione di poter gestire la
parte più consistente dei fiumi di denaro che, dietro la facciata dei fini
politici, verranno spartiti, a fini partitici, a fini personali, a scopo di
attribuzione di poltrone. L’incognita di questo quadro è dunque l’affermarsi
delle cosiddette “strutture di peccato”
che nella enciclica, Sollicitudo Rei
Socialis, Giovanni
Paolo II (link in pagina) ha ben descritte ai punti 36 e 37. Esse sono
rappresentate dai due atteggiamenti tipici dell’egoismo umano: “la brama di profitto e la sete di potere ad
ogni costo”. Per risolverla,
proporrei ai francesi di adottare un atteggiamento diverso che permetta loro di
trasformare questa tornata da competizione Partitica
in gara Politica. Di uscire dalle
gabbie ideologiche. Di formare nuove coalizioni. Di vedere oltre il passato di
destra e sinistra, unendosi e convergendo su ideali comuni. Su obiettivi
concreti. Il metodo non è difficile, basta analizzare i programmi, gli
indirizzi, le proposte e le aspettative dei
candidati e poi valutarle sotto il profilo umano. Stimandole sotto il
profilo delle conseguenze e in termini di etica applicata, vale a dire di responsabilità
personali per il disegno di scenari futuri che incideranno certamente, a causa
dell’interdipendenza e della globalizzazione, su tutti gli abitanti del
pianeta. Questa non è un’affermazione gratuita, bensì è la visione reale dell’attuale
meccanismo che regola il mondo: l’emulazione, l’omologazione, la standardizzazione
o tipizzazione di modelli e di comportamenti destinati a ridisegnare i profili
della storia. Allora tra le tante considerazioni che si possono ascoltare e
leggere sulla Rete, possiamo prendere quelle che affermano che tali elezioni potrebbero,
non solo modificare la Francia, ma persino il paesaggio politico tedesco in
vista delle elezioni politiche del 2013 perché se dovesse vincere Hollande,
vorrebbe dire che la socialdemocrazia in Europa, e quindi anche in Germania, è
ancora una forza viva con cui bisogna fare i conti. Oppure che il mondo
dell’industria e della finanza continua a sperare in una vittoria di Sarkozy
perché altrimenti non sarebbe garantita la tenuta dell’euro. Oppure riflettere
sul pensiero di qualcuno che reputa Hollande promotore di superate politiche
socialdemocratiche ormai rese obsolete dalla storia perché centrate su incremento
della spesa pubblica, su maggiore ingerenza dello Stato nella sfera economica e
perfino su un aumento del debito. Non
per niente infatti egli è favorevole agli eurobond che Angela Merkel
ha bocciato e che potrebbero segnare il naufragio della coalizione con il
partito liberale (FDP) sempre sensibile alle istanze del mondo economico e
finanziario. Per non rimarcare poi che
l'eventuale vittoria di Hollande al secondo turno e' vista con scetticismo dai
mercati perché difensore di una politica
meno incline al rigore finora dimostrato dall'asse Parigi-Berlino. Sulla scia
di questa paura si e' generata una corrente che ha spinto gli investitori verso
investimenti difensivi, in un mercato in cui circolano notizie tutt'altro che
positive, come la caduta del Governo olandese, l'ufficializzazione della
recessione della Gran Bretagna e il rincorrersi delle voci che lo Stato
spagnolo, in recessione tecnica, sia costretto a indebitarsi maggiormente per
salvare le proprie banche. Ma Hollande che cosa propone realmente? Riassumiamo
quello che dice l’Espresso a pag. 79. In sostanza: una redistribuzione dei
sacrifici, una patrimoniale del 75% sui
milionari e del 45% per i patrimoni al di sopra dei 150 mila euro; fine del
regime delle stock option, ritorno al sistema di banca pura, invece
dell’attuale banca universale; limitazione dell’operatività delle banche nei
paradisi fiscali con utili tassati al 15%; aiuti pubblici per attrarre gli
investimenti esteri in Francia; previsione di riequilibrio dei conti pubblici
nel 2017; da notare inoltre una cosa in netta controtendenza con le politiche
italiane: l’assunzione di 60 mila professori nella scuola pubblica e come se
non bastasse, anche la rivalutazione dei salari degli insegnanti; 150 mila
posti di lavoro destinati ai giovani delle “banlieues”;
ritorno a 60 anni dell’età pensionabile con 41 anni di contributi……..tutte
politiche impensabili in Germania e che probabilmente non avrebbero nemmeno
l’appoggio dell’SPD ma che tuttavia fanno sì che gli oppositori della Merkel si
aspettino molto da una vittoria di Hollande perché sono posizioni chiare, inequivocabilmente
di sinistra, vale a dire aperte, progressiste, e soprattutto alternative
rispetto a Sarkozy sulle tasse, sui temi sociali e sulle politiche europee. Ma
che dice Sarkozy? Qual è il suo programma? Possiamo riassumerlo in “Una
Francia forte”, oppure nella “revisione
degli accordi di Schengen per il controllo degli immigrati” oppure ancora “una
politica economica continentale” da ricalibrare, per difendere la
produzione europea dalla “concorrenza sleale” attuata, con delocalizzazioni, in
altre aree del mondo e per sostenerla mediante commesse pubbliche che
privilegino per legge le imprese dell’Unione. Si capisce bene come qualcuno ha
giustamente evidenziato che il presidente uscente non abbia elementi
convincenti per proporre prospettive di novità e pertanto, se vuole riuscire,
deve necessariamente conquistarsi l’appoggio di Marine Le Pen che ha ottenuto
un voto, nel contempo di consenso e di contestazione: il Fronte nazionale voleva
dimostrare di essere il solo tenutario della protesta e della collera della
Francia profonda. Le va dato il merito di aver saputo correre il rischio del populismo,
della xenofobia, del revanscismo
sciovinista, del razzismo esasperato, elementi da sempre propri del Dna del
Fronte nazionale eppure nella sua prima
vittoriosa campagna elettorale, Marine Le Pen ha saputo tenere sotto controllo queste
derive. Il paradosso è che i suoi punti di forza sono stati, e resteranno, l’adeguamento
dei salari, la revisione delle pensioni, il miglioramento del sistema sanitario,
nonché le politiche assistenziali, ovviamente con una significativa
differenziazione, non c’è bisogno di dirlo, a favore dei francesi rispetto agli
immigrati. L’orientamento della sua politica va verso la difesa a oltranza di
uno Stato sociale che, a suo giudizio, potrà resistere alla morsa dell' Europa
delle banche e dei banchieri, solo nella misura in cui si ricompatti in una
dimensione rigorosamente e orgogliosamente nazionale. C’è qualcosa che non
quadra: Sarkozy ha bisogno dei voti del Front National e parrebbe che l’alleanza non rappresenti più
un tabù, perché Marine Le Pen sembrerebbe essere riuscita nel suo intento di
modificare l’immagine del Front National che non stenterebbe a collegarsi con
l’elettorato della destra che in Francia sta progressivamente radicalizzandosi.
Se si fanno due conti appare chiaro che Sarkozy, per imporsi, deve tentare il
tutto per tutto perché una cosa è certa: al primo turno la Le Pen ha ottenuto il 17,9%
dei consensi e François Bayrou il 9,13, quindi se il 6 maggio vuole vincere,
deve conquistare gli elettori della leader dell’estrema destra sostenuto anche
dal fatto che le prime stime sugli orientamenti che gli elettori della Le Pen
seguiranno al secondo turno indicano che il 60% ha già deciso di votare per
Sarkozy, molti di più rispetto a due settimane fa, quando erano il 44%; il 18%
per Hollande; mentre il 22% vuole astenersi. Che cosa leggiamo nella volubilità
di questo elettorato capace di cambiare idea in maniera repentina sulla base di
precise attese di uscita della Francia dall’Ue e con il ritorno al
protezionismo? Dov’è l’etica? Le Pen e Hollande potrebbero immaginare un nuovo
comune orizzonte?
Nessun commento:
Posta un commento