Ad un certo punto della vita non è
la speranza l’ultima a morire,
ma il morire è l’ultima speranza.
(“Una storia semplice” - L. Sciascia ).
Dopo l’ultimo annuncio apparso il 6 aprile sul Sole 24
Ore : “È morto Giuseppe Campaniello, il 58enne
di Ozzano che mercoledì 28 marzo si era dato fuoco davanti agli uffici della
Commissione tributaria di via Paolo Nanni Costa a Bologna. L'artigiano,
schiacciato dal peso dei debiti, aveva riportando ustioni gravissime su tutto
il corpo. L'uomo è deceduto oggi nel reparto dell'unità operativa di prima
anestesia e rianimazione dell'Ospedale di Parma, dove era stato trasferito in
elisoccorso nove giorni fa, subito dopo il gesto suicida.” non possiamo
non farci alcune domande.
Innanzitutto viene da chiederci non il perché del
gesto, in quanto la spiegazione è evidente; bensì quale valore economico può
essere stimato così grande per un uomo, al punto di sacrificare il valore più
grande che un uomo ha: la propria vita? E
ancora, quale filo unisce l’ultimo elenco di suicidi per ragioni economiche che
per dovere di umanità desidero ricordare
anche senza conoscerne il nome? Inoltre, e questa domanda deve farci
riflettere ancora di più…., come possiamo accettare una manovra di governo che
spinge (sperando che non diventi di massa) verso un destino di disperazione che
come alternativa alla speranza ha solo la morte?
Mi viene da chiedere ancora, che sistema abbiamo
creato? Quali sono le cause che impediscono all’uomo di ribaltare le posizioni
da lui attuate? Non è l’uomo il fine di tutto?
Certo queste domande non scalfiscono chi non
percepisce in profondo il senso vero dell’etica e cioè la conoscenza del bene e
l’azione possibile atta a riprodurlo. Tanto meno l’impostazione economicistica
che abbiamo dato al senso odierno della vita. E’ vero che il mondo nella sua
storia ha vissuto momenti legati anche alla schiavitù per motivi economici, ma
allora, è doveroso chiedersi, il progresso che senso ha? La vita può essere
valutata come una cambiale in scadenza il cui mancato pagamento porta al
fallimento? Quale senso possiamo dare al gesto inconsulto che pone “il morire come ultima speranza”?
Sì, parliamo proprio di ciò che lega questi gesti alla
loro causa: la perdita di dignità e con essa la distruzione del tessuto di
umanità che dovrebbe proteggere ogni uomo all’interno della propria struttura
sociale. E’ il modello di sviluppo in essere che ci rende vulnerabili, è il genere
di vita che ci viene imposta dai modelli di consumo, sono i costi dei servizi
pubblici, sono le sperequazioni di reddito che permettono a chi più ha di
divenire sempre più ricco e a chi non ha di divenire sempre più povero. E’ il
cosiddetto capitalismo di sottrazione. Un modello di sviluppo in cui è assente
la nozione di giustizia sociale nelle sue componenti: legale, redistributiva e
commutativa. E’ la mancanza delle tre progettualità strategiche fondamentali
per lo sviluppo del Paese che ci deprime: manca innanzitutto una progettualità
politica in grado di dare prospettive di bene comune; manca una progettualità
economica capace di permettere a ciascuno di sentirsi parte integrante della
creazione di ricchezza del Paese che si chiama Pil, ma che nello stesso tempo ne
rappresenta specularmente anche il Reddito netto; infine manca la progettualità
sociale, vale a dire il fondamento della sussidiarietà che vede nell’operosità
dei gruppi sociali e nella loro libertà di iniziativa sociale, le possibilità
di sviluppo dal basso delle strutture che attraverso la solidarietà eroghino
dalla base il prodotto umanità quale
tessuto necessario a cementare la comunità degli esseri umani in termini di
equilibri di convivenza sociale.
Ecco allora la risposta alle nostre domande: il tutto
nasce dalla perdita della dimensione etica dell’uomo contemporaneo. Dimensione
etica che informa il senso della vita umana, della sua estensione
esistenziale. Infatti oggi viviamo una
dimensione di povertà intellettuale, etica e religiosa che si riscontra nello
smarrimento della ragione, unico baluardo contro i gesti inconsulti. Oggi tutto
è delegato al sapere scientifico, al nichilismo filosofico, all’ateismo pratico
ed al progresso tecnologico, tralasciando di distinguere che 1) il sapere scientifico è orientato a
conoscere bene il fatto socio-politico-economico; 2) la filosofia, soprattutto
politica è orientata alla critica ed alla progettualità del bene; 3) la
religione è orientata all’educazione dello spirito profondo dell’uomo in
termini trascendenti; 4) il progresso tecnologico è orientato alla diminuzione
del lavoro umano. Ciò che manca in
questa disamina è la concezione dell’Etica, che deve orientare l’uomo nella sua
realtà esistenziale alla conoscenza del bene nelle sue dimensioni come legame
tra immanente e trascendente, tra il presente ed il futuro della sua vita e
delle generazioni a venire. Questa carenza di etica portando ad una carenza di
umanità comporta anche la corrispondente perdita di consapevolezza delle
capacità di ripresa dell’uomo che resta vittima delle sue proprie strutture.
Ecco allora che in un tale contesto osserviamo che un
Governo detto tecnico non considera affatto che mentre le nostre
piccole e medie imprese continuano ad essere sovraccaricate, limitate e
condizionate dall’inefficienza della burocrazia e dal crollo del mercato
interno, sono costrette a licenziare per competere nei prezzi con Paesi a
bassissimo costo di mano d’opera e senza regolamentazioni sindacali ed
ambientali. Non considera il dumping cinese. Non si cura dello sviluppo e tanto
meno delle crescita sostegno effettivo delle imprese. Imprese che per tagliare le perdite, per mantenersi a
galla devono sottostare a penose ed innaturali negoziazioni con banche
considerate sempre più usuraie e insaziabili
di commissioni e condizioni al limite della sopportazione. Imprese che a fronte
di inesistente crescita economica sono costrette a pagare all’INPS esorbitanti
interessi di ritardo tra l’altro anche fiscalmente indeducibili. Imprese che
lavorando per lo Stato o per Enti pubblici ricevono i pagamenti dovuti dopo 6 o
9 mesi nel migliore dei casi, sobbarcandosi l’onere di coprire il pesante gap. Per non parlare dei crediti di
imposta scontati dalle banche sempre con maggiori difficoltà. Una asimmetria
perversa che mentre vede lo Stato
creditore imporre con le ganasce del
fisco pesanti fardelli per pagamenti immediati e puntuali, quando è debitore, si permette di pagare a babbo morto con l’aggravante che se
l’imprenditore ricorre contro l’imposta, la Commissione tributaria che
riconosce la legittimità del ricorso per insussistenza del fatto e dà ragione
al ricorrente, non può imporre al fisco, paradossalmente, scadenze puntuali di
risarcimento. Ma la cosa più grave è data dal fatto che le imprese non solo non
riescono a pagare i propri fornitori per mancanza di liquidità dovuta alle
diverse ragioni addotte, ma sono costrette a licenziare i propri dipendenti.
Certo questo non rileva per le grandi imprese dove vige lo scudo dell’anonimato
dato dal gioco delle parti tra dirigenti e sottoposti, quanto più nelle piccole
imprese dove l’imprenditore è l’essere umano identificato come controparte,
identificato come responsabile della sorte dell’impresa. Ricordiamo infatti che
l’imprenditore sta al rischio come l’azienda sta all’organizzazione pertanto è
l’imprenditore che ci mette la faccia!
E che comunque non è l’imprenditore che crea sviluppo, bensì è la politica!
L’imprenditore è lo strumento di cui
si serve la politica. E
allora questo imprenditore che certamente conosce direttamente i propri
dipendenti deve licenziarli e quando lo fa deve guardare negli occhi i propri dipendenti,
i propri uomini, padri di famiglia. Lavoratori che magari conoscendo le
difficoltà dell’impresa possono anche aver accettato ritardi nel pagamento
dello stipendio, che magari lo hanno sostenuto egualmente. Ma in quale stato
d’animo può un imprenditore dire a ciascuno dei suoi uomini, dopo aver
combattuto battaglie improbabili per la sopravvivenza, “purtroppo devo licenziarti perché da domani sono costretto a chiudere”.
E’ finita ogni speranza…..l’unica speranza purtroppo sembra essere .…il
suicidio.
Un ultima triste riflessione: mentre imprenditori e
disoccupati disperati si suicidano, la stampa resta assente, non richiama
l’opinione pubblica alla consapevolezza delle proprie responsabilità. Perché?
E’una stampa asservita che tende a minimizzare
e a reputare questi gesti come frutto di depressione, senza dare il giusto peso
umanitario alle difficoltà economiche ed altre cause fiscali e finanziarie? Che
suggerisce la stampa in termini di sviluppo e crescita? E’ una stampa allineata ai cosiddetti poteri forti del governo Monti che ci
dicono sia stato imposto dall’Europa per assicurare il ripagamento del nostro
debito pubblico? Per riequilibrare lo spread?
Ma qual è lo spread-limite tra la
vita e la morte? Chiediamolo prima che al Governo Monti, a ciascuno di noi in
qualità di elettori di governi di cui
questo non rappresenta che “una zampa del
gatto per tirar fuori le castagne dal fuoco senza scottarsi”.
divisi fra rabbia e rassegnazione...
RispondiEliminaCapisco lo stato d'animo, ma, la mia risposta è che non possiamo rassegnarci a subire l'esistente. L'uomo deve avere la capacità di immaginare il cambiamento e quindi sentirsi in grado di cambiare ciò che al momento sembrerebbe impossibile: occorre unirsi per schierarsi contro ciò che non si ritiene sia corrispondente alla visione etica del bene comune. Ecco la funzione di questo Blog. Io resto a disposizione per qualsiasi iniziativa etica si voglia suggerire. (Prof. Romeo Ciminello)
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