MURO
DI CINTA
di Adelchi Baratono (1875-1947)
Sì, basso, ma orlato di punte,
di scheggie, di vetri. I monelli
che vengono a dar la scalata,
si tirano su susu, e, giunte
le mani a toccar la crestata,
ricadon lasciando i brandelli.
Quel muro recinge una valle
angusta, una conca d'ombrati
riposi; gli alberi, tanti!
lì dentro. Di fuori va il calle
bruciato di sole. Davanti
un'erta aridità di prati.
Ieri passò una bambina;
che bella! pe 'l caldo il sudore
madeva l'ovale del viso.
Guardò quell'ombrìa dalla china
segnando con gli occhi un sorriso,
ma poi sentì piangere il cuore!
(Le chiesi:
- Quant'anni hai, bambina? -
Rispose: - Mammina
ha detto, nove anni e tre mesi. -)
Null'altro? E no. Sono come
un piangere, questi paesi.
C'è il sole che affoca... e quei muri...
Domani ci torno. So un nome
che brucia. Lo incido, che duri
sul muro nove anni e tre mesi.
di Adelchi Baratono (1875-1947)
Sì, basso, ma orlato di punte,
di scheggie, di vetri. I monelli
che vengono a dar la scalata,
si tirano su susu, e, giunte
le mani a toccar la crestata,
ricadon lasciando i brandelli.
Quel muro recinge una valle
angusta, una conca d'ombrati
riposi; gli alberi, tanti!
lì dentro. Di fuori va il calle
bruciato di sole. Davanti
un'erta aridità di prati.
Ieri passò una bambina;
che bella! pe 'l caldo il sudore
madeva l'ovale del viso.
Guardò quell'ombrìa dalla china
segnando con gli occhi un sorriso,
ma poi sentì piangere il cuore!
(Le chiesi:
- Quant'anni hai, bambina? -
Rispose: - Mammina
ha detto, nove anni e tre mesi. -)
Null'altro? E no. Sono come
un piangere, questi paesi.
C'è il sole che affoca... e quei muri...
Domani ci torno. So un nome
che brucia. Lo incido, che duri
sul muro nove anni e tre mesi.
Si
sta costruendo un muro al Brennero perché si ha paura, perché gli atti di terrorismo che hanno insanguinato Bruxelles sono un attentato al la nostra vita
quotidiana, che per quanto vogliamo che rimanga la stessa, in realtà ci
accorgiamo non solo che è cambiata, ma che
il cambiamento sta assumendo profili di incomprensibile natura.
Non
solo c’è la voglia di non accogliere l’altro, ma di respingere chiunque non sia
“al di qua” del muro, a prescindere che siano donne, anziani o bambini.
Nella
riflessione che mi accingo a fare vorrei mettere in evidenza alcuni caratteri
di umanità e disumanità che compongono la nostra visione di democrazia, di
sicurezza e di libertà.
Vorrei
approfondire i significati che ciascuno di noi si sente di dare agli
avvenimenti, sia in termini di colpa, che di risentimento e rischio di far
svanire tutto il cammino di appropriazione umana della realtà, iniziato con la
cosiddetta “Era dei lumi”. Vorrei infine far capire che l’etica quale
conoscenza del bene non si salvaguarda e tantomeno si pratica costruendo muri.
NORMALITA’ SOCIALE
Volenti
o nolenti dobbiamo prendere atto che il nostro sforzo di vivere una normalità sociale
fatta di libertà e di relazioni soggettivamente scelte ed umanamente
intrattenute sta divenendo una
prerogativa del passato.
Il
clima di incertezza e ditensione che avvertiamo ogni qualvolta stiamo per
prendere una metropolitana, stiamo per andare al cinema o a teatro oppure
partecipare ad una manifestazione è veramente indescrivibile.
La
realtà che ci permetteva di agire liberamente in quanto uomini coscienti di
appartenere ad un mondo costruito con razionalità e basato su carte
costituzionali e dichiarazioni dei diritti umani, appartiene al passato.
La
sicurezza di poter trovare momenti di piena libertà, fuori dall’angoscia del
lavoro e dalla paura della solitudine incontrando altre persone con cui
condividere momenti di svago e di spensieratezza è minata alla base,
dall’incertezza di poter subire, nonostante controlli e misure di sicurezza, un
improvviso ed imprevisto attentato.
STRATEGIA DELLA PAURA
In
tale contesto dobbiamo amaramente notare che in alcuni luoghi, in alcune
strade, non troviamo più neanche i cestini per gettare la carta di una
caramella: sono stati tolti per paura che potessero essere contenitori di bombe
o esplosivi. Così quando vediamo una
qualsiasi borsa, sacchetto o zaino incustoditi: il primo pensiero è della
possibilità che sia una bomba in attesa di esplodere; che sia il mezzo per compiere un attentato di
cui noi stando lì vicino potremmo esserne le ignare vittime.
Ecco
che la paura e poi il panico si impossessa i qualcuno di noi fino a fargli
rinunciare ad uscire di casa, a prendere la metropolitana, a recarsi in aeroporto,
ad andare ad un concerto.
RESTRIZIONI,
BARRIERE E ODIO RAZZIALE
La
nostra libertà globalizzata fondata, almeno per noi dell’Unione Europea, sulla
moneta unica e sul trattato di Schengen, sta sempre più restringendosi per
cause dovute ad una errata concezione dei concetti di democrazia, di socialità
e di accoglienza che informano le relazioni umane, specialmente quelle relative
al mondo dell’immigrazione, dell’asilo politico e della libertà religiosa.
Sappiamo
bene che le tre barriere che dividono gli uomini, come muri, sono da sempre la lingua, la moneta e la
religione, ma ora questi elementi sono ancor più accentuati dall’odio, non solo
razziale e religioso, ma anche e soprattutto dalla paura di possibili azioni
terroristiche che ne derivano.
Ma
possiamo continuare così? possiamo continuare a subire questo stillicidio di
paure che ci costringono a rinunciare, anche se inconsciamente non lo
avvertiamo, alle nostre sicurezze?
Come
non chiederci il perché di tale situazione? Come non domandarci di chi è la
colpa di questi avvenimenti fuori da
ogni contesto di umanità?
I NOSTRI RAPPORTI E COMPORTAMENTI
Senza
voler fare né vittimismi e né false ipocrisie, io ritengo che ciascuno di noi
sia chiamato ad interrogarsi, non nel contesto dei grandi sistemi e delle
situazioni istituzionali, bensì sul proprio vissuto quotidiano, sulla qualità
delle relazioni intessute con i vicini, sulla finalità dei rapporti con gli
altri, sulla bontà dei comportamenti attuati in ogni circostanza e sui muri che
ogni giorno costruiamo per proteggerci dall’altro, dal diverso, dall’immigrato,
dallo zingaro, dal rifugiato e da chiunque sia diverso da noi.
So
che è difficile perché per spirito egoistico noi siamo abituati a guardare
esclusivamente a ciò che fanno gli altri, alle loro azioni, ai loro comportamenti
cercando di giudicarli con un metro direttamente proporzionale alla conoscenza
che ne abbiamo ed alla loro vicinanza. Vale a dire che più siamo vicini e
conosciamo certe persone, più il nostro giudizio diviene rigido ed
inflessibile.
Una
volta tanto sarebbe bene che questo giudizio lo ribaltassimo su di noi con la
nostra capacità di attagliarlo
inflessibilmente alle diverse situazioni.
IL GIUDIZIO
Un
giudizio che abbia quei caratteri di soggettività che ci caratterizzano
nell’osservazione dell’altro, dei suoi caratteri peculiari, delle sue
manifestazioni non solo comportamentali, ma anche a volta solamente estetiche. Se
per un momento fossimo capaci di usare lo stesso metro anche con noi stessi, ci
accorgeremmo senz’altro che c’è qualcosa che non va nel nostro atteggiamento.
Ci accorgeremmo che il giudizio verso gli altri è perentorio e non ammette
repliche, mentre quello verso noi stessi implica sempre una spiegazione, una
giustificazione, un perché molto chiaro che spazza via ogni dubbio.
Ecco
come si spiegano le chiusure delle relazioni, l’interruzione dei rapporti, la
crescita delle incomprensioni, e lo sviluppo di semi di rancore da cui giorno
dopo giorno si genera quello che pur se non pienamente avvertito presenta i
caratteri dell’odio.
Ma
questo odio che cresce non appaga gli animi, ne determina invece una continua insofferenza
non solo verso gli altri, ma anche verso se stessi per non sapere trovare la
soluzione giusta per far esplodere la bomba che si cova nel proprio animo.
COME EVITARE L’ESCALATION
Ma
come si può fare per evitare questa escalation? Come trovare in noi una maniera
per gestire i nostri sentimenti e quindi i risentimenti che poi arrivano a
generare quelle istigazioni ai cattivi
comportamenti a cui ciascuno di noi si sente sollecitato per spirito di rivalsa
o di pretesa giustizia.
Vi è
un dato di fatto ineludibile che coinvolge ciascuno di noi ed è che l’uomo in
ogni epoca ed in ogni luogo è stato ed costretto sempre a vivere in relazione
con glialtri, anzi per maggior precisione potremmo dire in un sistema
relativamente stabile di relazioni con il gruppo umano a cui appartiene. Ed è
proprio in questo gruppo che impara a rapportarsi con gli altri, impara le
emozioni e la razionalità, l’uso dei concetti rispondenti a democrazia e a
morale, nonché a quelli di cui parlavamo di amore e odio. Con ciò possiamo giungere quindi alla
conclusione che molta parte delle caratteristiche inerenti alle nostre azioni
ci provengono dall’educazione ricevuta nel gruppo e dall’esperienza fatta nel
gruppo.
LE DIVERSE NATURE DEI GRUPPI
Ma
mentre prima potevamo configurare questo gruppo in modo preciso, come la
famiglia, la comunità locale, la comunità religiosa, il gruppo etnico, l’ordine
professionale, il partito politico ed ogni associazione di qualsiasi tipo,
quali costellazioni di relazioni possibili e stabili che materialmente e psicologicamente
permettevano lo sviluppo equilibrato della persona umana e del singolo, oggi
pare non sia più così.
Oggi
vediamo sempre più che il gruppo o la comunità, ancorché suddivisi in quelle
caratteristiche appena descritte, hanno perso il loro carattere di relazione
personale e sono diventati sempre più di natura immateriale, concettuale,
potenziale, eventuale ed ipotetica, come viene espresso dalla realtà virtuale.
Alla
famiglia tradizionale basata su legami di sangue, si oppone quindi una famiglia
ipotetica basata su percezioni e legami soggettivamente intesi; così la
comunità locale, basata su tradizioni e legami di gruppi familiari legati da
vincoli di “comparaggio”, oggi è sostituita dalle amicizie condominiali, dagli
interessi legittimi comunemente difesi, all’interno di mere strategie
economiche; la comunità religiosa assume oggi caratteri sempre più sofisticati
che non si riferiscono soltanto al trascendente, ma più semplicemente, alle
realtà degli animalisti, dei vegetariani, dei vegani, degli ambientalisti,
degli scambisti, che fanno delle loro convinzioni un credo assoluto, ecc.; così
il gruppo etnico, mentre una volta era individuato nelle differenze evidenti di
lingua di storia e di religione oltre che di costume e tradizioni, oggi questi
gruppi etnici sono rappresentati senz’altro da immigrati, ma anche da quelli di
seconda e terza generazione, che nati sul territorio, vivono la vita di quel
territorio e magari non hanno mai visitato i luoghi di origine dei propri
genitori o dei propri nonni o bisnonni; ma non solo, il gruppo etnico oggi si
può anche suddividere in diversi modi, quali gruppi di genere, oppure gruppi virtuali,
meglio conosciuti sotto il nome di “social network”; altrettanto dicasi per gli
ordini professionali, che tranne per alcuni strenuamente difesi da improbabili
lobby, si ritrovano sempre meno caratterizzati dalla professione che cambia,
dalle prassi che evolvono e che determinano una confusione fortemente lesiva
dei diritti dei singoli. Esattamente ciò che è avvenuto per il mondo del lavoro
e delle professioni, basti pensare al cosiddetto “Smart working”. In tale disamina,
poi dobbiamo riscontrare che il partito politico rappresenta la cartina
tornasole del cambiamento: non rappresenta più nessuno, anzi ad analizzarne alcuni
aspetti peculiari, si può dire che
rappresenti in maniera pragmatica un tutti contro tutti, legato esclusivamente
ad interessi faziosi economici e di parte, e, non più all’obiettivo di bene
comune di mazziniana memoria.
LA COSCIENZA DEL RISPETTO DELLE REGOLE
Sono
saltate tutte le regole che governano la comunità e che si ritrovano nel senso
di appartenenza politica ad uno stato. Non ci sono più regole che mirino ad una
organizzazione globale della convivenza, fra singoli gruppi dagli interessi
contrastanti;non esiste più l’intento di creare una organizzazione della
convivenza che sia la migliore possibile nelle attuali condizioni storiche. Il problema è politico e inevitabilmente un
problema etico che nasce e si sviluppa nel modo in cui il singolo deve
rapportarsi agli altri singolie all’intera comunità globale in cui è inserito.
Ma
non cambiano soltanto i gruppi, cambiano anche i singoli e la loro coscienza del rispetto delle regole,
attraverso le diverse identità che essi possono assumere nella Rete, attraverso
gli avatar, le identità virtuali, i furti di identità, le identità veicolate
non più da una esistenza reale, ma da un esistenza virtuale, come quelle dei
cartoni animati.
LA CONVIVENZA CONFLITTUALE
Il
modello attualmente riscontrabile è quello della convivenza conflittuale che si
configura in una organizzazione statale esclusivamente rivolta a garantire in
termini lockiani, il diritto alla vita, alla libertà e alla proprietà, per cui
l’aiuto a chi è in difficoltà non è assolutamente obbligatorio ed è lasciato
alla liberalità del singolo e quindi volontaria e non vincolata da obblighi di
solidarietà.
In
un tale modello non esiste altro fine che il tornaconto personale, sia che si
tratti di beni, sia che si tratti di terra sia che si tratti di persone. Non
esistono diritti umani, nonostante le leggi, non esistono legami organizzativi
se non finalizzati ad un do ut des. Anche le tasse infatti vengono considerate
come un corrispettivo dei servizi forniti dall’organizzazione pubblica dello Stato.
Ecco
perché le tasse sono avversate dalla maggior parte dei cittadini in quanto,
anche se necessarie,sono considerate comunque una violazione del diritto di proprietà
in quanto dettate da una imposizione che non lascia al singolo quella libertàdi
scegliersi e pagarsi direttamente i servizi che reputa necessari, a prescindere
che il suo contributo possa essere di sostegno ad altri che non sono in grado
di pagarseli.
Approfondendo,
capiamo che anche per il rispetto delle
leggi vige lo stesso principio, nel senso che l’obbedienza alle stesse non è
richiesta dalla necessità di conseguire il bene comune, ma solo dalla necessità
di salvaguardare quel minimo di pace sociale che consenta di tutelare i propri
diritti soggettivi ed i propri interessi legittimi nel migliore dei modi.
OBBEDIRE ALLA LEGGE SE CONVIENE
Ecco
perché non esiste un vero dovere morale di obbedire alla legge, ma una semplice
convenienza individuale la cui inesistenza giustifica la disobbedienza alla
stessa.
Tutto
ciò è comprensibilissimo se ci si rivolge alla logica dell’evasione fiscale ed
alla violazione sistematica del codice della strada, o del codice del consumo,
dove l’interesse personale che si salvaguarda è sostenuto anche dal bassissimo
rischio che si corre di essere puniti. Le pagine dei giornali ce lo raccontano
tutti i giorni!
Tale
atteggiamento deriva dalla convinzione di ciascuno che il bene comune consiste
prioritariamente nella tutela dei propri interessi e in generale del proprio
bene privato. Anche se rattrista
constatarlo, questa è purtroppo la mentalità che supporta il modello culturale,
importato dagli Usa ed ora fatto proprio dai nostri Paesi europei ed in
particolar modo da una gran parte degli italiani. Ecco perché si parla di
convivenza conflittuale in quanto lo Stato è chiamato a svolgere la funzione di
mitigare gli interessi dei singoli, spesso in conflitto tra di loro, e pertanto
con l’applicazione della legge, cercare di mitigare l’asprezza dei conflitti che
sorgono fra interessi discordanti, per salvaguardare gli interessi dei più
deboli, in quanto come ben sappiamo in regime di convivenza conflittuale vige
sempre il dominio del più forte.
IMMIGRATI: NON-PERSONE
Questa
struttura mentale che rifiuta quindi di riconoscere l’esistenza dell’altro in
quanto tale e benché suo concittadino, diviene ancora più categoricamente
esclusiva quando si tratta di persone o meglio di individui “non-persone” come
gli immigrati. Gente che non ha diritti di cittadinanza e quindi esclusa per
definizione dalla vita del nostro Paese. Allora pur se appare evidente il servizio che
essi compiono sul nostro territorio, il contributo che danno al nostro PIL, in
realtà vengono sempre additati come coloro che rubano il lavoro, coloro che
fanno concorrenza sleale, coloro che devono essere rimpatriati ecc., quando non
sono considerati potenziali terroristi.
Contro la piaga dell’immigrazione allora, invece di pianificare
soluzioni costruttive, come potrebbero esserlo un servizio civile, una
suddivisione di gruppi sui diversi territori, un impiego massiccio di forza
lavoro necessaria in tutti quei settori che ormai i cittadini italiani ed
europei si rifiutano di coprire, si fa una distinzione tra immigrato economico,
richiedente asilo oppure rifugiato, senza rendersi conto che coloro che
arrivano da noi, in questa Europa patria dei diritti umani, sono tutti nelle
stesse condizioni: la sopravvivenza.
Quanti
di loro vengono abbandonati nei CIE, invece di essere identificati ed accolti.
Quanti di loro potrebbero essere avviati al lavoro sulla base delle
professionalità che esprimono e che non vengono considerate.Quanti di loro
invece della speranza si trovano la vita sbarrata da un muro? Quanti di loro potrebbero
inserirsi nei territori provinciali scarsamente popolati? Tanto per argomentare
una riflessione alla portata di tutti, se facessimo un semplice calcolo
indicando in 150.000 il flusso di immigrati annuo nel nostro Paese e prendendo
in considerazione gli 8.092 Comuni rilevati nel censimento del 2011, con una
semplice divisione si dimostra un aumento di popolazione pari a 18,54 persone
per ciascun municipio. Non credo che tale accoglienza sia insostenibile.
Non
lasciamo pertanto che questa gente considerata da più di qualcuno “ relitti
umani”, continui a morire in cerca di un luogo dove sopravvivere, che si chiami
Lampedusa o Lesbo, che sia Italia o
Grecia o qualsiasi altro Paese non chiudiamo le porte alla loro speranza! Anche
papa Francesco dopo Lampedusa, diverrà pellegrino a Lesbo in cerca di spazi di
umanità che solo i più poveri del sud di questa Europa di nuovi muri sembrano
possedere. L’etica non si costruisce con i muri della paura, ma con i ponti
della fiducia e gli abbracci di solidarietà. Purtroppo si è dimenticato che l’etica
è un’attitudine degli esseri umani che si riconoscono tra loro come tali.
SACCHE DI ODIO E DERIVE TERRORISTICHE
Il
clima di conflittualità fortemente accentuato e molte volte esasperato, non
tiene conto delle necessità degli esseri umani, ma solo del colore della loro
pelle oppure della diversità della loro lingua o peggio ancora della volontà di
mantenere le loro tradizioni, ecco che si generano sacche di odio e derive di
terrorismo. Si grida, e a ragione, contro gli assassini di gente inerme, ma non
si tiene conto di due cose: la prima è che guerre ed atti terroristici hanno
sempre necessità di impiegare delle armi o degli esplosivi che vengono
sistematicamente forniti dai Paesi produttori di armi, tra i quali c’è anche
l’Italia; la seconda è che gli atti terroristici perpetrati in Europa sono
stati attuati da europei, anche se appellati “immigrati di seconda o terza
generazione”!
Allora
interroghiamoci, sul perché i terroristi che hanno colpito in Europa non provenivano dal medio oriente, ma erano nativi? invece di fare “ammuina” interroghiamoci su
come deve essere risolto il problema, che se da un lato possiamo cinicamente
rilevare, crea orrore e morte, dall’altra crea “occasioni di lavoro o scoop
giornalistici” che permettono a giornalisti, inviati, esperti di terrorismo,
consulenti strategici, avventori di talk show televisivi, di ottenere i loro
revenues oppure a politicanti in cerca di consensi elettorali ottenere audience
e affermazione!
Nessuno
pensa che certe cose è meglio non dirle, che è meglio non accentuarle, che è
meglio non strillarle onde evitare da un lato il panico e dall’altro la
possibile emulazione di altri gruppi eversivi? Le notizie vanno date, ma esiste
anche una precisa responsabilità sul metodo di comunicazione adottato. E’
meglio non strillare le notizie, o ricamare sulle incapacità dell’intelligence,
o indicare luoghi che potrebbero essere assaltati o che potrebbero essere
oggetto di attentati ancora più disastrosi come i siti contenenti materiale
radioattivo.
Allora
impariamo a controllare i nostri impulsi, a non influenzare in maniera negativa
con la nostra comunicazione chi ci guarda, ci legge o ci ascolta; impariamo a capire che
probabilmente certe realtà considerate solo notizie da “sbattere in prima
pagina” possono essere anche “pilotate” da servizi deviati al sostegno di lobby
dagli obiettivi più svariati. Se capiamo tutto ciò capiremo inoltre che non
possiamo continuare a piangere e a dare la colpa solo a questi terroristi!
Dobbiamo interrogarci su chi dirige, nascostamente,le strutture di
destabilizzazione, indicando gli obiettivi e fornendo armi e logistica per gli
attentati. Anche i mass media dovrebbero interrogarsi sulle diverse
“stupidaggini” che ignavi giornalisti e opinion leader strombazzano ai quattro
venti senza rendersi conto di fare il gioco dei terroristi.
Mi
domando infatti come sia possibile che nessuno di loro,nello strillare notizie
e fatti, come se fossero un trofeo di vittoria si sia chiesto o aveva capito
che le parole di Salah Abdeslam: “finalmente non vedevo l’ora di essere
arrestato, sono felice di non essermi fatto saltare in aria”non era che una
parola d’ordine: un detonatore verbale che invece di essere oscurato è stato
non solo male interpretato, ma anche visto quasi “in senso buono”!!!!!
Se
continuiamo ad avere questo tipo di dirigenza imbecille non potremmo che
prospettarci un futuro di terrore sempre più…..assurdo ed inimmaginabile.
E…noi
continuiamo a piangere…nell’attesa che prima o poi …….